Cuba

PER ARRIVARE A CUBA NON CI VUOLE L’AEREO, MA LA MACCHINA DEL TEMPO

Diario di viaggio 2011

di Federica Orzati

“E la senti qua, La Storia. Essere ancora in tempo per respirarla. Arrivare nel posto giusto al momento giusto. Un equilibrio perfetto. Sei parte di qualcosa che studieranno i tuoi figli a scuola. I cartelloni in mezzo alle palme su cui scritto SIEMPRE SE PUEDE MAS! O il volto di Fidel sui muri delle città, scrostati e vissuti, intrisi di battaglie e di pirateria. La fila della gente che aspetta il pane quotidiano della dittatura, davanti a un baracchino fatto di lamiera. Cuba è un angolo di storia in mezzo al mondo futuristico.”

 

PERCHE’ ANDARE A CUBA: Per conoscere un popolo meraviglioso, solare, chiacchierone, generoso e con tanta voglia di conoscere la tua storia, e non solo i tuoi soldi. Per vedere una natura selvaggia e tropicale, sotto manti di nuvole gonfie, intervallata da città pregne di storia. Per conoscere un paese che è fatto di Musica e Risate. Per calarsi in un mare cristallino pieno di stelle marine e tyburones. Per deliziarsi dell’architettura caraibica, delle urbes piratesche, della religione cattolica schiacciata dalla dittatura atea. Per vedere qualcosa che, semplicemente, tra un po’ non esisterà più.

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BREVI E IMPORTANTI INFO: Spesa per 2 settimane inferiore ai 400€, volo escluso. Volo: Air France Firenze-Parigi-Havana 740€ circa. Alloggi: case particolari. Raccomandazioni fondamentali: partite con soldi in contanti, pochissimi posti accettano carte di credito, incluse le banche, il circuito Mastercard è pressoché assente. Clima: Novembre pessimo: vento e alghe, al mare pure brutto tempo.

 

POSTO PER POSTO: Il mio giro: HAVANA - CIENFUEGOS - RANCHO LUNA - PALOMA - EL NICHO - TRINIDAD - PLAYA ANCON - SANCTI SPIRITUS - CAMAGUEY - PLAYA SANTA LUCIA - MORON - CAYO GUILLERMO - PLAYA PILAR - REMEDIOS - CAIBARIEN - YAGUAJAY - REMEDIOS - CAYO SANTA MARIA - SANTA CLARA – HAVANA

 

INFORMAZIONI BREVI PER CHI NON HA TEMPO DA PERDERE:

Metto come ultima l'Havana perché ha bisogno di un discorso più complesso. 

Ogni casa particolare/hotel in cui son stata aveva bagno privato, quindi non sto a precisarlo ogni volta.

CIENFUEGOS: Io passo mediamente un giorno per ogni località, così è stato anche per Cienfuegos. patrimonio unesco, bel paesino. Piuttosto piccolo, come la maggior parte delle città cubane. Ne vale la pena. Le persone più carine e gentili le ho incontrate qua, scambiando due parole nella via principale. Guardate le cose più importanti e poi cercate sulla Lonely un palazzo disabitato in ricostruzione dal cui attico si vede un incredibile tramonto. 

Per dormire: CASA DE TERESITA Y YHANES, Ave 52 n* 4323 e/ 43 y 45. Tel (053)(043)517646, mail: jessicagorda9@yahoo.es

Una coppia molto gentile (come tutti i cubani), abbiamo pagato 20 CUC a notte, conviene mandare sempre una mail prima di arrivare perché (come quasi tutte le case particolari) si riempie presto. Altrimenti fate chiamare dal padrone della casa particolare precedente. Comunque casa pulita, camere spartane ma funzionali e il solito corridoio-giardino tipico delle case cubane. Non ho fatto alcun pasto con loro. La casa si trova qualche blocco dal centro ma il paese è talmente tranquillo che non c'è alcun problema a camminare fuori a qualsiasi ora. 

Si trova vicino dalla fermata degli autobus di Viazul. Ho presto infatti il bus per arrivare dall'Havana a Cienfuegos. 4 ore circa. Sono bus moderni ed efficienti. Molta aria condizionata. L'ho preso solo per questa tratta, per il resto mi son sempre spostata in macchina con autista ed è stato nettamente più eccitante. Per le partente dei bus guardate la LP, l'ho trovata molto precisa. Comunque dall'Havana a Cienfuegos ne parte uno la mattina presto, intorno alle 8.

Per pranzare e cenare avrete l'imbarazzo della scelta, verrete assaliti da gentilissimi procacciatori che saranno egualmente interessati a farvi andare nel loro ristorante e a conoscervi. Seguite l'istinto, tanto son tutti quasi uguali. Noi siamo andati in un ristorante che è dentro una casa, si chiama El Criollito, è dietro la via principale. Fa un creme caramel buonissimo :)

Ultima cosa da dire su Cienfuegos è la punta Gorda. All'andata ci son arrivata a piedi (2 km) al ritorno ho preso un tuk tuk bici dopo aver fatto amicizia con il conducente che per 3 CUC mi ha portata un'altra volta in centro.

RANCHO LUNA: Avevo letto questa località di mare sulla LP perché una ragazza che viaggiava con me è appassionata di animali e voleva vedere il delfinario. Grandissima delusione: mare brutto, spiaggia piccola, delfinario chiuso e tra l'altro somigliava a un parco giochi con tornelli e spettacoli circensi. Ce ne siamo andati via il prima possibile. Dista una quindicina di km da Cienfuegos. Abbiamo preso un autista da Cienfuegos (quello della Casa Particolare). 

PALOMA: Località di passaggio, aperta campagna. Ci siamo fermati a fare un brunch in mezzo a orti e piantagioni dove la gente coglieva direttamente dall'albero i frutti e mungeva le mucche. Non il massimo della pulizia, ma la campagna cubana è proprio bella e i cibi naturali ottimi.

EL NICHO: Prima di arrivare a Trinidad, con la stessa macchina anni 50 partente da Cienfuegos, abbiamo fatto tappa a questa riserva naturale. Molto bella. Si fa in un'oretta e mezza-due ore. E' un cammino nella foresta intervallata da cascate e piscine naturali (freddissime). Si paga un ingresso e serve il passaporto. la strada per arrivarci è una delle cose più belle mai viste. Caballeros che cavalcano con i loro cappelli di paglia tra palme e piantagioni, foreste arrampicate sulle montagne, vallate sconfinate. davvero stupendo. Purtroppo dentro el Nicho diversi turisti, tutti italiani. 

TRINIDAD: Se Cuba è ferma agli anni 50 Trinidad è ferma a chissà quale epoca remota, con ancora il ciottolato a terra, casine colorate scrostate, un fascino perduto. Unico problema? orde di turisti. Gruppi organizzati che spintonano e invadono le stradine. Non ci fossero loro sarebbe meravigliosa. Comunque, cercando di scansarli, si scova il fascino recondito di Trinidad. Ci sono stata un giorno. Casa particolare: CARMEN Y PUPITO de Carmen Carracedo y Pedro Omar Rodriguez. Calle Agustin Bernal n* 126/A e/Eddy Chivas y José Mendoza. Cell 53 (01) 52448277 mail: carmenpupito@yahoo.es

La casa è in centro. Pupito dolcissimo, tenero, come tutti i cubani è un po' impiccione, ma proprio questo è il loro bello... Ci ha preso 22.50 CuC a camera a notte scusandosi tre ore per il prezzo dicendo che le tasse a Trinidad sono alte e che siamo in alta stagione. Ha tre camere matrimoniali. Una sotto, accanto al soggiorno e due sulla terrazza sul tetto, deliziosa. 

Abbiamo cenato da lui perché ha insistito molto, anche se Trinidad offre molti ristoranti carini. Ci ha fatto cenare sempre sul terrazzino. Idem colazione. 

Per quanto riguarda Trinidad consiglio di vederla tutta con una passeggiata, anche perché è molto piccola. Godetevi il tramonto nelle stradine più nascoste, verranno delle foto incredibili. Trinidad è piena di artisti di strada, visitate qualche bottega se vi interessa l'arte. La sera siamo stati in un posto dove fanno danze afrocubane. Bella la Casa della Musica in pieno centro, anche se tutti i turisti si riversano là. 

PLAYA ANCON: Vicinissima a Trinidad (18 km circa) è uno spicchio di bel mare. Un po' d turisti ma non troppi (noi siamo stati una mattinata, dalle 9 alle 12). Mare chiaro, non eccezionale, ma carino. Dopo una nuotata vi consiglio un'escursione a vedere la barriera, dura 1 ora. Rivolgetevi al bar che vende anche escursioni sulla spiaggia. Barriera non bella ma almeno potete farvi una nuotata in mare aperto, tanti pesci.

SANCTI SPIRITUS: Solo di passaggio con la macchina che da Trinidad ci avrebbe condotti a Camaguey. Abbiamo pranzato in città. Carina, niente di speciale, molto piccola. Ricorda Trinidad. A parar mio non vale un viaggio.

CAMAGUEY: La città che più mi è rimasta nel cuore. Vera, tribale, cubana al 100% e pienissima di cose da vedere. Dopo l'Havana è stata la città più grande che abbia visto a Cuba. E' a forma labirintica, cosicché i pirati (abitué del posto) si perdessero nel cuore della città. Ma dietro a ogni angolo c'è qualcosa di speciale. A Camaguey son rimasta due giorni. Ho dormito in una casa particolare che, anch'essa, mi è rimasta nel cuore (22.50 Cuc a stanza) : REYES Y CAROLINA Calle Dama (Sabino Monte n* 221 e/ Horca y Medio) Cap 70100 tel. (53-32) 298907

Se avete voglia di conoscere due veri cubani doc allora non perdetevi per nulla al mondo questa casa particolare dove la dolcissima Carolina e il cantastorie Reys diventeranno parte integrante del ricordo del vostro viaggio. Lei professoressa di psicologia e lui professore di ingegneria sono due genitori protettivi e simpatici anche se MOLTO chiacchieroni! Vi consiglio di ritagliarvi almeno un pomeriggio di chiacchiere e una cena a casa loro. Ne vale la pena. Prenotate per tempo perché la gente si innamora di questo posto e lo occupa anche per lunghi periodi (prima di noi due turisti c'erano stati 10 giorni). La casa è kitsch, piena di peluche, acquari, ninnoli. Ma è molto accogliente. La casa al piano di sopra è tutta azzurra e avvolta nel verde. Il braccio della doccia però non va toccato perché rimesso a posto malamente e a rischio scintille. Hanno anche un grande terrazzo sul tetto con vista Camaguey. Carolina fa delle banane fritte buonissime. 

Per quanto riguarda il giro della città da fare vi consiglio di prendere un tuk tuk per la giornata e di farvi portare ovunque, in ogni piazza. Contrattate un buon prezzo. Mi raccomando non perdetevi le catacombe. Per la sera siamo andati a ballare a El Caribe, ma siamo venuti via quasi subito dopo lo spettacolo (inizia alle 21 finisce alle 2) per tutte le prostitute, vecchi con ragazzine e lo schifo che vedevamo ovunque, che nei locali è lampante. 

PLAYA SANTA LUCIA- Reys ci ha consigliato il suo autista privato che per 55 CUC ci ha portati a Playa Santa Lucia. Ha insistito affinché rimanessimo a dormire da lui e facessimo un'escursione di un giorno alla Playa ma è un'ammazzata che non consiglio. Siamo arrivati alla Playa e abbiamo scoperto la triste verità di Cuba: il turismo marino è di demanio statale, quindi non esistono villaggini, casette, scelte alternative. Ci sono solo resort all inclusive, che è contro i miei principi. Abbiamo scelto l'hotel più bruttino e malmesso, anche piuttosto sporco. HOTEL ESCUELA TARACO. Non è un villaggio, aveva solo la colazione inclusa. Ma la parte di spiaggia davanti all'hotel era non curata, le alghe (questo purtroppo è il periodo) non venivano tolte ed erano ammontate davanti all'acqua, la spiaggia non spianata. Per chi ha voglia di farsi uno o due giorni di mare consiglio di andare in uno dei villaggi vicini (Club Amigo, Club Santa Lucia) anche se è deprimente mettersi il braccialettino e restare appollaiati la sera in piscina coi balli di gruppo sapendo che sei a Cuba! Le escursioni le organizzano al Cubaclub che si trova davanti al Club Santa Lucia (un baracchino). Abbiamo fatto la cavalcata di un'ora 10 CuC a testa fino alla palude e l'escursione in catamarano alla barriera corallina (più bella di Playa Ancon, pieno di pesci). Abbiamo preso una carrozza con cavalli e ci siamo fatti portare un pomeriggio a Punta La Boca, che è la parte finale della lingua di terra di Playa Santa Lucia, divisa dalla parte turistica da una palude. La Boca è l'opposto esatto di Playa Santa Lucia. Il mare è scuro, sulla spiaggia ci sono diverse formazioni scogliere basse, piuttosto pericolose per i bagnanti, tant'è che è sconsigliata la balneazione (anche per gli squali) e ci sono solo casine di pescatori. Ma il fascino è quello del villaggino di mare sperduto, molto particolare. E' una scelta, chi ama la vita del posto qua si trova in paradiso. C'è un ristorantino sulla spiaggia, vendono il cocco in un baracchino e c'è solo una casa Particolare a 25 cuc a notte (la camera di sopra ha il bagno privato ed è una mansarda bellissima) ma quando si spenge la luce non c'è niente da fare e il bagno non si fa per via di squali e scogli sotto l’acqua. Magari uno può passarci una notte diversa dal solito.

MORON: Abbiamo scelto Moron come punto d'appoggio per Cayo Coco e Guillermo. Volevamo vedere il bel mare dei Cayo ma non spendendo cifre allucinanti e senza rifinire nei soliti all inclusive. Sicché ci siamo fatti portare qua dall'autista dell'Hotel taraco di Palya Santa Lucia (medico primario che alle 17 stacca da lavoro e fa il tassista) che per 90 CUC ci ha portati a Moron. 3 ore di viaggio. A Moron abbiamo dormito in questa casa Particolare: DR. SILVIO CEPERO FRANCO, Castillo 99 % Agramonte y Liberdad, Moron, Ciego de Avila. Cell 01-52844034, mail: scepero@moron.cav.sld.cu

E' la casa di un dottore farmacologo e tossicologo, distinto e gentile. 25 CUC a notte. Dietro al centro. Ma Moron come città non vale la pena, è un paesino minuscolo, ottima invece la decisione di dormire qua per andare ai Cayos. Le stanze sono pulite ai limiti dell'ossessione. Abbiamo cenato a casa e ci hanno preparato un pasto regale con tantissime varietà di cibo, nel suo giardino. Il sabato sera il dottore va a ballare con la moglie e può capitare che inviti anche voi :)

CAYO GUILLERMO & PLAYA PILAR: Con una macchina con autista consigliatoci dall'autista precedente siamo andati la mattina presto a Cayo Guillermo. La strada è molto simile a quella delle Keys in Florida. Lingue di terra che sfrecciano nel mare alla volta degli isolotti. Cayo Guillermo è bello ma Playa Pilar è considerata la spiaggia più bella di tutta Cuba. Dista 9 km da Cayo Guillermo. Cayo Coco invece è mezzora prima di Cayo Guillermo. 

Playa Pilar ha un bar e un pontile. La spiaggia è molto bella, il mare idem. Molte alghe e vento. Ma ne vale la pena. Dopo pranzo orde di turisti.

REMEDIOS: Con una macchina da Playa Pilar ci siam fatti portare a Remedios. 100 CuC per 3 ore circa di viaggio. Ci siamo fermati due notti come punto di appoggio per altri posti. 

Abbiamo dormito probabilmente nella casa particolare più bella di tutta Cuba: LA ESTANCIA. Sir. Noly y Amarelys calle Camilo Cienfuegos n*34 e/ Ave General Carrillo y Jose a Pena - Remedios, mail: noly64@gmail.com

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Pianoforte a coda, piscina, giardino enorme, pappagalli, letti enormi e bagno enorme, il tutto per 25 CUC. Noly è un signore atipico per essere cubano. Prima era fotografo poi mercante d'arte e adesso si occupa della casa particolare, sua moglie è medico, ha girato tantissimo. Anno scorso era al concerto di Laura Pausini a Miami, il che fa supporre un agio al di fuori della media cubana. Le stanze sono enormi, una con due e l'altra con 3 letti matrimoniali. Una ha la vasca l'altra ha una mega doccia incassata nel muro con specchio e altri confort. Unica pecca: all'alba partono gli autocarri dalla stradina dietro le camere e sembra che entrino nella stanza. Necessitano tappi per le orecchie. Ma l'ambiente rilassato e accogliente della casa particolare vale la pena di un risveglio brusco. Abbiamo sempre cenato a casa dato che Remedios offre ristoranti scarni e di bassa qualità. la prima sera piatto della casa 15 cuc con un vassoio di granchi, aragoste e pescato, ci ha portato anche un vino cileno e una zuppa di pesce piccante ottima. 

Remedios è piccola e c'è poco da vedere, ma si fa amicizia facilmente e potete fare delle bevute a casa della gente del posto. Ottimo punto di appoggio per le prossime due località.

YAGUAJAY: Paradiso terrestre. Voglio tornare a Cuba anche solo per rivivere questo posto. 10 Cuc a testa di ingresso e un'ora e mezza di macchina da Remedios per un posto meraviglioso. Altra riserva naturale tipo el Nicho ma pressoché sconosciuta con piscine naturali e cascate mozzafiato. Ce l'ha consigliato Noly, potete chiedere a lui. Tra questo posto e El Nicho non c'è neanche paragone. Spero di mettere presto le foto.

CAYO SANTA MARIA: la più bella spiaggia che abbiamo visto. Angolo di mare incontaminato. Neanche un'alga, zero vento, riparata rispetto a tutti gli altri Cayo. La spiagga in cui dovete andare è la prima dopo l'aeroporto. Sempre consigliatoci da Noly, lui sa esattamente come arrivarci. E' gratis e non ci sono turisti. La fine del mondo. La sera tornavamo a dormire a Remedios. 

SANTA CLARA: Città famosa per la rivoluzione. Ha la grande piazza della rivoluzione ed è molto dispersiva. Secondo me chi ha poco tempo a disposizione può saltarla. I sobborghi son poverissimi. Non mi ha lasciato molto. Ci siamo stati poco e da qua abbiamo preso un taxi collettivo per Havana (sempre consigliatoci dal famoso Noly)

HAVANA: E' tutto ciò che è Cuba e in realtà non è la vera Cuba. Oltretutto è piena di turisti, la maggior parte dei quali viene per il turismo sessuale, ed è molto meno vera. Soprattutto perché ormai qua i cubani sono abituati allo straniero e provano a fregarlo. Continua però a rimanere un posto bellissimo, da vedere. Secondo me è girabile in 2 giorni, 3 al massimo. I churros dietro Plaza Vieja (si scrive così?) sono buonissimi. Abbiamo dormito in 3 case particolari. La primissima notte dormimmo a casa di due donne: HABITACIONES DOS LEONES, Calle Merced 14 e/oficios y San Ignacio, La Habana Vieja. tel (537) 8603987, mail: nelsonsarduy@yahoo.es

Sono due signore molto gentili, hanno due camere spartane ma funzionali. La posizione è ottima, dietro il Malecon in pieno centro nell'Havana Vieja. E per essere Havana Vieja (che di solito non ha una buona nomea per le case particolari) è pulita e curata. La notte la via è piuttosto buia ma sicura, c'è anche un ristorante in fondo alla strada e in 5 minuti si è nella piazza centrale. Purtroppo le case particolari all'Havana si riempiono presto, per cui la seconda volta la trovammo piena. Ma le due signore ci hanno fatto sedere in soggiorno e hanno fatto 1 ora esatta di telefonate a tutte le case particolari dell'Havana Vieja per trovarci una sistemazione. Ci hanno anche regalato un'acqua e son state stupende. Per cui la seconda abitazione è stata un appartamento con due stanze dove non vivono i proprietari che stanno invece di fronte, è dietro il Campidoglio. Molto carino. Ma non trovo al momento il biglietto da visita, nel caso aveste bisogno controllo meglio. All'Havana è fondamentale prenotare prima, basta una mail o una chiamata, comunicando anche l'ora di arrivo. A Cuba son tutti molto di parola, per cui se vi hanno impegnato la camera di solito non dovreste avere brutte sorprese.  Ho anche passato una notte (la penultima) non nel centro Havana (nella strada 28esima) in un posto allucinante pieno di pulci nel letto le cui punture mi sono rimaste addosso per un mese.

 

 

DIARIO DI VIAGGIO, per chi ama i racconti:

AEROPORTO DI FIRENZE, 13.11.2011

C’è ancora il manto notturno sulla mia bella Firenze e lo sgangherato gruppetto per Cuba sta imbarcando gli zaini sul roll della Air France. Composizione della squadra:

IO: Il viaggio, come tutti quelli fatti fino ad ora, è partito da me. Perciò ho molta aspettativa su Cuba. Mi trovo in una fase post traumatica da stress dopo l’esperienza ai limiti del surreale nell’India del Nord. Alla ricerca di qualcosa di bello, di una rivincita. Indosso un immancabile tocco rosa (parto sempre con qualcosa di questo colore…), smalto azzurro per l’occasione, un’ottima dose di euforia.
FILIPPO: Il mio ragazzo, al suo sesto viaggio intercontinentale zaino in spalla, dopo un’astinenza di un anno e mezzo. Cuba non è nelle sue priorità e lo infastidisce che tutti ci siano stati (anche se più dell’80% non è andato oltre Varadero..), ma il viaggio gli è stato regalato per il compleanno dalla sottoscritta e dai suoi amici. Parte con il suo solito broncio da bello e dannato e i capelli neri arruffati.
MATTEO: Uno dei migliori amici di Filippo. Alto 1.90 m, parecchio robusto, tipo una montagna. Viene da una carrellata di viaggi all inclusive, al suo primo viaggio zaino in spalla.

SILVIA: Una delle mie migliori amiche nonché ex ragazza di Matteo. Bionda, occhi azzurri, innamorata degli Stati Uniti e madre lingua inglese. Fervida animalista e vegetariana (eccetto il pesce). Non ha mai fatto viaggi zaino in spalla ma è stata una boyscout! Tant’è che parte con lo zaino delle giovani marmotte azzurro.
I due amici stavano insieme al momento dell’acquisto del biglietto aereo. Si sono lasciati una decina di giorni prima.

E credo che con questo sia ben chiara la situazione di partenza…

 

HAVANA 13.11.2011

Dopo un breve ma gelido volo Air France per Parigi arriviamo con le stalagmiti addosso al padiglione dove parte il Boeing 747 per L’Havana. Siamo seduti tutti vicini, nella fila centrale, ossia tutti scomodi. Fortunatamente sul volo servono bottigliette di vino rosso. Io e la Silvia si trinca a tutto spiano (si dice in Toscana) e ci si ubriaca. Così, ridendo e scherzando, e assistendo a cubani che giocano a bad gamon in fondo all’aereo, arriviamo a destinazione dopo 11 ore di volo… Scendiamo dall’aereo e sento la solita zaffata d’umidità, bruciato, copertoni in fiamme e di lontano tipico dei paesi non industrializzati tropicali. Questa cosa mi sconvolge perché ero certa di non sentire questo odore qua, a Cuba. E invece prima buona notizia della giornata: siamo tornati “a casa”, come chiamo io questo odore. La mia casa.

Dopo la fila di un’ora alla dogana e dopo aver ritirato i bagagli, (tutti arrivati subito tranne quello di Filippo che è stato l’ultimo ed eravamo certi di averlo smarrito), cambiamo gli euro in CUC e usciamo dall’aeroporto. Caldo sì, ma niente se paragonato all’afa umida e torrida di Calcutta o di Malesia e Cambogia. Probabilmente abbiamo scelto il periodo giusto, sembra il nostro Giugno.
Ci affidiamo ad un taxi prepagato dell’aeroporto e per 25 CUC ci facciamo portare nel centro dell’Havana. Il viaggio è esaltante. Premetto che, guardando film e foto di Cuba prima di partire, credevo che fosse tutto caricaturizzato. Che in realtà non vi fossero macchine d’epoca in ogni dove e che non fosse tutto così immobile e antico come volevano far credere. Avevo paura di una cocente delusione. E invece, durante il tragitto, ci siamo imbattuti in decine di macchine anni cinquanta, cassettoni colorati e affascinanti. Cartelli inneggianti Fidel o Che Guevara in ogni angolo. Bambini con le treccine che fanno l’hula hop, musiche caraibiche, case con archi, terrazzi abbassati, casette colorate. E poi… le rotaie! Sono prive di barriere, in obliquo e nel mezzo alla città. La macchina si ferma, guarda a destra e a sinistra e va. E noi si prega il Dio cubano di superarle sani e salvi.

Poi il Coche (l’autista) ci ha portati dentro l’Havana Vieja. E abbiamo visto la povertà cubana. Case scrostate, panni appesi ai terrazzi, ma soprattutto pozzanghere ovunque, nessuno scarico e la gente lancia secchi d’acqua fuori dalla porta di casa. Crateri per terra e un sacco di ragazzotti a torso nudo tutti tatuati che rammendano motorini, che ballano, che chiacchierano tra loro. Un po’ mi ricorda il Sud Italia (la mia bella Palermo, che o la odi o la ami) e un po’ l’architettura caraibica dei romanzi di Marquez. La gente corre, balla, guarda. Sono quasi tutti di colore. Rimaniamo un po’ zitti, non ci aspettavamo questa povertà, questa decadenza. Ma io vengo da Calcutta e per me siamo al Four Seasons. E Fil è più che navigato. Mi preoccupano più le reazioni degli altri due. Il Coche ci lascia in mezzo a una Calle (una via) con i lati della strada tutti straripanti d’acqua. Avevamo trovato una Casa Particular sulla LP [n.b. Case particolari sono case private che hanno una o più stanze a disposizione per gli ospiti con o senza bagno, come i nostri bad and brekfast, paghi poco e ti cali nella realtà cubana]. La casa che abbiamo visto sulla Lonely è azzurra, come poi abbiamo scoperto essere quasi tutte le Case Particular, e ha l’insegna statale bianca con uno stemma blu. Entriamo e saliamo delle scalette anguste e ripide. Ma, quando arriviamo nella sala da pranzo, ci rendiamo conto del delizioso stile caraibico. Voliere con canarini colorati, porcellane bianche, pizzi e merletti, qualche oggetto cattolico, ritratti di famiglia e un bel terrazzo a semicerchio con la ringhiera turchese in gesso. Davvero un chicco. Ma le stanze erano al completo e avevano i bagni in comune. Purtroppo la Lonely Planet è una guida stupenda ma i posti per dormire che consiglia si riempiono immediatamente. Ma il padrone di casa si è immediatamente adoprato per trovarci un’altra sistemazione. E ci siamo subito resi conto della grande disponibilità dei cubani. Dopo 8 chiamate trova una casa adatta a noi. Ci saluta calorosamente e ci manda giù dove un ometto bianco in bicicletta ci porta fino ad una casa a 5 minuti di cammino, sempre all’Havana Vieja. Così camminiamo tra queste stradine sudice ma caratteristiche, con le bandiere cubane dipinte sui muri e le facce degli eroi della rivoluzione riprodotte ovunque. Arriviamo alla Casa: “HABITACIONES DOS LEONES, Calle Merced n°14 e/ Oficios y San Ignacio, La Habana Vieja. Tel (537)8603987. nelsonsarduy@yahoo.es “. Le proprietarie sono due zie (due donne sulla quanrantacinquina single) gentili ma che stanno nel loro. La casetta è umile ma folkloristica. Si entra in un salottino e si procede in un corridoio su cui si affaccia anche un piano superiore. Una corte chiusa diciamo. Panni stesi che calano dall’alto, piante e piantine ovunque, il tutto crea un gioco di colori verdi e azzurri molto suggestivo. Ho una leggera reminiscenza del Fairlawn Hotel a Calcutta, ma il contesto e lo stile sono completamente diversi, solo per i colori e la vegetazione c’è correlazione… Le camere si affacciano su questo corridoio. Matteo e Silvia dormono insieme (…!?!) nella prima stanza e io e Fili nella seconda. Le camere sono carine, spartane ma dai colori smeraldini. Nella stanza dei nostri amici ci sono quattro chili di pesce surgelato nel loro “Frigo-Bar”. Altro che lattine di Coca e rhum! :)

Ci sistemiamo tre secondi e usciamo immediatamente fuori. Anche perché alle 18 il sole è già calato. Le varie Calle hanno un’illuminazione men che sufficiente. Nel buio vediamo a malapena i crateri per terra e i mulinelli d’acqua ai lati delle strade. Nel buio intravediamo gente, qualcuno sulla porta di casa, qualcuno invece che cammina. Mette un po’ inquietudine e Silvia ha paura. Grazie al senso dell’orientamento incredibile di Filippo arriviamo in pochi secondi a una delle piazze principali, Plaza Vieja. Procedendo per le stradine che si diramano dalla piazza e troviamo degli scorci meravigliosi. Mi son venuti in mente i romanzi pirateschi o la descrizione perfetta che la Allende fa dell’assedio ad una città caraibica da parte dei pirati nella biografia di Zorro. Case colorate ma anche nere, grigie, quasi lo smokey style londinese in chiave caraibica. Terrazzi bassi e larghi, con piante o scritte di ristoranti, porte di legno, balconcini. Taverne, ristorantini, cervecerie, cannoni per terra al posto dei piloncini. A volte una croce incisa sulla pietra dei muri. Tutti siamo entusiasti di questa Havana. Vediamo un po’ di turisti in giro, io e Fil per esperienza sappiamo che il resto di Cuba sarà diversa dall’Havana. Ma ce la godiamo così, per come è. Alcune strade ritornano buie e confuse, piene di gente. Anche se ci sono negozietti o un mini market continua a non esserci illuminazione, solo la luce dentro le attività fa vedere un briciolo di strada. Molti ristorantini sono turistici, espongono il menù fuori e ci sono procacciatori che ti fermano e ti invitano ad entrare. Ne scegliamo uno perché siamo affamati. Io noto subito l’arredamento misto cinese, con le lanterne rosse e le bacchette. Ma non dico niente, vedo che i maschi studiano attentamente il menù e dicono che sia molto economico (8.50 CUC per aragosta con puré, riso e gamberi). Ci sediamo. E dopo un po’ mi accorgo che il procacciatore che ci aveva rotto le scatole per un’ora, un cinese untrasessantenne, ha una voglia nera enorme sull’avambraccio destro con peli lunghi come capelli. Una cosa ributtante. E il bello è che ci scherza su, saluta con il braccio mezzo alzato mostrandola, faceva il simpatico. E ad un tratto abbraccia pure Matteo in amicizia mentre chiede una cosa del menù. Ho cominciato ad avere la nausea e non ho mangiato pressoché niente. A fine cena sono entrate due donne che si sono sedute in un angolo e hanno iniziato a cantare in falsetto un’opera lirica in spagnolo. Una delle due era bravissima. Ma nessuno le guardava e nessuno applaudiva, tranne noi. Al momento del conto hanno provato a farci il pelo, ma abbiamo fatto correggere tre volte lo scontrino. Siamo usciti e ho cominciato ad avere il giramento di testa e la sensazione di essere sull’aereo, mi succede sempre dopo un lungo volo. Abbiamo continuato la passeggiata per l’Havana Vieja. Ci siamo comprati tutti e quattro un braccialettino fatto di conchiglie. Entriamo in un mini market e ci accorgiamo che non esistono supermercati o attività all’occidentale. Si vede che c’è l’embargo, che c’è una dittatura. E’ tutto così vecchio, antico, sembra di essere fermi agli anni cinquanta. I negozi hanno una lampadina in mezzo alla stanza, sono scarni, con un bancone largo con tutto sotto il vetro. Molto semplici. Una donna inizia a toccarmi le unghie, mi chiede se sono vere e non ci crede quando le dico di sì, vuole vedere se si staccano. Poi mi chiede dei soldi e del latte per il bimbo e dice di essere anche incinta. Io dico che non tengo il denaro, di andare dagli uomini. Lei va da Filippo che gli dice che i soldi li tiene Matteo. Tra le risate generali per lo scherzo vediamo Matteo in difficoltà e, alla fine, le compra il latte liofilizzato e questa tutta contenta se ne va dopo averlo baciato. Appena usciti lei lo richiedeva ad altri turisti. Così spieghiamo a Matteo come funzionano le grandi città nei paesi poveri e come evitare di prendere le fregature. Tornati alla casa particolare io sono letteralmente svenuta sul letto vestita per la stanchezza.

 

HAVANA - CIENFUEGOS 14.11.2011

Mi sveglio quando ancora fa buio. Esco dalla porta della Casa Particular e trovo Matteo che fuma. Ha litigato tutta la notte con la Silvia per la convivenza forzata. Parliamo dieci minuti, poi vado cambiarmi. Usciamo tutti dalla casa alle 6. Ci imbattiamo nell’alba sul Malecon [il lungomare dell’Havana], bellissimo. Arriva una macchina color puffo anni 50 targata HEY509 che ci porta fino alla fermata dei pullman per Cienfuegos. Al piano di sopra della struttura dei pullman c’è una sorta di bar. Ci facciamo preparare un toast grosso e sformato con dentro solo prosciutto per me (non mangio formaggio) e solo formaggio per la Silvia (non mangia la carne), dopo aver fatto ammattire i poveri cubani siamo riscese giù dove ho anche imbroccato un tassista cubano che mi ha anche fatto il baciamano. Saliamo sul pullman per Cienfuegos. Appena salita ho cominciato ad avere mal di pancia e ho pensato “stai a vedere ora mi sento male” allora, in preda ad un attacco di ipocondria acuta, mi sono presa una pasticca per ogni disturbo. E mezza sedata, rincoglionita e col corpo in stasi, ho passato le prime ore in una sorta di catatonia. Ho ascoltato musiche cubane ammirando dal finestrino una vegetazione bella e rigogliosa. Ma soprattutto mi facevano sorridere questi caballeros con cappello di paglia e lazzo su cavalli senza sella, che correvano in mezzo alla natura. Sembrava di essere in un romanzo d’avventura d’altri tempi. E il cielo, colorato d’un azzurro definito e carico, conviveva con il verde delle palme in maniera perfetta, creando un quadro meraviglioso. Dopo una breve sosta e la strada tutta a diritto fino alla destinazione, giungiamo a Cienfuegos. Appena scesi recuperiamo gli zaini e ci assalgono i procacciatori. Ci affidiamo a uno di loro perché la foto della casa è invitante e il prezzo è basso. La casa è a 7 minuti a piedi. Camminiamo con gli zaini in spalla e arriviamo in una stradina con casette colorate. Una di questa è la nostra “CASA DE TERESITA Y YHANES, Ave 52 n° 4323 e 43 y 45. Tel (053)(043)517646/528925, jessicagorda9@yahoo.es”.
Yhanes, il padrone, è molto dolce. Ci da un sacco di informazioni. La casa è simile a quella precedente. Con una sala all’ingresso, spaziosa e piena di ninnoli, un corridoio coperto da una tenda gialla e le stanze che ci si affacciano. Sempre le solite piante e piantine, voliere e peluche (usano molto). A Silvia e Matteo stavolta tocca una stanza con due letti separati. Io e Fil dormiamo nell’ultima stanza, con un letto matrimoniale, più spaziosa ma più calda. Posiamo gli zaini e usciamo subito. Percorrendo la via tutto a diritto arriviamo in centro in una decina di minuti. Cienfuegos è molto carina. Tutto un altro genere rispetto all’Havana. Puro stampo coloniale, molto curata, i muri raramente sono scrostati, a terra piastrelle perfette e ci sono palme ornamentali e bancarelle perfettamente disposte sulle strade. Oltretutto conveniamo che qua si respira più un “clima di mare” tipico delle città marine, cosa che all’Havana c’è meno. Là il mare è un elemento secondario alla città, qua ne è parte integrante. Diversi procacciatori cercano di convincerci ad andare in quello o quell’altro ristorante. Alla fine un ragazzo cubano che camminava insieme ad un viaggiatore bianco, che probabilmente viveva là (per la dimestichezza con cui parlava e come si muoveva per le strade), ci sente parlare di ristoranti e fa: Andate al Criollito, è in quella strada là dietro. Noi allora ci incamminiamo e andiamo là. Il ristorante è dentro un portone di una casa, ha un’insegna che riporta il nome però. Il ragazzo peraltro ci aveva seguiti e ci aveva indicato il posto senza volere nulla in cambio. Mi sono così accorta della differenza culturale tra Cuba e altri popoli che ho bazzicato durante i miei viaggi. La loro generosità senza voler nulla indietro. Tendenzialmente sono persone buone, altruiste, a loro piace vederti stare bene. Al portone, dopo aver bussato, ci apre un ragazzo bianco sulla trentina con i rasta. Ha la camicia e i pantaloni neri, da cameriere. E’ gentilissimo, ci fa accomodare dove vogliamo. Siamo soli. Ci richiude la porta alle spalle. Scappa qualche battutina su ciò che potrebbe farci se volesse, ma è talmente tranquillo che nessuno di noi ha un minimo di timore. Accende una televisione e mette un dvd musicale del Buena Vista Social Club. Ci accorgiamo anche che il menù cubano è sempre uguale: un piatto unico con un secondo + verdure + banane fritte + riso. Prezzo 8 CUC per tutto tranne che per l’aragosta che viene 10. Il cameriere ci dava dei consigli tra una portata e l’altra. Parlava un pochino d’italiano. Nel frattempo, a causa di una parola ambigua detta male, si è scatenato a tavola il litigio tra Silvia e Matteo. Dopo una discussione accesa hanno deciso di non parlarsi. Matteo dice che non le rivolgerà mai più la parola fino alla fine del viaggio. A fine pranzo Silvia chiede al cameriere se c’è qualche tatuatore bravo in città e lui le dice di sì, un ragazzo fa i tatuaggi a casa sua ed è famoso a Cienfuegos. Poi ci mostra il suo tatuaggio e ha un enorme Spongebob sul polpaccio :) Ci invita anche la sera tutti a bere al ristorante dopo cena, che si sarebbe trasformato in locale e che lui avrebbe fatto i drink e avrebbe messo la musica. Noto così il bancone bar, che è simile a un teatrino per marionette, su cui c’è scritto Havana Club. Usciti dal ristorante ci incamminiamo in direzione Punta Gorda che dista un paio di chilometri dal centro di Cinfuegos e che ci siamo fatti a piedi lungo una strada sul mare affascinante. Il mare brillava di squame d’oro, come scintille fungenti. Arriviamo a Punta Gorda che è il posto più rilassante del mondo. Un venticello tiepido da tregua alla calura. La punta è squadrata e ci sono delle panchine di marmo vista mare nella parte centrale. Matteo e Filippo vanno verso sinistra, dove c’è un bar. SI mettono a chiacchierare tra loro. Così io e Silvia, immaginando che parlino della discussione avvenuta prima a pranzo, ci sediamo sulle panchine. Si avvicina un guidatore di bici-risciò, di nome Jordi. Ha 22 anni, i capelli rasati, la maglietta del Manchester United rossa di Rooney. E’ molto gentile, e appena capisce che non stiamo per andare via si mette a chiacchierare con noi. Inizialmente gli diamo poco spago, pensando a una scocciatura, poi capiamo le reali intenzioni, ovvero: conoscerci. Che poi è l’atteggiamento tipico del cubano. Allora ci impelaghiamo in discussioni di ogni genere con lui che parla spagnolo e noi che rispondiamo in italiano, capendoci benissimo. Poi è arrivato Nelson. Un tipo sulla cinquantina con un naso molto affilato, dalla carnagione più scura di Jordi. Era stato un ciclista professionista, poi aveva smesso ed è diventato bici-risciò. E per diletto fa anche il poeta. Nelson ha un figlio di 15 anni che vive in Canada e ha una marea di animali, per la gioia di Silvia. Siamo stati quasi tre ore a chiacchierare. Argomenti che mi ricordo: gelosia di coppia, attaccamento del figlio maschio alla madre sia a Cuba che in Italia, e poi del maschio alla sorella, cani (soprattutto il cane-salsiccia = bassotto), calcio e altri sport, governo sia Berlusconi che Fidel, come i cubani possono lasciare il paese, le mucche che non si mangiano perché costano tanto, la relatività della ricchezza, i loro parenti che erano riusciti a scappare in Italia, i vecchi italiani che sposano le giovani cubane, la poesia, la follia, i maltrattamenti sui bambini. E’ stato un momento divertentissimo, dove abbiamo conosciuto realmente il mondo cubano. E abbiamo iniziato a capire diverse cose, tra cui la difficoltà dei cubani nel sottostare a questo governo, la poca libertà che hanno, il malcontento che aleggia tra loro. Erano due persone tranquille, socievoli, avevano solo voglia di fare amicizia. Era la prima volta che capitavo in un paese di lingua spagnola, la prima volta che riuscivo a parlare la mia lingua o la lingua dell’altro senza dovermi sforzare. Oltretutto, per restare a parlare con noi, hanno perso almeno una decina di turisti che volevano venire via da Punta Gorda con un bici-risciò. Loro li ignoravano e aspettavano che passasse il bici-risciò successivo. Vedendo che Matteo e Filippo stavano tornando in giù con un bici-risciò abbiamo chiesto a Jordi di portarci un’altra volta al centro di Cienfuegos. Così per qualche CUC lui ha pedalato per due chilometri. Il tramonto brillava leggero all’orizzonte. E sul mare creava una patina d’oro brillante. Ho fatto diverse foto e, anche se in movimento, rendono abbastanza l’idea. Jordi raggiunge il bici-risciò dei maschi e prova a fare amicizia con loro. Ma i due sono musoni e arrabbiati, forse sempre per la discussione di prima, così Jordi si gira spesso verso di noi toccandosi col dito la testa e dicendo “estan locos”. In particolare parlando di Filippo. Poi mi ha chiesto con chi fossi fidanzata e io: “Con il loco”. Una volta scese ci ha chiesto dello shampoo da regalare alla sua fidanzata, ma noi non ne avevamo se non una boccetta in quattro. Così lo abbiamo salutato e siamo andate dai maschi. I due erano entrati in una piccola agenzia per informarsi su un delfinario. Infatti ognuno, prima di partire, aveva espresso un desiderio su un posto da vedere. E la Silvia aveva detto di voler fare il bagno con i delfini. Allora Fil, spulciando la LP, aveva trovato un delfinario molto bello vicino a Cienfuegos, in una località di mare di nome Rancho Luna. Purtroppo però l’agenzia non poteva più prendere prenotazioni fino all’indomani mattina e noi invece avevamo furia di andare via da Cienfuegos. Così ci hanno consigliato di recarci direttamente in loco la mattina seguente e prendere i biglietti al delfinario. Prima di concludere la giornata siamo andati in un posto che aveva trovato Fil sulla LP, un attico di un palazzo abbandonato con vista sulla città. Abbiamo pagato 1 CUC a testa al custode e siamo saliti. Un’esperienza incredibile. Tra vetrate rotte, ragnatele, mattonelle con le svastiche, archi e porte nascoste, siamo arrivati alla cima di questo palazzo enorme precisamente alla fine del tramonto. Sotto il palazzo c’era una scuola di danza per bambine, così ci siamo godute anche lo spettacolo di venti piccole creaturine che ballavano sulle note caraibiche, in quell’angolo di mondo così meraviglioso. Venendo via ci siamo seduti nel bar della Plaza Major per bere qualcosa. E abbiamo incontrato un ragazzino di vent’anni innamorato dell’Italia. Aveva perfino i capelli con rasata la scritta ITALIA. Parlava perfettamente l’italiano ma soprattutto aveva una visione dell’Italia piuttosto completa. Ad esempio appena ci ha visti ha fatto: “ma siete terroni o polentoni?” e poi ci ha tenuti mezz’ora a parlare delle differenze tra nord e sud e devo dire che era molto informato. Addirittura quando ci si presentava e ho detto: “Piacere Federica” lui ha risposto “la mano amica”……….

Comunque ci ha ispirato molta tenerezza perché lavorava nella bottega di dischi di un cugino e spendeva tutti i suoi risparmi per vedere la Tv italiana negli alberghi (perché a Cuba hanno la tv di stato e per vedere il satellite l’unico modo è tramite gli hotel). In particolar modo la Silvia ha iniziato a pensare a qualche modo per portarlo in Italia, dato che per lui era il grande sogno della vita. Ma purtroppo come lui a Cuba ce ne sono tantissimi, e finché il paese non sarà libero avranno sempre una serie di restrizioni, come quella del viaggio, per non parlare di quella economica, di pensiero, di sciopero, di parola.

Dopo averlo salutato siamo tornati a piedi a casa e, dopo una doccia, siamo usciti per cena. Nonostante il buio la città era tranquillissima e abbiamo scoperto un’altra grossa verità cubana, ossia che se un cubano tocca uno straniero sono decenni di galera, quindi la sicurezza è massima, nettamente maggiore che in Italia. Siamo tornati sulla via principale, ma era deserta. Abbiamo trovato due ragazzi cubani in bicicletta e abbiamo fatto amicizia. Uno muscolosissimo con un viso meraviglioso, ex campione cubano di lotta greco-romana e attualmente professore di educazione fisica, l’altro più malinconico, molto intelligente, con un look più a dandy, con un basco con sotto dei piccoli rasta, professore di inglese. Quest’ultimo parlava molto bene italiano perché aveva un cugino in Italia, precisamente a Scandicci, in provincia di Firenze. E ci ha cominciato ad elencare: Fortezza da Basso, tramvia, Ponte alla Vittoria, Isolotto… che sono tutte zone di Firenze, e noi siamo scoppiati a ridere. I due la sera, smontati da lavoro, facevano i pr per un ristorante, ci hanno consigliato di cenare là. Ci siamo dati appuntamento per dopo cena in un bar sulla strada principale. Il ristorante, El Tabaco, era il classico posto cubano, stavolta però a tre tavoli c’erano famiglie di autoctoni. Abbiamo ordinato il solito piatto completo, per me stasera pollo alla griglia. Oltre a quello ci hanno portato patate fritte (servono sempre o quelle o le meno famose banane fritte, divine), verdura e riso. Stavolta il cameriere, sempre giovane, vestiva un papillon nero su un abito. Gentilissimo. A fine cena abbiamo attraversato una Cienfuegos ancor più fantasma. L’unica fortuna è che Matteo e la Silvia avevano fatto pace durante la cena, dopo una terapia di gruppo piuttosto sfiancante. Camminando nella via centrale abbiamo incontrato i due ragazzi pr nell’unico localino aperto. Matteo e Filippo gli hanno offerto due giri di drink e abbiamo parlato seduti prima al bancone e poi ad un tavolo all’aperto fino a mezzanotte e mezzo. Il ragazzo che parlava perfettamente italiano ci ha raccontato che un giorno suo cugino gli portò un cellulare moderno dall’Italia e lui attivò il comando vocale e tutti i professori a lavoro pensavano che dentro il cellulare ci fosse una persona. Poi gli abbiamo domandato se avesse una ragazza e lui ci ha fatto: “Macché. Vai a ballare, magari trovi una ragazza che ti piace, interessante, bella. Poi arriva un italiano e la ragazza pensa: io grazie a lui posso fare la bella vita, libera, chi me lo fa fare di restare qua? E alla fine la capisco sai, lo farei anch’io”. Dopo un po’ di drink abbiamo parlato del Governo. E là ci è entrata un po’ di amarezza. Le parole del ragazzo cubano erano chiare: noi siamo prigionieri. Ci raccontava che loro non possono avere internet in casa, perlomeno non è una cosa immediata, che possono vederlo negli internet point ma per loro è proibitivo ed è in gran parte censurato. Oltre ciò quasi nessuno può permettersi la macchina e il cellulare e, se ce l’hai, devi ricaricarlo sempre altrimenti te lo staccano e, quando finisci il credito, devi aspettare due mesi per ricaricarlo. Ad un certo punto ci ha fatto “Vi rendete conto? Io ho la vostra età. Voi siete a Cuba in vacanza, avete il cellulare addirittura senza tasti, una macchina a testa, tutto ciò che volete e io sono un professore di inglese, non guadagno niente e sono prigioniero qua e non posso andarmene da nessuna parte”. CI ha fatto riflettere per tutto il nostro viaggio e oltre.

 

   

 

RANCHO LUNA – PALOMA - EL NICHO – TRINIDAD 15.11.2011

Mi sono svegliata all’alba perché Filippo, ascoltando i Beach Boys, ha cominciato a surfare sul letto. Abbiamo deciso di prendere il coche di fiducia di Yhanes che ci avrebbe portati a Rancho Luna e, in serata, a Trinidad. Yhanes ci ha salutati abbracciandoci e dandoci un sacco di bacini. Il suo amico, ribattezzato Pandorino (è il modo con cui io chiamo quelli dolci, un po’ paffutelli, che fanno tenerezza) ci ha caricati su una macchina anni cinquanta e siamo partiti alla volta di Rancho Luna, dove avremmo trovato il famoso delfinario. Arrivati ci siamo imbattuti in un mare nero nemmeno fossimo in Liguria, affatto invitante. Il delfinario inoltre ci accoglieva con tornelli e ingresso colorato e circense, stile Gardaland, con una signora in divisa che faceva i biglietti. Fortunatamente non c’erano più posti. Abbiamo deciso di scendere fino ai resort sulla spiaggia per chiedere se avevano qualche escursione per la barriera corallina, ma non potevamo fare niente poiché non eravamo clienti.  Così siamo risaliti in macchina alla volta di El Nicho, parco naturale con cascate e piscine nella giungla molto pubblicizzato dalla LP. Per strada però ci siamo fermati a fare colazione. Pandorino allora ha detto: ci penso io. Siamo finiti in mezzo alla campagna cubana, in una località detta Paloma in un “””Agriturismo””” di nome, appunto, La Paloma. In pratica si tratta di una casa di campagna, con nel retro alberi da coltivazione, mucche, polli e un orto. I proprietari fanno da mangiare per i viandanti e li sistemano in un tavolo di casa nel loro patio. Un clima più che familiare, con il bambino del proprietario che correva nudo tra le gambe del tavolo e con i gattini che saltavano da una parte all’altra sopra il gazebo. Abbiamo provato tutto ciò che ci hanno detto: panino con jamon y queso (prosciutto e formaggio), banane fritte buonissime che abbiamo ripreso tre volte, latte caldo (preso da me, APPENA munto, con ancora delle gocce gialle dentro che non so cosa fosse ma che a ripensarci penso di esser stata pazza), spremuta di arancia, polenta, banane ripiene di formaggio, e roba strana che non decifravo. Alla fine dell’abbuffata pensavamo di morire. C’era chi non si alzava, chi aveva una colica, chi non riusciva a finire il boccone. Le comiche. Il proprietario, un tipo gioioso con la maglietta della A: style, ci ha intrattenuti per tutta la colazione autocelebrando il suo cibo. Pandorino intanto aveva tentato una seduzione in sordina alla figlia del proprietario, in un angolo della veranda. Per ringraziarci del transito il padrone di casa ci ha fatto un mega sconto e ci ha regalato un bustone di frutta. Siamo rimontati in macchina alla volta del Nicho. La strada per arrivarci è stata una delle cose più belle di Cuba. Colline ricoperte di foreste, di palme, nuvole che si confondevano con la cima della vegetazione, strade verdi, caballeros in mezzo al nulla che cavalcavano nel silenzio.

Poi la macchina ha cominciato a fumare e Pandorino ha versato sul motore dell’acqua per raffreddarlo. Siamo arrivati a El Nicho e ci è parso un posto meraviglioso.

Un cammino nella giungla fino a delle cascate e delle piscine naturali, gelide ma belle. C’era addirittura una strada chiamata Camino de los enamorados.

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Dopo El Nicho siamo arrivati a Trinidad. La strada per andarci è stata sempre meravigliosa, con questa vegetazione prepotente. Ad un tratto sulla strada un pullman poco davanti a noi ha investito un agnellino e la mamma lo continuava a guardare fisso, pietrificata, anche dopo morto. Non capiva cosa stesse succedendo e, nonostante le persone si stessero avvicinando, non si spostava. Appena mi sono accorta di cosa fosse quella macchietta sulla strada ho immediatamente tappato gli occhi alla Silvia, so che per lei sarebbe stato un trauma a vita. Menomale non l’ha visto. Poi la polizia ci ha fermato ad un blocco e Pandorino era preoccupatissimo. La polizia ci ha fatto qualche domanda, Pandorino ha detto che eravamo dei suoi amici. Poi l’hanno lasciato andare e lui ha preso una croce e ha cominciato a baciarla, quasi in lacrime. Ci ha raccontato che quando la polizia lo ferma è un terno al lotto, se vogliono spillargli dei soldi lo fanno, anche senza motivo.

Sapevamo che Trinidad sarebbe stata la città più strana di tutta Cuba, ma vederla è tutt’altra cosa. Se Havana e Cienfuegos sono ferme agli anni cinquanta, Trinidad è ferma a chissà quale epoca, forse al 1500, epoca in cui è stata creata. Ciottolato a terra, casette colorate basse, con grate sporgenti dove la gente si siede per raffrescarsi dalla calura e parla con le persone fuori, galli liberi, muli e cavalli al posto di bici e macchine. Pandorino ci ha portati nella Casa Particular che ci aveva consigliato il proprietario di quella precedente. La casa sorge nella zona centrale, “CARMEN Y PUPITO de Carmen Carracedo y Pedro Omar Rodriguez. Calle Agustin Bernal n° 126 A e/ Eddy Chivas  y José Mendoza cell. 53(01)52448277, email: carmenpupito@yahoo.es”.

Il proprietario è un misto tra un castoro e una foca, un signore cicciottello con i mustacchi neri, di colore, impiccione ma tanto dolce :) Ci ha preso 22.50 CUC a stanza per notte, scusandosi molto, giustificando il prezzo per l’alta stagione e perché Trinidad, essendo Patrimonio UNESCO, ha le tasse più alte. Abbiamo aggiunto una cena nella casa particular alla modica cifra di 8 CUC a testa. A noi è toccata la stanza al primo piano con un letto matrimoniale mentre a Silvia e Matteo è toccata quella più carina con due letti separati al secondo piano, con un attico privato in gusto antico, dove poi avremmo cenato ai tavolini all’aperto.  Abbiamo appoggiato gli zaini e siamo usciti. Ci siamo subito accorti che qua i procacciatori di clienti sono più tenaci, come in tutti i luoghi battuti dal turismo di massa. Infatti è pieno di gruppi organizzati con bandierine, braccialettini all inclusive, cappellini fluorescenti con visiera. Inoltre è pieno di negozi dove espongono i pittori. Io ho comprato un quadro che ritrae una donna cubana che fuma un sigaro, bellissimo. Ci fermiamo ad un bar in pieno centro per bere qualcosa. Ci accorgiamo poi essere nominato nella LP. Infatti ci sono SOLO turisti. E’ una corte interna con una dodicina di tavolini, in ciascuno ci saranno almeno 5-6 persone. Siamo tutti stipati uno appiccicato all’altro. Appena arriva un drink il cameriere urla “One coke!” e chi l’ha ordinata deve alzare la mano. Sembriamo animali.

Usciamo velocemente dal posto di mattanza e continuiamo la passeggiata. Camminando trovo un ragazzo che balla Un Cachito di Kola Loka davanti alla sua abitazione. Questa canzone la avevo scaricata prima di partire perché immaginavo che fosse una hit cubana, quindi appena l’ho sentita mi sono esaltata e lui mi ha chiesto di ballare insieme a lui, io ho declinato perché mi vergognavo. Cala il tramonto e la città si tinge di alcune sfumature di rosa davvero uniche. Un paese così fermo nel passato colorato di tinte eterne, come quelle del tramonto, che è sempre esistito e che esisterà per sempre. Io e Silvia ci siamo fermate a riguardare le foto nella strada, a sedere sul marciapiede dietro la casa e due macellai di hanno provato con stile offrendoci dei bocconcini di pollo. Quando Silvia ha detto che era vegetariana loro l’hanno guardata come se fosse matta. Abbiamo cenato su nell’attico. Matteo ha detto che io e Silvia stavamo troppo insieme e ci ha proposto di dividerci in due gruppi per continuare la vacanza separati. Il tutto mentre Filippo non c’era perché si stava facendo la doccia. Così io gli ho consigliato di staccarsi di lui e di andarsene da solo per conto suo. Decisamente incavolata ho smesso di parlargli. Dopo cena siamo usciti alla ricerca di un posto in cui ballare. La Casa della Musica è una scalinata in fondo alla quale la gente balla, ma è invasa dai turisti e abbiamo dato solo una rapida occhiata. Ci siamo ficcati in un posto a pagamento dove ballavano danze tradizionali, carino. Dopodiché siamo andati alla ricerca di un Coche per il giorno dopo. Abbiamo beccato i tassisti di Trinidad e abbiamo contrattato 90 CUC per l’indomani destinazione prima Playa Ancon e poi Camaguey.

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PLAYA ANCON, SANCTI SPIRITUS, CAMAGUEY 16.11.2011

Ci siamo svegliati di buon’ora e abbiamo fatto colazione nell’attico. Pupito ci ha preparato un bel piatto di frutta con mango, ananas, mandarini e poi latte caldo, spremuta d’arancia e pane. Dopo la colazione siamo scesi a pagare Pupito. Grondava di sudore e gocciolava sul conto mentre lo scriveva. A parte questa parentesi schifosa abbiamo saldato il conto (caro) e ci siamo fatti una foto insieme.  Dopodiché alle 8:30 è arrivato il coche accordato la sera prima che aveva una macchina moderna e stretta. Oltretutto lui era musone, non parlava mai, avevano una maglietta aderente rossa De Puta Madre e le prime due ore ha messo musiche cubane lagnose tipo le nostre canzoni napoletane. Oltretutto i finestrini della macchina erano viola e sembrava di essere allo stadio a vedere la Fiorentina. Ultima truzzata: la retromarcia con la musichina di Per Elisa. Arriviamo a Playa Ancon e il coche sarebbe tornato a mezzogiorno. Il tempo non è bellissimo, il cielo è grigio, così il mare non ci sembra un granché. Ma siamo soli e così ci mettiamo a prendere un po’ di sole. Dopo mezzoretta attiviamo la macchina fotografica con lo scafandro subacqueo e ci caliamo in mare. L’acqua non è caldissima e rimpiango un po’ l’afa malese nella quale il mare poteva essere l’unico refrigerio. A riva non c’era nulla di interessante sott’acqua, sicché passiamo il tempo a fare foto. Dopodiché è arrivato un cubano da noi che ci ha proposto di fare diving con la sua scuola, la cui base era accanto a dove ci eravamo sistemati. Così per 20 CUC siamo andati a largo con una lancia. Eravamo noi quattro, il barcarolo e una ragazza in costume tutta tirata che ci sorrideva sempre, il suo ruolo: ignoto, forse la ragazza immagine del motoscafo. Arrivati a 300 metri dalla spiaggia abbiamo indossato pinne a noleggio e le nostre maschere e ci siamo immersi. La barriera era morta, grigiastra, scarna. Ma c’era una gran varietà di pesci, perfino un pesce leone.

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Una volta tornati a riva ci siamo accorti che la lancia aveva imbarcato acqua andando veloce e si erano bagnati tutti gli zaini. Così abbiamo steso la roba sotto il sole. Mi sono addentrata nel baretto della scuola di snorkeling e ho preso un pacchetto di waffel che il barista non si ricordava neanche di avere. Sapevano di carta ed erano sicuramente andati a male. Alle 12, piuttosto asciutti, ci siamo rimessi in macchina. Abbiamo chiesto al coche antipatico di fare una pausa pranzo da qualche parte. Così si è fermato alle porte di Sancti Spiritus. Abbiamo consumato un pasto veloce ma plasticoso in una catena di autogrill schifoso che c’è in tutta Cuba. Io ho ripiegato per un cornetto. Una volta finito siamo ritornati in macchina e ci siamo sparati le ultime tre ore fino a Camaguey senza stop. Mi sono addormentata per un tratto e mi sono svegliata giusto in tempo per accorgermi dell’ennesima croce di Sant’Andrea per terra… rigorosamente senza barriera! Ovviamente el coche per fare presto sfrecciava tra le rotaie senza neanche guardare. Arrivati appena fuori Camaguey il proprietario della Casa Particular (consigliatoci ovviamente alla Casa precedente, ormai siamo entrati nella catena) ci ha scortati fino a casa sua. La casa è a 10 minuti di cammino dal centro. “REYES Y CAROLINA, Calle Dama (Sabino Monte n° 221 e/Horca  y Medio) CAP 70100. Tel (53-32)298907”.

I proprietari, Carolina e Reyes, sono due tipi strani. Carolina, una donnetta con i capelli corti mogano e la faccia da pellerossa, appena ci ha visti ci ha accolto con un sorriso a trentadue denti. “Adelante! Adelante!” ci ha detto spingendoci dentro. E siamo finiti in un salotto pieno di peluche di ogni forma e dimensione, da veri psicopatici. Tra tutti il più assurdo era una mega capra con gli occhiali da sole a forma di cuore chiamato El Rocker. Ci ha mostrato tutta la casa spiegandoci angolo per angolo, in uno spagnolo incomprensibile. Noi annuivamo. Dopo la sala c’è un corridoio e una cucina aperta, molto bella, e oltre una corte verde lussureggiante con sedie e tavoli di ferro bianco, molto invitante, poi una scala con sopra un grosso attico. Matteo e Silvia si sistemano nella stanza che si affaccia sul corridoio, con due letti separati. Io e Fil invece nella stanza sull’attico, in mezzo a un sacco di piante verdi. Con i rumori della giungla… Entriamo e la stanza è un kitch al limite dell’inquietante, stile casa delle bambole: coniglietti di peluche celesti, bamboline di porcellana, adesivi di farfalle sul vetro, tendine con fiocchetti e perfino in bagno un peluche da water e un Bux Bunny gonfiabile da doccia…

Filippo mi guarda e dice: “Questa ci ammazza tutti. Sono Olindo e Rosa Bazzi. C’è un pezzo di ogni passante in questi peluche”. Posiamo rapidamente la roba e andiamo a giro per Camaguey. La prima cosa di cui ci accorgiamo è che Camaguey è veramente un labirinto come dice la LP. L’hanno costruita così per disorientare i pirati che assaltavano regolarmente la città. Già dopo qualche strada ci siamo accorti che Camaguey è la Vera Cuba. E’ la città più intensa, più romantica e più bella che si sia visto. La cosa che mi ha colpito di più sono le case. Hanno due, tre, quattro tinte di colori diversi. Il tempo ha scrostato i muri e quindi si intravede un arcobaleno in ogni dove. La città pullula di piazze con statue, chiese, manifesti del Che. Per arrivare da un posto all’altro bisogna… chiedere alla gente. E’ normale perdersi continuamente a Camaguey. Magari da una stradina minuscola e sgangherata si sbuca in una agorà immensa. E’ per questo che Camaguey è così adorabile. E poi è sconfinata… Ci rendiamo subito conto che Camaguey non è una città povera, la gente sta relativamente bene. E’ tutto molto umile, ma il livello medio generale è alto. Ci sono anche dei negozi di abbigliamento con vetrine allestite in modo spartano e diversi negozietti. Io ho preso un po’ di banane fritte ad un bar e me l’hanno messe in un piattino di plastica. Quindi ho camminato con questo piattino tutta la sera, alla fine siamo tornati a casa con un bici-risciò e io avevo ancora il piattino in mano. Ci siamo fatti la doccia (eravamo ancora pieni di salsedine per il mare) e Filippo stava per prendere la scossa dal bracciolo della doccia precario. Dopo la doccia siamo scesi in giardino e abbiamo chiacchierato con i due padroni. Abbiamo scoperto che Reyes è un ingegnere meccanico, professore all’Università di Camaguey in pensione, che da piccolo ha fatto duemila lavori per mantenere la mamma. Ha perfino lavato e vestito i morti al cimitero. Con l’avvento di Fidel lo hanno mandato a fare l’università e lui ha scelto Ingegneria. Finiti gli studi lo hanno mandato a L’Havana, a Parigi, in Italia e poi a Mosca. E scherzava raccontando il freddo che pativa in Russia. Poi è ritornato in patriaCarolina invece è professoressa universitaria di psicologia e storia, in pensione. . Reyes prima di conoscere Carolina aveva un’altra moglie, dalla quale ha avuto una figlia, la quale ha studiato per diventare RIS (Indagini criminologiche). Ma si è sposata con un torinese troglodita, molto geloso e sufficiente, che l’ha fatta smettere di lavorare e le ha tolto il diritto di detenere soldi. Il padre l’ha definita in una “gabbia d’oro”. Ora Reyes ha una nipotina di 11 anni che ha visto solo una volta in vita sua. Quando la figlia, la bambina e il compagno sono venuti a trovare il padre a Cuba. Reyes ci ha raccontato che il marito della figlia non l’ha quasi salutato e li ha trattati come morti di fame. Reyes li ha comunque ospitati 15 giorni a casa sua dandogli la stanza migliore e servendogli aragoste, gamberi, carne pregiata tutte le sere. A fine permanenza il marito della figlia ha guardato Reyes e con aria sprezzante ha messo nel suo taschino dei soldi. Reyes li ha ripresi, li ha guardati e glieli ha rimessi in mano dicendo “per me la famiglia è un’altra cosa”.
Durante i racconti fervidi di Reyes Carolina ci ha fatto delle banane fritte fatte in casa. Abbiamo scoperto che le banane fritte hanno un sapore molto diverso a seconda che la banana sia matura o acerba. Comunque… buonissima. A Matteo e Filippo invece ha preparato un drink di nome CANCHANCHARA, una bevanda a base di miele d’acero, rhum, lime e ghiaccio che sarebbe diventato il tormentone del viaggio poiché ogni volta che li vedeva li guardava con la faccina furba e annuendo faceva “Mmmm.. canchanchara!!” e gliela preparava. Infatti erano sempre brilli. Ci ha anche spiegato la storia. Dice che durante la Rivoluzione cubana gli eroi si erano ritirati sulle montagne prima dell’attacco finale e, per darsi forza, si ubriacavano con la canchanchara. Dopo la chiacchierata-mangiata siamo nuovamente usciti, stavolta al buio, per tornare in centro. Addentrarsi nel labirinto di sera è più problematico. C’è meno gente fuori, l’illuminazione è precaria e si riconoscono ancor meno i luoghi. Ma riusciamo a raggiungere una piazza raggiunta il giorno stesso. Troviamo un ristorante spagnolo grazioso e con un menù diverso rispetto al solito. Ordiniamo il pescado. Arrivano tre suonatori, tipo mariachi cubani, con camice cinesi di raso con i dragoni di vari colori, pantaloni con cintura alta e la voce tremolante tipica delle serenate latine. Per 3 CUC ci hanno cantato 5 canzoni. Dopo cena siamo andati alla ricerca di un carro con un coche (una macchina con autista) e ci siamo fatti portare alla discoteca El Caribe, molto famosa a Camaguey. Il tassista in macchina ha messo a tutto volume le canzoni di Pittbull e reggaetown, quando ci ha messo Un Cachito di Kola Loka ci ha definitivamente conquistati. Guidava a mille all’ora, rinominato Vin Diesel, anche per la somiglianza fisica. Arrivati davanti a questa discoteca (dalla parte opposta della strada piante selvatiche, polvere per terra e davanti alla disco tutti seduti per terra o appoggiati a dei muretti, buffe le disco cubane!) Vin, guardando i maschi, dice che non possono entrare con i calzoni corti. Così rimontiamo tutti pazientemente in macchina e torniamo a casa per far cambiare gli uomini. Carolina non da le chiavi di casa ai clienti, per cui le suoniamo e lei, in vestaglia e dopo un po’ di tempo, ci apre, fa entrare Matteo e Filippo e torniamo a El Caribe. Stavolta fuori dal locale è pieno zeppo di ragazzine, mezze gnude e vestite succinte. Tra tutti però notiamo un gruppetto di quattro maschi italiani a caccia. Entriamo e paghiamo e subito ci abborda un ragazzetto dicendo che è uno spogliarellista. Entrati capiamo due regole: Che moriremo di freddo per l’aria condizionata e che nessuno pensa al fatto che si possa essere due coppie, tutti ci provano indiscriminatamente con tutti. Ci fanno sedere nel posto d’onore, ad un tavolo rialzato, e ordiniamo da bere. Davanti a noi un palco a semicerchio dove è appena iniziato uno show di ballerini tradizionali e reggaetown. Attorno a noi tutti italiani. Ovvero… maschi italiani con cubane. Uno ha fatto sedere una cubana sulle gambe, uno le accarezza i capelli. C’è perfino un ottantenne con una appena quindicenne che si abbracciano, mentre lui le bacia il collo. Da dietro sbuca continuamente il ragazzo che ci aveva baccagliate all’ingresso. A volte solo e a volte con amici. Finché non ci ha chiesto di ballare con lui e Filippo gli ha detto di andarsene, piuttosto infastidito. Vedendo che la situazione degenerava sempre di più, con donne che ci provavano spudoratamente con Filippo prendendolo per mano e parlandogli all’orecchio, decidiamo di andarcene. Vin Diesel ci aspetta fuori dal locale e ci riporta a casa a un quarto alle una. Abbiamo suonato una trentina di volte a Carolina e siamo andati a letto nella nostra casetta nella finta giungla tra i coniglietti azzurri.

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CAMAGUEY 17.11.2011

Dopo una nottata di incubi, riguardanti attacchi terroristici e colpi di stato, mi sveglio alle 8. Facciamo colazione tutti insieme in una stanza semiaperta in fondo alla corte. Carolina ci serve latte caldo, uova, frittata, pane, toast, frutta, succhi di vario tipo, e così via. Decidiamo di passare anche questa giornata a Camaguey e di ripartire la mattina seguente. Alle 9 siamo fuori. Attraversiamo la città a piedi alla volta del mercato, vicino al fiume. Purtroppo si rivela scarno, tiene solo quelle quattro o cinque specie di frutta che si trovano in ogni casa e in ogni ristorante cubano. Infine sfociamo nella sezione dei macellai e la Silvia rischia lo svenimento. Così ci allontaniamo un po’ dal sangue e Filippo e Matteo si avvicinano ad un tiro a segno con i fucili della rivoluzione contro un foglio con disegnato a pennarello il mirino. Il tiro a segno, come molte attività di Camaguey, non prendeva CUC perché non erano abituati ai turisti. Colgo l’occasione per spiegare che a Cuba circolano due monete: Il peso cubano e il CUC (dollaro cubano). Il peso non vale niente e lo usano solo gli autoctoni. Il dollaro cubano invece lo usano i turisti e gli enti e le persone che hanno a che fare col turismo. Vale molto di più. Perciò a Cuba il paradosso è che chi ha una casa particular guadagna più di un ingegnere perché lo pagano con i CUC. Abbiamo preso due risciò-bici che ci hanno portati a giro tutta la mattina per Camaguey. Dapprima ci siamo fatti condurre nella Piazza San Juan de Dios. Bellissima, è ciò che io immaginavo essere il Messico. Una piazza schiacciata dal sole, con una chiesa sui generis, con casettine variopinte. Tra queste c’era anche l’atelier di un artista locale che dipingeva opere in gusto contemporaneo, miste tra sacro e profano, molto belle. Ad esempio rosari neri, pagine della Bibbia e Madonne nere con pezzi di lattina, scritte multicolori e tessuti. Prezzi improponibili per il tipo di viaggio. Sono entrata nella chiesa e ho notato con stupore che sull’altare c’era un grosso albero di Natale addobbato. Riprendiamo il cammino e i risciò ci portano al cimitero di Camaguey. Una struttura infinita che mi ha lasciato un ricordo vivido. E’ bianco, e da fuori è un muro alto pullulante di croci lattigionose, mezze cadenti. Aggirandolo si trova un arco candido con una scritta cristiana “DIO DE’ GLORIA Y PAZ A LOS QUE AQUI REPOSAN”.

Dentro tutte le tombe accalcate ma bianche, d’un bianco accecante, con questo cielo terso, carico di nuvoloni color latte, e le palme, la natura selvaggia. Il sacro e il profano, tipico delle religioni cristiane nei paesi tropicali. Affascinante. I bici-risciò ci portano in Plaza del Carmen. Una chicca. Sempre casine colorate, molto pulita, con statue color testa di moro ritraenti persone nella piazza che leggono, parlano sulle seggiole e portano carretti a braccio. Infondo una chiesa color salmone e una scuola. Pranziamo in un ristorantino nella viuzza dietro la piazza che poi scopriamo essere consigliato anche dalla LP. Specialità della casa agnello, ma nessuno lo prende. Per me riso con salsiccia e banane fritte.

Rimontiamo sui taxi-risciò e io mi addormento. Mi risveglio nella piazza della sera prima, dove avevamo trovato il coche Vin Diesel. Cerchiamo un carro per l’indomani, per ripartire alla volta di Playa Santa Lucia. I maschi blaterano qualcosa con gli autisti della piazza, io continuo a dormire. Mi sveglio quando il risciò riparte. Ci portano aldilà del fiume. Ma non hanno capito niente e ci hanno condotti al noleggio macchine. LI paghiamo (ci fregano chiedono 4 CUC a bici anziché i 3 pattuiti) e andiamo a piedi alla ricerca del coche. Torniamo verso il centro e cambiamo altri euro in CUC in una banca fatiscente. Mentre io mangiavo (strano!) un gelato confezionato Filippo e Matteo avevano fatto conoscenza con un autista cubano ai limiti dell’allucinante: nerissimo, vestito super attillato di celeste tutto marcato Nike, con capelli brunissimi appiccicati alla fronte col gel, iperattivo che continuava a balzellare da un piede all’altro per tutta la conversazione. Diceva di essere maestro di ballo di professione. Ci chiedeva 45 CUC per andare alla playa l’indomani. Diciamo di doverci pensare e ci da appuntamento alle 22 la sera stessa in quella piazza per il responso. Torniamo a casa e scatta il litigio incrociato tra tutti e quattro per via di questo argomento (io e Silvia ci fidavamo di lui mentre Filippo e Matteo volevano prendere l’autista di fiducia dei due padroni di casa) e la cosa è sfociata in temi più a valle fino al litigio finale epico tra Matteo e Silvia sulla loro storia. I poveri Reyes e Carolina hanno fatto finta di niente, fischiettavano, cercavano di non avvicinarsi. Il tutto ovviamente si è consumato nella corte della casa. Filippo se ne va, poi ad un certo punto, stremata, me ne vado pure io nel salottino d’ingresso dove Reyes stava raccontando una storia a Fil. Rimaniamo così a parlare con lui, ascoltando le sue peripezie. Dopo un’oretta Reyes chiede a Filippo di accompagnarlo a comprare una cosa. Fil manda Matteo perché voleva farsi la doccia. I due tornano dopo una mezzora. Reyes aveva regalato a Matteo un sigaro dicendo: “regalo questo sigaro a voi due ragazzi”, ma Matteo se l’è tenuto per sé.

Quella sera siamo rimasti a cena in casa. Carolina ci ha preparato del pollo (semplice, casareccio), del riso, una zuppa di pollo e una di verdure e la solita frutta. Anche in quell’occasione abbiamo ri-litigato perché Matteo sosteneva che fossimo stati ignoranti a non aspettarlo per cena dopo che lo avevamo chiamato tre volte con Carolina che insisteva che cominciassimo altrimenti la roba si sciupava. Un po’ infastidita dall’ennesima discussione inutile me ne vado nella mia stanza seguita da Silvia che va nella sua, mentre i maschi restano a giocare a poker con Reyes.

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CAMAGUEY - PLAYA SANTA LUCIA 18.11.2011

Ci svegliamo presto a causa di alcune urla. Chiediamo a Rey cosa sia e lui sale con noi sull’attico nel punto in cui si intravedono i tetti di Camaguey. Un sacco di gente stava sui tetti delle case e urlava “Vamos, vamos, vamos!”. Si stava svolgendo la gara delle palomas, ossia dei piccioni. Le persone hanno dei piccioni di loro proprietà e li liberano in cielo lontano da casa. I piccioni ritrovano la strada e gareggiano tra loro per chi torna prima. I padroni quindi aspettano le palomas sui tetti delle proprie abitazioni con la gabbia aperta. Un altro ricordo bellissimo di questo viaggio. Scendiamo tutti a fare colazione a base di uova, frutta, succhi e toast. Dopodiché è arrivato il coche, abbiamo scelto quello fidato di Carolina e Reyes, anche se più costoso (55 CUC). Una stazza da far concorrenza a Matteo, con una maglietta nera rock e una macchina rosso fuoco anni cinquanta, talmente comoda da sembrare un divano. Salutiamo i nostri ormai amici Carolina e Reyes e viaggiamo alla volta di Playa Santa Lucia, desiderio di Filippo. Purtroppo la spiaggia è demanio statale e tutte le località turistiche sono piene di resort all inclusive. Non esistono case particolari, alberghini, vie di mezzo. A playa santa lucia abbiamo trovato solo un resort spartano ed essenziale con semplicemente la colazione inclusa. Arriviamo su questo lungomare pieno di strutture alberghiere, ma piuttosto desolato, senza tanta gente. Dalla parte opposta del lungomare il niente. Dei campi, un ospedale. Ma nessuno in giro. Davvero un ambiente smorto. Ci facciamo lasciare a questo hotel economico trovato sulla LP: Hotel Escuela Taraco. Piuttosto delusi dall’ambiente spento e dall’aspetto dell’hotel saliamo sulla tettoia e vediamo un mare, devo dire, molto bello. Unico problema? Un vento da cascare per terra. Ci auguriamo che passi e facciamo il check in. Ci trovano due stanze molto distanti. Le camere sono in queste strutture a casermoni, come le cabine del mare. La nostra è la penultima. Il bagno è pieno di schizzi, squallido, a tratti inquietante. Ma a noi va bene, chi se ne frega. 300 camere per soli 5 presenti. Dopo aver pagato i nostri modici 35 CUC colazione inclusa siamo andati a pranzo nel ristorante dell’hotel. Un posto scarno come tutta la struttura, fatto a vetrate con questi tavoloni ampi ed essenziali. Abbiamo preso pescado con patate fritte, pieno di lische. Finito il pranzo abbiamo risalito il lungo mare, alla volta degli altri resort, per trovare qualche escursione da farsi. Dato che il nostro hotel è l’ultimo la direzione da percorrere è una sola. Il primo che troviamo è il Club Amigo. Bello, attivo, con una grande piscina. Ci spiegano duemila escursioni fattibili. Guardiamo anche i prezzi delle stanze (75 CUC a notte all inclusive). Si procede direzione quarto e ultimo resort, Club Santa Lucia. Chiediamo per l’escursione con i tyburones (gli squali) ma è riservata solo ai divers. Entriamo anche in questo resort. Ancor più bello del precedente, fatto a villaggio vero e proprio con un sacco di bar, la discoteca, più piscine, il lago, il sentierino etc. 85 CUC a stanza all inclusive. Veniamo via di là discutendo sul dove passare le notti successive. Alcuni vogliono restare all’hotel scassato perché è a-morale passare il viaggio negli all inclusive, altri preferiscono ripiegare un paio di notti in questi invece. Filippo propone di andare a vedere cosa c’è oltre i resort, oltre la palude. Prendiamo un carro con i cavalli e ci facciamo portare là. Un viaggio all’avventura all’insegna del mal di sedere, ma esilarante. La palude intorno a noi: mangrovie e acquitrini con granchi ovunque. La località dove stavamo andando si chiamava La Boca, dove i divers si immergevano per vedere i tyburones. Arriviamo e vediamo una casa ogni tanto di pescatori, mare nero, con fondale a scogli. Clima rilassato ed evocativo. In tutta la Boca c’è una sola Casa Particular. Filippo chiede di portarci là, per vederla. La padrona stava cucinando, una bella sala da pranzo a vetri sulla spiaggia con amaca. Il padrone, pescatore, ci ha detto che potevamo andare con lui a pescare. Una stanza a pian terreno con due letti separati, una di sopra in una mansarda immensa con l’unico bagno per gli ospiti. Dopo una serie di discussioni di gruppo decidiamo di non passare la notte là, con grande rabbia da parte di Fili. Ci sono diversi cavalli liberi nei prati e un relitto di barca arenato sugli scogli da chissà quanto. Chiediamo se è possibile fare il bagno e ci viene detto di no, per i tyburones e per la forte corrente. Il vento continua a spazzarci via. La moglie del nostro cocchiere produce braccialetti e collanine e lui ci porta da lei sull’unico bar sulla spiaggia (il Bucanero). Compriamo dei souvenir per amici e parenti per pochi CUC. Silvia, Matteo e Fili mangiano un cocco e Silvia si sente male subito dopo. Torniamo all’hotel al calar del sole. Il vento è salito ancora di più, così chiedo al receptionist dell’albergo le previsioni meteo. Mi dice che farà brutto tempo per altri cinque giorni. Così decidiamo di andarcene il giorno seguente, inutile stare al mare per soffrire il fresco e il vento. Ma l’ultima parola la avremmo avuta l’indomani mattina, vedendo il meteo. Ceniamo sempre al ristorante dell’hotel finendo, come ogni volta, due ceste di pane. Durante la cena mi si chiudevano gli occhi. A fine pasto siamo usciti fuori a sedere su delle poltrone nella hall. E io mi sono addormentata abbracciata a due cuscini. Mi sono trascinata a letto e, prima di riaddormentarmi, io e Fil in camera nostra abbiamo guardato cinque minuti di una telenovela cubana horror, su una casa infestata dai fantasmi.

 

PLAYA SANTA LUCIA – MORON 19.11.2011

Ci siamo alzati alle 7 e abbiamo consumato la nostra colazione inclusa. Penso la più squallida mai registrata nella storia: caffè o latte e toast o uova. Latte peraltro imbevibile. Finito prendiamo un taxi al volo fino al Cuba Club per acquistare due escursioni: a cavallo per 10 CUC (1 ora) e snorkeling alle 13:30. Decidiamo di partire subito dopo l’immersione, perché il vento è forte e il cielo è nuvoloso. Sicché concordiamo con l’hotel un carro per il primo pomeriggio, liberiamo la stanza e andiamo al ritrovo dove partono i cavalli, dietro il Cuba Club. Il cavallerizzo possedeva due cavalli marroni, uno nocciola a pezze bianche e uno bianco leggermente maculato (come ha detto Filippo: sembra abbia la varicella nera). Matteo si è subito buttato su quello nocciola e la Silvia si è infuriata perché lo voleva lei e perché, non essendo andati al delfinario, il suo desiderio alternativo era la passeggiata a cavallo, quindi voleva scegliere per prima il suo preferito. Così dopo una polemica e musi lunghi la Silvia s’impossessa del cavallo nocciola. A me invece tocca quello con la varicella, Torohito. Cavalchiamo per un’ora, all’americana, fino alla palude per vedere i fenicotteri. Il mio cavallo era la testa calda del gruppo, stava sempre indietro, mangiava ogni cosa che trovava, si staccava sempre dagli altri e si faceva i cavoli suoi, infatti il cavallerizzo lo richiamava sempre.

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A fine giro Silvia ha cominciato ad avere una forte nausea e svenimenti. Nonostante averla fatta sedere, stare all’ombra e aver bevuto. continuava a stare male. Filippo insisteva sul tornare all’hotel per farla riposare, io sostenevo che fosse meglio stare fermi là aspettando un miglioramento. Proviamo a fare una ventina di passi e la Silvia inizia a sbiancare a cade quasi a terra, così la porto all’ombra di una palma, la faccio sdraiare sulla sabbia e le sollevo le gambe bagnandole labbra e testa. Ho trovato inoltre nel fondo dello zainetto una scatola di Plasil e gliene ho dato uno. Infatti dopo una quindicina di minuti è stata in grado di continuare. Arrivata all’hotel però non se l’è assolutamente sentita di pranzare e l’abbiamo lasciata sui divani della hall a riposare. Io uscivo continuamente a vedere la sue condizioni di salute, ma stava sempre male. Allora l’ho obbligata a mangiare del pane e, una volta fatto, è stata improvvisamente bene. Probabilmente le era sceso giù meglio il Plasil oppure aveva bisogno di calorie. Fatto sta che ha accettato di venire all’escursione. Il pullmino che faceva il giro degli hotel è passato a prenderci e abbiamo fatto esattamente cinquanta metri fino al molo davanti al nostro hotel dal quale partiva il catamarano. Su questo coso c’era il banchino bar, la musica a tutto volume caraibica e personale parlante perfettamente l’italiano. Classica cosa da sfiga-villaggio-allinclusive. A parte le alghe odiose che imperano in questo periodo dell’anno il mare era meraviglioso, soprattutto andando a largo. Il mozzo con cui abbiamo fatto amicizia ci ha detto che i mesi migliori sono Maggio ma, soprattutto, Giugno, quando il mare è calmo, non tira vento e fa caldo. Mentre Novembre è il mese delle alghe e dei venti. Infatti l’escursione che stavamo facendo avrebbe dovuto toccare moltissimi punti della barriera corallina invece ci siamo limitati ad un’unica zona per via delle onde e della corrente, molto pericolosa. La barriera di Playa Santa Lucia è la seconda più lunga del mondo dopo il reef australiano. Arrivati a largo il vento ha cominciato a tirare ancora più forte,  oltretutto la corrente era micidiale, così nessuno si è buttato. Tranne noi e un’altra coppia. L’acqua alla vista era meravigliosa, sembrava di essere in una piscina. Ma era fredda e il vento congelava l’acqua addosso. Ma una volta tuffati non si sentiva più niente, il problema era la corrente che ci portava lontano, alzavi la testa a pelo d’acqua e ti accorgevi di essere lontanissimo. La barriera non era male, nettamente meglio di Playa Ancon. Ma ricordando la rigogliosa e splendida barriera malese direi che faceva piuttosto schifo. Pericolosa la risalita perché la corrente ci spingeva contro il catamarano, quindi ci sono venuti un po’ di lividi. Ci siamo asciugati velocemente al sole e siamo tornati a riva. Siamo tornati all’hotel ad aspettare el coche. Io e Silvia ci siamo buttate sui divani, mentre Filippo e Matteo sono andati al bar a prendere un tramezzino e si son messi a guardare con il barman la partita del Napoli. Poi è arrivato el coche. Per 90 CUC ci avrebbe portati a Moron. Primario dell’ospedale di Playa Santa Lucia con la maglietta dell’Italia Campione del Mondo, baffetti e scarpe bianche da ginnastica. Gli abbiamo domandato, durante il viaggio, come mai facesse il tassista. Ci ha raccontato che lui, come medico, guadagnava il corrispettivo in pesos di 30 CUC. Rideva dicendo che il viaggio che stavamo facendo lo faceva guadagnare tre volte tanto il suo stipendio mensile da primario. Abbiamo parlato tanto con lui. Ci ha raccontato che aveva lavorato come dottore in Guatemala, in Jamaica e in un altro paese latino. Lo stato cubano non consente che tu vada via a vita. I lavoratori sono di proprietà statale, come se fosse un’azienda. Una volta tornati a casa devono dare il 50% del guadagno allo stato. Sicché quando è tornato è riuscito a comprarsi la macchina e la casa e così ha cominciato a fare el coche per guadagnare qualcosa in più. Lui smonta da lavoro alle 16 e fa il tassista per centinaia di chilometri, fino a notte fonda. CI ha anche raccontato che i cubani, fino a 10 anni prima, non potevano parlare coi turisti se non di nascosto. Fortunatamente con l’invecchiare di Fidel e l’avvento di Raul la situazione è migliorata. Ora capisco perché sono tutti così interessati al viaggiatore.

Ci fermiamo ad un posto di blocco, col buio pesto. Il poliziotto ha acceso la torcia e ha chiesto al dottore: “Sei con la tua famiglia?” e lui “Sì”, allora l’ha salutato con un sorriso e l’hai fatto andare via. Quando siamo ripartiti il coche ci ha fatto “che stupidi che sono i poliziotti, mi hanno chiesto se eravate la mia famiglia e gli ho detto di sì… ma siete tutti bianchi!” e siamo scoppiati tutti a ridere, in effetti il dottore era nero come un tizzone.
Siamo arrivati a Moron col buio pesto, rischiando di investire di tutto. Prima il dottore ci ha portati a casa di un altro autista per fissare per il giorno seguente. Infatti il nostro piano era quello di appoggiarci a Moron per dormire e poi andare tutto il giorno a Cayo Guillermo e Cayo Coco (il mio desiderio del viaggio), infatti queste località balneari hanno solo alberghi all inclusive molto costosi, niente a che vedere con Playa Santa Lucia. Il coche ci ha portati insieme al dottore ad una casa particolare di Moron, “DR. SILVIO CEPERO-FRANCO, CASTILLO 99 % AGRAMONTE Y LIBERTA, MORON, CIEGO DE AVILA. Mobile 01-52844034, mail scepero@moron.cav.sld.cu”. Così siamo ufficialmente entrati nel giro dei dottori. Anche Silvio, il padrone di casa, lo era. Tossicologo e farmacologo per la precisione. Un uomo magro, posato, con un sorriso di porcellana bianco ottico, e occhi color miele. L’abbiamo ribattezzato Il Vampiro. La casa bella, spaziosa, in stile cubano con sala all’ingresso, corridoio con affacciate le stanze e, in fondo cucina e poi giardino. Io e Fil ci siamo accampati nella prima stanza. La cosa più inquietante era la pulizia. Era talmente maniacale che non c’era un granello di polvere. Ci si poteva mangiare in quel bagno. Fil e Matte sono andati a fare un giro per Moron, io e Silvia invece ci siamo riposate un po’. Lei continuava ad essere stremata per il collasso della mattina, infatti tremava e si è fatta portare una coperta di lana. Dopo una breve dormita son tornati gli altri due. Abbiamo cenato in casa, nel giardino circondato da un orticello puzzolente di sterco, con una musica fortissima reggaetown proveniente dal retro. Silvio ci ha spiegato che era una discoteca ma per ragazzini. Così abbiamo cenato con sottofondo Pittbull, Shakira e musiche cubane. Silvio ha anche preparato un piatto caldo speciale per Silvia che non si sentiva bene. Zuppa di verdure calda. Oltre a questa siso bianco, riso con fagiolini neri, banane fritte, patatine fritte, solita frutta, pancarré, aragosta (ma cotta male, tutta bruciata, sapeva di cenere). Finita la cena siamo andati a letto Silvio, prima che entrassimo nelle stanze, ci ha detto che lui e la moglie sarebbero andati a ballare e che se ci fossimo voluti unire gli avrebbe fatto piacere. E sorrisone vampiresco annesso. Ma siamo crollati. Mi sono solo leggermente svegliata alle 1:30 sentendo Silvio e la moglie che rincasavano dalla discoteca.

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CAYO GUILLERMO – PLAYA PILAR – REMEDIOS  20.11.2011

Ci siamo alzati decisamente presto usufruendo di un’ottima colazione, dopodiché è arrivato el coche concordato la sera prima. Abbiamo pagato il conto a Silvio (25CUC a stanza più i vari pasti) e ho ammirato le foto professionali dei suoi figli troneggianti in salotto. Abbiamo salutato i vampiri e ce ne siamo andati nella macchina striminzita del coche. Ormai ci eravamo abituati alle macchine spaziosissime anni 50. Matteo, il più grosso, stava davanti. Io, Fil e Silvia dietro e si stava spaparanzati, con finestrini mezzi abbassati, situazione perfetta insomma. Invece tornare a una Hyunday utilitaria con tutta la roba da mare e gli zaini… è stato tragico. Dopo un’ora di noioso silenzio siamo arrivati al bivio tra Cayo Coco e Cayo Guillermo. I cayos sono lingue di terra in mezzo al mare, molto simili alle Keys in Florida, dovevamo scegliere in quale andare. Sicché ad una rotonda ognuno diceva quello che voleva fare, il coche continuava a girare, sembravamo matti. Alla fine ha vinto Cayo Guillermo, dove Hemingway soleva pescare. Abbiamo attraversato delle zone paludose fino a che non siamo arrivati a Cayo Guillermo, mare bellissimo multicolore, ma un vento micidiale. Abbiamo deciso di procedere altri 10 km fino a Playa Pilar, una spiagga famosissima di Cayo Guillermo, considerata una delle 10 spiagge più belle del mondo. Siamo arrivati alla Playa, alla quale si accede tramite pontile attraverso un bar. Il coche ci ha salutati. Di prima mattina la spiaggia era vuota, molto bella, il mare simile a quello di Playa Santa Lucia (chiaro, smeraldino), ma come valore aggiunto c’erano delle lingue di sabbia formanti delle piscine naturali e dei ruscelli trasparenti.

Unico problema: il solito odioso vento da cascare per terra. Abbiamo lasciato gli zaini nel retro del bar per gentile concessione del proprietario e siamo scesi in spiaggia. Io e Silvia ci siamo subito buttate. Fil è rimasto sulla spiaggia e Matteo se ne è andato da qualche parte a piedi chissà dove. Comunque noi due ci siamo divertite molto. Anche se io preferisco il clima caldo. Il vento era insopportabile e le giornate stavano lentamente rinfrescandosi. Dopo il bagno siamo andate nei ruscelli naturali a prendere il sole ed è stato un momento paradisiaco. Filippo e Matteo dopo un po’ se ne sono andati al bar. Noi siamo rimaste nell’acqua un altro po’ finché non sono venuti due bagnini ventenni super muscolosi a baccagliarci, così siamo andate anche noi al bar. Abbiamo pranzato e abbiamo deciso di ripartire nel primo pomeriggio direzione Remedios. Così abbiamo chiamato el coche di prima tramite il telefono del bar, il quale sarebbe arrivato non prima delle 15. Io e Silvia allora abbiamo provato a tornare in spiaggia ma era salita la marea e non c’erano più piscine e ruscelli. Allora ci siamo messe a sedere su un tronco bianco, ma il vento ci stava stordendo, così siamo ritornate un’altra volta al bar. Fil  e Matteo stavano giocando a bocce sotto il bar e avevano fatto gente, tutti a guardarli e a tifare dal pontile. Dopo un pochino ci siamo incamminati davanti al parcheggio ad aspettare el coche. Ma Filippo ha cominciato a sentire male ad un rene [n.b. lui ha diversi calcoli ed è stato recentemente] quindi super corsa indietro a prendergli una bottigliona d’acqua. Alla cassa ho incontrato uno che poi ho scoperto essere il nostro nuovo coche, cognato del precedente. Uguale ad un vocalist delle discoteche fiorentine. Abbiamo contrattato 100 CUC per Remedios. Lui faceva un sacco di domande. Soprattutto sulla mafia. Siamo arrivati a Moron e abbiamo fatto cambio di autista, perché è subentrato il nostro vecchio coche. Fil è entrato in casa sua per andare al bagno e ha detto che aveva un televisore a schermo piatto, un sacco di cose tecnologiche e un arredamento molto curato. Il viaggio nella minuscola Atos da Moron a Remedios è stato pericoloso e difficile: macchine in contromano, cani ovunque per strada, perfino galli, insomma di tutto. Siamo arrivati a Remedios alle 19. Il Vampiro ci aveva dato il biglietto da visita della casa Particular di un’altra dottoressa. Siamo stati mezzora a giro per Remedios per trovare la casa indicata. E ci siamo accorti che la città è piana di belle villettine, evidentemente molto ricca. Alla fine ci ha fatto scendere davanti ad un villone azzurro. “LA ESTANCIA. Sir. Noly y Amarelys, Calle Camili Cinefuegos n° 34 e/ Ave General Corrillo y José A Peña-Remedios , mail: noly64@gmail.com”.

Ci apre il portone Noly. Un signore alto, butterato, con abbigliamento sportivo occidentale e capello grigio fluente. Un signore molto distinto, di un certo livello. La casa: un miraggio. Una delle dimore più belle mai viste. Pianoforte a coda, bagni in marmo con vasche e docce super curate, oggetti d’antiquariato ovunque, un giardino stupendo, pappagalli nelle voliere, piscina privata e non so quante altre cose meravigliose. Abbiamo scoperto che lui di lavoro faceva prima il mercante d’antiquariato e poi si era messo a fare il fotografo. La moglie invece è una dottoressa di medicina interna. Insomma… ricchissimi, con agganci ovunque, addirittura Noly l’anno prima era andato con la figlia a Miami a vedere il concerto di Laura Pausini…

A noi è toccata la stanza con la doccia di marma incassata nel muro con addirittura specchiera e due letti matrimoniali, mentre a Matteo e Silvia l’altra con vasca e tre letti matrimoniali. Abbiamo sfatto le valige e data mezza roba da lavare a Noly. Quest’ultimo ci ha anche mostrato delle località da vedere i giorni seguenti: Yaguajay (cascate e piscine naturali nella giungla, simili a El Nicho ma più scenografiche) e un posto di mare cristallino di nome Cayo Santa Maria, dice che là non tira vento perché è un’insenatura riparata. Così abbiamo deciso di restare a Remedios per 2 notti e di fare tutte e due le cene in casa. Dopo aver visto le foto di Noly dei posti da vedere siamo rientrati nelle stanze e io mi sono accorta di non avere più una delle mie due macchine fotografiche, la Coolpix. Noly ha subito chiamato l’autista che era quasi arrivato a Moron e gli ha detto di portare la macchina al Dottor Silvio (il vampiro) e ha chiesto a Silvio di portarcela l’indomani. Ho fatto la doccia e mi son asciugata i capelli in veranda con la Silvia. Dopodiché ci siamo goduti una cena stupefacente nel giardino-giungla. Avevamo ordinato la specialità della casa. 15 CUC per: frutta di ogni genere, zuppa di pesce divina e un vassoio di granchi (20), aragoste (6), gamberi, pescado e condimenti vari, tipo arroz (riso), frutta, puré, etc. Tutto squisito.

Giusto per non farci mancare niente abbiamo anche accettato il vino bianco cileno propostoci da Noly per 15 CUC, unico posto in tutta Cuba in cui abbiamo visto del vino. A fine cena eravamo pieni come uova. Per digerire la cena ho deciso di prendere una Coca-Cola. Noly lì per lì ha asserito di non averla, ma dopo 10 minuti è rientrato con una Coca Cola in mano che era andato a prendere apposta per me a piedi in piazza. Io sconvolta. Nella vegetazione abbiamo scorto un bassotto con le orecchie che si alzavano se emozionato, lo abbiamo ribattezzato “Cane Volante”. Siamo tutti crollati dal sonno pochissimo dopo. La seconda metà della notte è stata tremenda: gli autocarri correvano a tutta velocità nella strada dietro di noi e sembrava che ci entrassero nella stanza, spesso suonavano i clacosn ed erano spaventi!

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REMEDIOS – CAIBARIEN – YAGUAJAY  21.11.2011

Mi sono svegliata prima alle 5 e poi alle 5.50 con la colite. Ho continuato a star male per diverse ore. Dal dolore ho deciso di svegliare Filippo. Una volta svegli siamo andati tutti a fare colazione, tranne la Silvia che ci ha raggiunti dopo. Colazione muy buena. Tortilla de hueva, leche caliente, succhi di frutta, pane buonissimo, banane fritte, tramezzini di sfoglia con jamon y queso o con jamon dolce , frutta fresca e biscotti grandi con marmellata. Dopo la colazione io e Fil abbiamo rifatto gli zaini, infatti per il giorno seguente avremmo dormito tutti in camera di Silvia e Matteo perché la nostra stanza sarebbe stata occupata da altre persone. E’ venuto a prenderci Raoul, il coche personale di Noly, e ci ha portati a Yaguajay passando per il paesino di Caibarien (piccolo ma simpatico). Solita macchina anni cinquanta stupenda e spaziosa. Da fuori Yaguajay sembrava la brutta copia di El Nicho. El coche ha parcheggiato il carro all’inizio del sentiero sterrato e noi abbiamo continuato a piedi. Si è presentata dinnanzi a noi la guida del parco. Un ragazzotto magrissimo, di carnagione chiara ma abbronzato, castano, con bellissimi occhi azzurri, cappello di paglia, maglia a maniche lunghe con bottoncini in cima monocolore, scalzo e pantaloni color kaki vissuti. Lo abbiamo ribattezzato Trinità per la somiglianza con Terence Hill. Abbiamo pagato 10 CUC e Trinità ha cominciato a farci strada tra i sentieri. Già scorreva silenzioso qualche ruscello trasparente tra la vegetazione. Ma niente a che vedere con l’incantevole spettacolo al quale abbiamo assistito dieci minuti dopo. Un fiume profondo un metro, totalmente trasparente, in mezzo alla giungla. E, poco prima, una cascata vigorosa tra il verde smeraldo delle piante. Nettamente più bello di El Nicho. L’acqua gelida, non ha nessuno se l’è sentita di fare il bagno, anche per la super colazione appena consumata. Vicino alla cascata si stagliavano delle grotte. Abbiamo proseguito il cammino scegliendo il percorso più breve, anche ugualmente impervio. Siamo arrivati così ad un posto che popolerà per sempre i miei sogni e le mie fantasie. La The Beach cubana. Per chi ha letto il mio diario di viaggio precedente del sudest asiatico “questo posto è il cane giallo del mio viaggio”. Un posto pregno di magia. Cascate, grotte e ruscellini incorniciavano una piscina naturale calcarea celeste fluorescente semicoperta in alto dalle fronde degli alberi. Il tutto circondato dalla giungla. Acqua limpida incontaminata. Non un briciolo di terriccio nelle acque, né foglie galleggianti. Un paradiso. Dopo diverse foto Filippo e Matteo si sono buttati in acqua insieme a Trinità (con i pantaloni addosso). Poi li abbiamo seguiti. Unico problema? Acqua marmata. Poi siamo ritornati indietro e abbiamo ripercorso il sentiero al contrario arrivando al punto di partenza. Un signore vendeva braccialettini di cocco, ne abbiamo presi un paio. Abbiamo pranzato nella macchina del coche col pranzo al sacco che ci aveva preparato Noly. Nel frattempo Trinità, salito sul suo purosangue, ha cominciato a cavalcare per le praterie salutandoci col cappello. Da film.

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Dopodiché, ripassando da Caibarien, siamo tornati a casa. Il tempo di posare le cose e siamo usciti subito a vedere Remedios, che è tutta concentrata attorno ad una piazza principale, Peraltro unica piazza in tutta Cuba ad avere due chiese. La LP la cita tra i posti da non perdersi a Cuba per la magia e il mistero. Sinceramente non siamo riusciti a trovare storie e leggende su Remedios, per cui l’ho vissuta relativamente. Comunque un paesino davvero mignon. Abbiamo cercato una banca dove ritirare i soldi e ci siamo accorti più che mai della differenza tra cubani e turisti. Appena abbiamo varcato la porta della banca tutti i cubani ci hanno fatto passare avanti. Comunque la banca non prendeva le carte di nessuno tranne che quella di Fili (soprattutto il circuito Mastercard a Cuba è assente). A me è tornata la colite, così ho fatto dietrofront per casa insieme a Silvia e siamo state a chiacchierare tutto il pomeriggio in giardino. Poi sono tornati Filippo e Matteo che si erano ubriacati di bevute fatte con la gente del posto. Ma Matteo, annoiandosi, è riuscito fuori da solo. Io, Filippo e Silvia abbiamo fatto dei giochi mentali in giardino divertendoci molto e rilassandoci un po’. Abbiamo chiesto a Noly se ci preparava qualcosa per merenda e lui ci ha riscaldato un panino al latte con l’olio nuovo. Goduria infinita. Nel frattempo il vampiro dottor Silvio da Moron aveva fatto mandare la mia macchina fotografica tramite pullman Via Azul a Santa Clara. Così Noly, dopo una conversazione al telefono supplichevole con l’autista del Via Azul per lasciare la macchina a qualche altro dipendente, ha mandato il suo coche a prendere la macchina fotografica. Ho pagato 30 CUC (il prezzo della benzina e del disturbo) e ho riavuto la mia Coolpix. Anche questa esperienza ha sottolineato l’onestà e la bontà dei cubani. Considerando in quante mani è passata la macchina sono rimasta sconvolta dal fatto di averla riavuta senza neanche un graffio il giorno seguente… E’ tornato Matteo nel momento in cui è stata servita la cena a tavola. Puerco per i maschi, pollo per me e paella enorme per la Silvia. Dopo tre forchettate perà era piena e quindi, per non offendere Noly, ha nascosto tutto il riso dentro le chele del granchio. Dopo cena Noly ci ha mostrato il suo rhum da collezione. Abbiamo chiesto dove lo vendessero e lui ha detto che aveva due sole scatole e ne avrebbe potuta ricavare un’altra tramite sua madre. Così per 40 CUC lo abbiamo comprato io, Silvia e Fil. Matteo lo avrebbe preso “migliore” all’Havana. Dopodiché io sono svenuta dal sonno. Ho dormito nel letto con Silvia (quella notte ci sarebbe stata solo una camera disponibile), tempo tre secondi ero crollata. Fil e Matteo invece sono usciti per andare a bere qualcosa ma dopo mezz’ora sono tornati distrutti anche loro.

 

REMEDIOS – CAYO SANTA MARIA – SANTA CLARA – HAVANA 22.11.2011

Ci siamo alzati e io ho avuto l’ennesima colite. Così ho preso qualche medicina. Abbiamo fatto colazione abbondante in giardino, stavolta con anche Leche de Rhum, e abbiamo preparato le valige. Il conto era salato ma, dopo una vivace conversazione in macchina, abbiamo concordato che fosse l’onestissima cifra di 30€ a testa. Il che per mangiare pesce, bere vino, dormire in una suite e stare da nababbi era davvero poco! Il coche di Noly ci avrebbe portati prima al mare a Cayo Santa Maria e poi a Santa Clara dove avremmo preso un bus o un altro coche per L’Havana. Il tutto però dopo aver ritirato i soldi ad un bancomat dato che non avevamo neanche il denaro per pagare il rhum!

Siamo così partiti alla volta di Cayo Santa Maria. Un’ora e mezza di auto. Per la strada abbiamo trovato l’ennesimo cartellone ritraente i visi di 5 persone con scritto ‘i 5 eroi’. Io pensavo, dalle immagini riportanti loro in prigione, che questi cinque avessero fatto propaganda contro il Governo e fossero stati arrestati. Invece Raoul, el coche, ci ha detto che questi erano 5 spie cubane negli Usa e, da quando erano stati beccati, stavano scontando tantissimi anni di prigione, fino a trenta.
La strada per arrivare a Cayo Santa Maria è come quella per Cayo Guillermo o come le Keys in Florida: ponti sul mare molto lunghi. Dopo un interminabile ponte è apparso l’aeroporto. La spiaggia che ci aveva consigliato Noly (la più riparata dai venti) era la prima sulla sinistra dopo l’aeroporto. Raoul ha girato sullo stirato e si è fermato in prossimità della spiaggia. No ristoranti, no turisti. Niente. Spiaggia trasparente incontaminata, senza le solite maledette alghe e senza vento. Solo un vecchio pontile di legno e degli ombrelloni di paglia di proprietà di nessuno. Già da lontano il mare sembrava bello, ma avvicinandoci ci siamo resi conto di essere in un sogno. Sabbia soffice chiarissima, mare trasparente con chiazze blu ogni tanto, suggestivo. Cento metri più a sinistra soltanto due genitori con una bambina, lui cubano e lei italiana. Siamo stati ore in acqua. Il pochissimo vento ci ha consentito di godere del calduccio. Poi abbiamo preso il sole sul pontile. Verso mezzogiorno siamo venuti via. Per la strada si è rotta la macchina. Dopo più di quaranta minuti di aggeggiamenti vari, con l’aiuto dei due maschi e dopo telefonate del coche a Noly, la macchina è miracolosamente ripartita. Siamo però ripassati da Remedios per avere l’ok di Noly. E, una volta ricevuto, abbiamo proseguito direzione Santa Clara. Siamo arrivati a Santa Clara con blocchi stradali ovunque per qualche incidente o lavoro in centro. Roul allora ha aggirato la città per almeno venti minuti e, alla fine, ci ha portati ad un bancomat. Ovviamente il mio continuava a non fungere (stramaledetta Mastercard) ma gli altri fortunatamente son riusciti a prelevare e quindi abbiamo pagato Raoul (anche per il rhum di Noly) che ci ha lasciati poi in un luogo assurdo. In pratica si tratta di un marciapiede lungo il quale vi sono degli autisti di macchine. Questi hanno portato qualcuno in città e aspettano là che qualcun altro  risalga verso la città di partenza, per guadagnare qualcosa anche sulla benzina del ritorno. Per questo sono super economici. Ma la cosa è illegale, per cui Raoul è sceso prima da solo, ha parlato con qualche autista e alla fine ci ha caricati su un altro carro. Il nuovo coche era un mastino di un metro e novanta, ticcio, con tatuaggi ovunque, bianco e con un pizzetto squadrato. Non particolarmente simpatico, ma intrinsecamente dolce come tutti i cubani. Siamo partiti ma abbiamo girato un’ora dentro Santa Clara per uscirne, poi è passato da casa a cambiarsi la maglietta (noi preoccupati in macchina) e infine a fare la benzina fuori da Santa Clara. Il bello è che in questo posto nel nulla c’erano solo dei contadini, uno s’è avvicinato col machete in mano. Ci ha guardati e ci ha indicati col machete, e il coche con una risata gli ha detto qualcosa. Vai, ci siamo detti, ora ci fanno la festa! E invece siamo ripartiti subito dopo, col tramonto. Ad un certo punto Fil e Silvia hanno cominciato a cantarmi tanti auguri. In Italia era appena cominciato il mio compleanno :) Dopo diverse ore di macchina, e un tramonto mozzafiato fuori dal finestrino, siamo arrivati all’Havana. Noly ci aveva dato un indirizzo all’Havana ma non in centro, nella zona nuova. Un altro dottore. Siamo arrivati ma il dottore aveva terminato i posti, ci ha mostrato una casa particular accanto alla sua abitazione. Dopo diverse discussioni abbiamo deciso di accettare. Abbiamo pagato il mastino e siamo andati nella casa. Figlio di quarant’anni sottomesso e iper servizievole e mamma anziana tutta incartapecorita che lo comandava a bacchetta. Sembrava di vedere Smithers dei Simpson con sua madre. Ci hanno accolti gentilmente. A Silvia e Matteo è toccata la prima stanza, con la vasca. A me e Fili la seconda con un bagno orrido. La casa non presentava alcun elemento affascinante tipico delle abitazioni cubane. Non un corridoio semi aperto, niente verde. Una casa chiusa, stipata, piuttosto anticotta, non mi piaceva per niente. Comunque dopo la doccia, e dopo esserci sistemati, siamo usciti per l’Havana con il buio. Siamo andati nella strada principale del quartiere, un’arteria grossa, piena di traffico, e abbiamo fatto autostop. SI è fermato un taxi collettivo. Siamo saliti e per qualche CUC o peso cubano (prendevano tutto) ci hanno portati all’ingresso dell’Havana Vieja. Siamo andati a cena ad un ristorante che ci avevano consigliato gli amici del taxi. Sotto le arcate di un portico sorgeva l’ingresso, bisognava salire della scale e si entrava nel ristorante. La pecca? Tutti italiani. Che è un problema comune a Cuba, specialmente all’Havana. Ma eravamo stati bravi a scartare i circuiti turistici, invece ci siamo cascati come pere cotte la penultima sera. Comunque avevamo troppa fame per non entrare. Le cameriere, vestite da cavallerizze sexy (pressoché nude) ci hanno portato i menù. Silvia ha preso la pizza, è stata derisa da tutti e ha cominciato un litigio incrociato. Matteo, cogliendo la palla al balzo, ha cominciato a stuzzicarla. Alla fine ha provato a mettere in mezzo me e io mi sono infuriata. La discussione è terminata. Nel locale c’erano 10 gradi, un freddo assassino, infatti mi son presa il mal di gola. Comunque il clima è cambiato dalla prima volta all’Havana a questa. Adesso si gira in felpina la sera, la prima volta a malapena una camicetta. Dopo cena ci siamo fatti un giretto a piedi e poi siamo tornati davanti al ristorante per prendere un taxi fino a casa. Siamo crollati a letto veramente distrutti. Con certi ritmi è una cosa normale.  

 

L’HAVANA  23.11.2011 -il mio compleanno!-

Di notte ho dovuto spegnere il telefono da quanti messaggi mi stavano arrivando. Oltretutto ho cominciato a grattarmi nel dormiveglia da strapparmi la pelle. Ci siamo svegliati e Filippo mi fa “ma quante zanzare c’erano stanotte?” e notiamo che la finestra era chiusa. Io oltretutto avevo dormito con una felpina e i pantaloni fino al ginocchio, eppure ero piena di bolle grosse e rosse in tutto il corpo. La Silvia viene da me e mi porta una lettera, la leggerò più tardi. Usciamo di casa velocemente per andare in centro. Ci facciamo una bella girata con anche colazione in una bettola scrausa per turisti. Ci rendiamo conto di quanto l’Havana non sia Cuba. Manca la magia. Dopo un bel po’ di camminata, e dopo esserci fatti tutto il mercato chiuso, siamo finiti nel quartiere cinese. Una stradina con lanterne rosse e dragoni, folkloristica ma buffa. Abbiamo preso un bici-risciò e siamo andati fino alla Plaza Vieja, quella del primo giorno. Abbiamo pranzato in una delle strade principali con i churros (pasta della pizza fritta ma con lo zucchero)… li avevo mangiati a inizio mese a Madrid con la cioccolata calda, ma questi erano ancor più divini. Io e Silvia ci compriamo anche dei cd reggaetown con i cubani che mettevano le canzoni ad uno stereo e le ballavano tutti insieme. Molte attività sorgono nell’atrio delle palazzine. Si mettono sulle scale e vendono di tutto, col portone aperto. Ho cominciato a fare foto ai volti della gente, pratica che avevo già cominciato in India e che avevo trovato affascinante. Riesco ad instaurare un rapporto di simpatia con l’altro, per cui quasi sempre nelle foto le persone sorridono o ridono. Sono felici insomma.

Troviamo anche un bel mercatino dell’antiquariato in un giardino bellissimo, dei venditori di cani ambulanti con anche un husky (disgraziati, alcune chiese in gusto antico.

C’è un negozio che ha davanti a sé una fila interminabile. Chiedo a qualcuno cosa sia e mi rispondo che è dove il governo da il pane, ci si presenta con la tessera. Un po’ come durante il nostro fascismo. Queste cose mi mettono i brividi. Poi Matteo fa amicizia con uno e compra dei sigari in casa sua. Saliamo in una palazzina con una corte interna con tutti i panni stesi. Ci fa entrare in casa. C’è uno che dorme sul divano, bambini per terra, tv accesa. Sembriamo assistenti sociali che vengono a portar via la prole. No, invece noi entriamo in camera da letto dove ci sono 8 valige aperte sul materasso con mercanzia d’ogni genere. Io esco, vado sulle scale esterne affacciate sulla corte. Faccio amicizia con due cubani e si parla per mezz’ora. Dopodiché, quando gli altri tornano, questo mi fa: sei l’italiana più intelligente che abbia mai conosciuto. Menomale... dico io. Camminando mi rendo conto che i pinzi diventano sempre più grossi e ne siamo pieni sia io che Filippo. Mentre Matteo e la Silvia sono intatti. Così prendiamo subito un taxi sul Malecon e ci facciamo portare alla Casa Particular di Smithers e mammina, spieghiamo la situazione, paghiamo, facciamo le valige e ce ne andiamo. La mammina nella stanze prima arrabbiata poi supplichevole dicendo che lei fa sempre la disinfestazione, che non può essere nulla. Tornati in Italia invece avremmo scoperto che quelli erano morsi di pulci e mi sarebbero rimasti i segni per due mesi. Con gli zaini carichi ci facciamo riportare nella prima abitazione all’Havana, quella delle due zie. Habitaciones los leones. Quando ci vedono ci accolgono come figli con baci e abbracci. Gli chiediamo una stanza ma loro dicono di essere piene, tutte dispiaciute. Allora ci fanno accomodare e iniziano una lunghissima serie di chiamate (siamo stati là oltre un’ora) a tutte le case particolari di L’Havana. Ma nessuno aveva due camere libere. Poi gli hanno detto del mio compleanno e queste mi hanno abbracciata tutte felici, ci hanno regalato due bottiglie d’acqua e qualcosa da mangiare. Sono state dei tesori. Alla fine hanno trovato una casa libera. Sempre in centro, dietro il Campidoglio. Ci è venuta a prendere una giovane donna molto bella con lunghissimi capelli riccioli, mulatta, alta e magra, assieme ad un ragazzo. Avevano una 500 d’epoca. Hanno deciso che donne e bagagli sarebbero andati in auto mentre gli uomini a piedi. Guidava però il ragazzo e ci ha raccontato di essere professore di Ingegneria alla tenera età di 25 anni. Tutti bravi questi cubani! La casa era nella via dietro in Campidoglio, ultimissimo piano con un bellissimo terrazzo. Un appartamento. Le camere semplici ma carine, una bella sala con divani rossi e una cucina. Davvero delizioso. Siamo state in terrazza ad ammirare il magnifico tramonto sull’Havana. Poi sono arrivati i ragazzi. I due accompagnatori ci hanno chiesto cosa avremmo voluto per colazione il giorno dopo, che loro vivevano dalla parte opposta della strada e sarebbero tornati l’indomani mattina. Abbiamo anche fissato un carro per l’aeroporto per le 16 del giorno seguente. Così ci siamo lavati, sistemati e siamo andati a cena fuori. Per festeggiare il mio compleanno abbiamo deciso un posto particolare. Proseguendo per la nostra via direzione Campidoglio abbiamo trovato sulla destra il ristorante che ci consigliava la padrona di casa. Molto famoso all’Havana, infatti abbiamo fatto quaranta minuti di coda sotto questi portici puzzolenti di urine. Siamo saliti e abbiamo aspettato nell’ingresso arredato kitch per un altro quarto d’ora. Alla fine ci hanno dato un tavolo tondo in una delle stanze del locale. Aria condizionata sempre glaciale, infatti con due camicette una sull’altra pativo freddo. Abbiamo ordinato una serie di cose dai titoli invitanti. Filippo ad un tratto mi fa “non mangiare questo gambero, è amaro, sicuramente è andato a male”. A fine cena un dolcino per festeggiare, ma zero candeline… Poi siamo andati a prendere dell’alcool per farci dei drink in terrazza, ma Fil ha cominciato a dire che tremava, che non stava bene. Vai, ho pensato, come ogni viaggio ora si sentirà male… detto fatto… siamo stati 4 ore svegli con lui che aveva i sintomi dell’infarto, la tachicardia, che ha vomitato per almeno sei volte, e poi sveniva. Ovviamente se ne erano andati tutti a dormire, tranne io che cercavo di far riprendere Filippo. Alla fine, fortunatamente, dopo averlo fatto bere e dopo un plasil si è addormentato a letto. Ho passato un bel compleanno sì…

 

HAVANA  24.11.2011

Abbiamo passato l’ultima mattinata divisi. Matteo a fare shopping da solo per l’Havana, perdendosi diverse volte. Io, Fil e Silvia vedendo le ultime bellezze della capitale. Tipo Plaza de la Revolucion, il bar di Hemingway, alcuni atelier di pittori locali, parti mai viste dell’Havana Vieja, siamo andati in un bar con musica dal vivo etc. Ci siamo ritrovati tutti insieme per pranzo, quando siamo andati in un bar con le seggioline esterne in una zona turistica del centro. Abbiamo preso la pizza perché non avevano altro che cibo italiano. Bassa, cattiva, ma ok. Dopo pranzo abbiamo fatto un ultimo giro e siamo tornati alla casa paritcular. Dopo aver riempito le valige la mamma della padrona ci ha portati all’aeroporto per 25 CUC.

 

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Ultime impressioni: Cuba ha affascinato tutti, è un paese meraviglioso, un tuffo in un’altra era, con la macchina del tempo. Perfino Filippo, che inizialmente era scettico, l’ha definita “divertente, molto bella, unica”. Lasciando questo paese penso a tutte le persone straordinarie che abbiamo conosciuto e gli auguro la Libertà, più di ogni altra cosa. Hasta luego Cuba.

 

 

Federica

federica.orzati@gmail.com 

 

 

 

 

 

 

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