In India anche le tigri sono vegetariane

di Andrea Veggetti

 

Tutte le volte che ci torno mi ripeto sempre la solita frase: “Ma come e’ cambiata Delhi !” e, in effetti, nuovi ponti, nuove strade, addirittura la metropolitana, un cantiere a cielo aperto unico, manco fosse la Salerno-Reggio Calabria con l’unica differenza che qui nel giro di sei mesi i lavori li finiscono e anche bene.

Ricordo che anni fa per spostarci in auto di una trentina di chilometri fuori Delhi ci mettevamo un paio di ore con il solito punto interrogativo, persi com’eravamo nell’anarchia di un traffico infinito.

Oggi in meno di mezz’ora facciamo lo stesso percorso, quasi irriconoscibile rispetto alla volta precedente, come irriconoscibile e’ anche il volto di questa nuova India, lanciata alla rincorsa del vicino cinese e pronta a sedersi finalmente, dopo anni di colonialismo, al tavolo di chi conta veramente.

Molti dei vecchi baracchini ambulanti sono stati sostituiti da fast food, nei cinema si vendono coca e pop corn e non piu’ croccanti samosa, il divo indiano ha occhiali da tamarro e jeans stracciati, le persone guardano sempre piu’ l’occidente come modello e sono sempre meno disposti a venire a patti con una cultura millenaria. Questo ibridismo porta indubbi vantaggi soprattutto, a mio modo di vedere, verso l’antico sistema delle caste indu, ma allo stesso tempo fa scivolare l’India verso errori le cui conseguenze sono del tutto evidenti in occidente come lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

Spesso ne parlo con i miei colleghi che mi raccontano dei grandi cambiamenti sociali in India, adesso si puo’ divorziare, una donna non e’ piu’ vista male se non ancora spostata dopo i veticinque anni, ci si sposa sovente per amore e non per affinita’ castali imposte dalla religione e dalla famiglia. L’endogamia infatti (la possibilita’ di sposarsi solo all’interno della stessa casta) e’ una delle mille regole nella complessita’ del mondo indu’ alle quali si aggiunge anche quella del terribile divieto di contaminazione con caste inferiori (attraverso rapporti sessuali o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande ecc).

Ammetto sinceramente di pensare che anche in Italia, con i dovuti e concreti distinguo, esiste una specie di divisione in caste, non codificata e cosi’ esplicita, ma comunque presente in qualche modo.

Mi riferisco al fatto che ben difficilmente un/a figlio/a di un notaio o di un grosso industriale sposi un operaio/a dell’Ansaldo (giusto un nome) o un operatore di call center, ma cerchera’ piuttosto il compagno/a in un ambiente sociale piu’ elevato economicamente.

Mi rendo conto che ci sono tanti controesempi ed in piu’ da noi esiste fortunatamente  una piena liberta’ di scelta e non codici gia’ scritti, resta il fatto che spesso qualche parallelo lo si puo’ tracciare e trovo cosi’ stupido  rimanere sempre e solo scandalizzati verso un sistema che non ha fatto altro che rendere esplicito cio’ che in altri luoghi e’ solo latente.

Le caste indiane hanno un rigido sistema gerarchico diviso in quattro gruppi fondamentali come brahmani (sacerdoti), kshatrya (guerrieri), vaishya (mercanti e artigiani) e shudra (servi), cui si aggiungono i "fuori casta", genericamente indicati come paria o intoccabili, esclusi dal novero castale per la spregevolezza dell'occupazione o per aver perso, violandone le norme, l'appartenenza alla casta.

Spesso mi diverto a chiedere ad amici e colleghi la loro casta di appartenenza, ma scorgo sempre la loro scarsa inclinazione a scherzare e giocare su questo tipo di discussione e mi trovo cosi’ a battere in ritirata e cambiare repentinamente argomento; puntualmente le previsioni metereologiche mi vengono sempre in aiuto in quei momenti, il che mi fa tirare un respiro di sollievo, non so mai quanto spingermi su certe cose.

Eppure continuo imperterrito, sono fatto cosi’ che ci posso fare, amo da sempre la provocazione seppur benevola e mai invadente (o quasi mai …)

Mia moglie direbbe in questo caso …” sei fatto cosi’ ma puoi anche cambiare non e’ obbligatorio rimanere imbalsamati sulle proprie posizioni ”.

Ha ragione, ma la tentazione e’ sempre li’ dietro l’angolo.

Ricordo che anni fa il mio capo lottava sempre contro tutti, quando si trattava di fare una cena di lavoro; le persone invitate non erano quelle che avevano svolto una certa attivita’ (al termine della quale si usciva a mangiare), ma quelle da un certo grado (anche sociale) in su’ … e questo lo faceva incazzare non poco.

Adesso anche questo e’ cambiato, si respira un’aria diversa, un’ aria di rinnovamento.

Lo stesso in materia di figli, sempre piu’ famiglie decidono di porre un limite al numero di bambini fermandosi sovente a due.

E’ pur vero che tutti questi discorsi valgono per cio’ che ho sentito in ambito lavorativo che continua ad essere comunque un mondo un pochino elitario e quindi queste nuove ‘conquiste’ si sono aperte solo per  un numero ristretto di persone.

L’80% degli indiani e’ di ceto sociale molto basso, con poca istruzione e quindi segue molto piu’ rigorosamente gli antichi precetti religiosi ed in piu’ diciamocelo chiaro, e’ anche questione di convenienza, per un padre povero e’ molto piu’ utile avere molti figli; piu’ ne ha piu’ ci saranno, nel breve, persone che porteranno uno stipendio alla famiglia assicurando a lui un futuro economicamente migliore.

E’ esattamente questo da cambiare: e’ solo questione di una maledetta prospettiva.

Non devi essere tu che metti al mondo dei figli per assicurarti un futuro, ma l’esatto opposto, tu metti li al mondo solo quando puoi assicurargli un futuro…

e questo concetto e’ stato percepito in India solo da chi in realta’ quel futuro era gia’ in grado di poterlo assicurare ai propri figli, non certo dalla maggioranza.

Cambiamenti ce ne sono e tanti, non necessariamente positivi, come detto, e non solo in ambito sociale o infrastrutturale.

Prendiamo la scuola ad esempio.

L’universita’ indiana sforna laureati con un ritmo sempre crescente e che non trova riscontri in altre parti del mondo. La possibilita’ di impiego in ambito scientifico, meno in quello umanistico, e’ molto elevata tanto che l’uscita dal corso di studi coincide spesso in breve tempo con un impiego nello stesso ambito.

Difficile che succeda come da noi, dove spesso i laureati vanno a friggere patatine al McDonald, in India il lavoro e’ cosa piu’ seria e motivo di prestigio per i neo laureati nonostante io consideri le universita’ italiane di un livello decisamente superiore.

E’ altrettanto vero che le industrie e le universita’ americane sono piene di studenti indiani, che corrono in massa al richiamo del nome prestigioso o di quel miraggio chiamato Stati Uniti d’America.

Di questo ne ho una prova diretta visto che molti miei colleghi di lavoro statunitensi in realta’ sono cinesi e indiani, appunto.

La maggior parte dei giovani indiani pero’ non ha accesso alle universita’, soprattutto private, perche’ troppo costose e di fatto si viene a creare una discriminazione vera e propria.

Nel 2007 il governo ha posto rimedio a questa situazione, decidendo, in accordo con le maggiori universita’ del paese, di riservare una quota delle iscrizioni ai fuori casta o meglio alle caste piu’ umili (gli intoccabili in realta’ avevano gia’ una quota di iscritti assicurata dalla legge) che non pagano alcuna retta e assicurando, allo stesso tempo all’universita’ la base economica per sostenere questa iniziativa attraverso un aumento delle iscrizioni annuali consentite.

Cambiamenti, cambiamenti, cambiamenti …

un sacco di cambiamenti ma torno a ripetere non e’ tutto oro quello che luccica; sempre piu’ persone ad esempio si possono permettere un’auto creando una continua rincorsa tra la costruzione di nuove strade e il sempre crescente esercito di automobilisti alimentato dall’incredibile esplosione demografica. Questo circolo continuo e’ il carburante dell’economia indiana e’ il mezzo di propulsione verso un PIL a due cifre di incremento, eppure o prima o poi questo cerchio si spezzera’ se qualcuno non tirera’ il freno a mano prima, la popolazione non puo’ crescere all’infinito cosi’ come infinito non e’ il territorio da sfruttare o le persone disposte a lavorare per un pugno di riso.

Tutta questa rincorsa materialistica potrebbe finire prima o poi, o quantomeno si potrebbe attenuare, penso sia impossibile generare continuamente nuovi bisogni senza fare i conti con le risorse disponibili; solo allora si vedra’ chi ha le basi per resistere al contraccolpo che generera’ questa brusca frenata del mondo globalizzato. Sono tutti miei pensieri, solo idee magari sbagliate, ma una certezza ce l’ho: l’India sicuramente avra’ dentro di se’ la capacita’ di resistere e rigenerarsi, forse unica nazione al mondo.

Amo sempre riportare queste parole di Terzani che mi appassiona da sempre per la sua grande capacita’ di sintesi e il suo grande spirito di esploratore dell’animo umano. Non credo sia frutto di casualita’ la sua scelta di vivere in India gli ultimi anni della sua vita:

 

“l’India e’ un paese povero, ma ha ancora, e forse e’ l’ultimo al mondo, una sua forte e profonda cultura spirituale, capace di resistere all’ondata materialistica della globalizzazione che appiattisce ogni identita’ e ingenera ovunque un soffocante conformismo. L’India resta un paese a se’, un paese in cui il corpo sociale non e’ mosso esclusivamente da aspirazioni terrene. Solo in questo paese oggi milioni e milioni di uomini e donne, dopo una normale esistenza di padri e madri, impiegati o professionisti, rinunciano a cio’ che e’ di questa vita, i possedimenti, gli affetti, il nome, per diventare sanyasin, rinunciatari e vestiti d’arancione, all’eta’ in cui noi andiamo in pensione, si mettono in pellegrinaggio di tempio in tempio vivendo d’elemosina.

Finche’ questo succedera’ e la popolazione continuera’ a nutrire i sanyasin, l’India rappresentera’ un’alternativa esistenziale e filosofica al materialismo che oggi domina il resto del mondo. Per questo l’India resta, nel fondo, un fronte di resistenza contro la globalizzazione e in difesa delle diversita’.”

 

Devo sinceramente ammettere pero’ che alcune volte mi prende lo sconforto di fronte ai continui cambiamenti che ogni volta mi ritrovo davanti; a volte penso proprio che anche questo mondo, questa ’isola’ che si chiama India, verra’ schiacciata dal tremendo richiamo di un modo di vivere che non le e’ proprio, ma che genera continue speranze e illusioni delle quali al giorno d’oggi la gente non sa piu’ fare a meno.

 

Eppure spesso ho di che stupirmi, dei minuscoli esempi che secondo me fanno intravedere la bellezza di questa cultura e poi, diciamocelo, fanno proprio bene al cuore.

Una volta ero seduto su un marciapiede all’ombra a Old Goa aspettando un autobus che non sembrava passare mai ed ero cosi’ immerso nei miei pensieri che probabilmente avevo una faccia un po’ stralunata, magari anche solo per il caldo, non so; una vecchietta con il bastone e vestita con un sari sgualcito mi ha chiesto:

“Well, Well , well ?!?”

All’inizio non capivo cosa intendesse, quella frase poteva voler dir tutto e niente, poi ho capito quando mi ha sorriso e mi ha regalato delle banane: pensava stessi male e mi ha dato da mangiare, il suo “well, well” era riferito al mio stato d’animo e vi assicuro che non e’ una mia interpretazione ma solo cio’ che ho sentito.

 

Un’altra volta ero a Sanchi e ho chiesto ad un negoziante se potevo ricaricare la mia macchina fotografica da lui. Mi ha offerto una coca, mi ha fatto leggere la posta elettronica, abbiamo chiacchierato a lungo e quando ha saputo del mio amore per il suo paese mi ha abbracciato, in maniera sincera, disinteressata.

La cultura indiana e’ imperniata sull’accoglienza, il soccorso e l’ospitalita’, sul reciproco rispetto e sulla tolleranza tanto e’ vero che qui vivono tante religioni insieme da centinaia di anni. Questo non vuol dire che non ci sono acredini, anzi estremisti indu’ e musulmani sono sempre pronti a farsi guerra, resta il fatto pero’ che la tolleranza e il rispetto delle diversita’ sono i sentimenti  piu’ diffusi, come il raggiungimento di uno stato spirituale piu’ elevato attraverso le azioni del quotidiano. Questa pero’ e’ religione piu’ che filosofia e cultura o meglio forse lo sono entrambe visto che religione e filosofia in oriente spesso combaciano.

 

In India non sei mai solo, c’e’ sempre qualcuno, spesso qui da noi invece tu sei solo, anche in mezzo alla folla.

Ad Ellora, tre anni fa, lasciai una manciata di rupie ad un mendicante e poi mi fermai a bere in un baracchino sulla strada.

Vidi avvicinarsi al baracchino lo stesso mendicante dopo qualche minuto e compro’ del chapati con le rupie che gli avevo dato.

Lo divise con altri …

 

C’e’ un’altra cosa che mi ha sempre colpito dell’India: il gusto per tutto cio’ che e’ Kitsch, o meglio il gusto per l’orrido come dico io.

La religione indu’ stessa e’ un po’ Kitsch, soprattutto nella rappresentazione degli dei, sempre adornati di colori sgargianti, lucine colorate e con quei visi un po’ improbabili e adornati della bigiotteria piu’ assurda.

Adesivi, statuine, quadri tutti circondati da lucine natalizie e colori sgargianti, quando alcuni anni fa vidi in Thailandia la statuina in plastica del gatto che faceva “ciao ciao” con la zampina pensavo di aver visto tutto e invece ho scoperto che nel mondo c’e’ molto di piu’ e soprattutto molto di  peggio.

Non so a quanti e’ capitato di vedere un matrimonio indiano, bhe’ a me si e piu’ di uno.

Ne ho visti un paio dal vivo e uno invece attraverso le migliaia di foto di un mio collega.

Bellissimi colori, soprattutto i sari femminili sono meravigliosi, bellissima l’atmosfera di festa ma per il resto c’e’ da sgranare gli occhi almeno al gusto di noi occidentali.

Lui spesso e’ vestito come un maharaja con il copricapo rosso e il pennacchio, gli sposi si siedono su due troni rossi al centro della sala, musichetta di sottofondo, immagini di Shiva sparse qua e la’ con le solite mille luci da farne da contorno …odore di incenso che si mischia a quello delle tipiche spezie del cibo.

In realta’ il matrimonio faccio fatica a definirlo Kitsch perche’ e’ sicuramente caratterizzato da aspetti un po’ estremi, soprattutto dal punto di vista cromatico, ma allo stesso tempo la cerimonia in se’ esprime una grande gioia, un grande senso di famiglia e di unione che non saprei neanche descrivere con altre parole e che sicuramente fa passare in secondo piano tutto il resto.

Ho sempre considerato eccessivi quei matrimoni dove gli sposi arrivano a cavallo o meglio in carrozza trainata da cavalli, in India non ci sono i cavalli ma gli elefanti e ovviamente non esiste una carrozza, ma gli sposi arrivano sul dorso di quel tenero animalone che per l’occasione sfoggia addobbi e chincaglieria sparsa; secondo me si sente anche un po’ scemo a giudicare dallo sguardo perso nel vuoto.

Del resto basta entrare in un negozio qualsiasi per rendersi conto dei gusti un po’ troppo eccessivi, almeno rispetto ai miei canoni: statuine, posacenere, scrigni, adesivi, collane, bracciali, copricapi, vestiti per occasioni importanti, tutto, tutto e’ iper colorato, luccicante, un po’ pacchiano, quasi fastidioso, eppure gli indiani sembrano andarne matti.

Spesso ho visto di fianco ai pc dei colleghi in ufficio gli oggetti piu’ improbabili e vi assicuro che in alcuni casi non riuscivo neanche ad identificare che cosa fosse; quando ne ho chiesto il significato spesso mi sono perso tra le parole, tra i significati di qualcosa che mi era incomprensibile, concludendo la frase con “ Ahh …nice !” anche quando non avevo realmente capito.

La motivazione religiosa e’ spesso la base di tutte le spiegazioni, ma in alcuni casi interviene anche la superstizione. Una volta sono uscito a mangiare con un amico, e’ venuto a prendermi con la sua macchina nuova davanti all’albergo e ho subito notato che aveva dei legacci (coloratissimi ovviamente) che strisciavano terra, attaccati al parafango. Ho chiesto che cosa fossero visto che erano pure lerci all’inverosimile, lui mi ha semplicemente liquidato con un “Superstition !”.

“Ahh … nice !”

Questo capita non solo con le macchine nuove ma anche con le case, o almeno cosi’ mi hanno detto visto che non ho appurato personalmente. Sul tetto della casa o su cio’ che sembra un tetto vengono poste delle maschere benaugurati per la casa stessa o per la nuova famiglia, questo gia’ mi sembra piu’ sensato che un paio di stracci; in ogni caso non mi sogno certo di scherzare troppo su questi argomenti con loro visto che mi sono sempre sembrati abbastanza suscettibili in materia e l’umorismo su queste cose non e’ ben visto, neppure quello anglosassone nonostante i tanti anni di dominazione.

Milan Kundera scriveva “ un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo ideale estetico si chiama Kitsch.

Il Kitsch elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che nell'esistenza umana è essenzialmente inaccettabile”.

Ammetto pero’ che, come ogni senso estetico, anche il Kitsch ricade nel calderone del relativismo, spesso un oggetto e’ per noi un  po’ eccessivo ma per un'altra persona lo e’ di meno o non lo e’ affatto, figuriamoci se ci riferiamo ad una cultura diversa.

Quella Parvati danzante circondata di lucine colorate e intermittenti magari e’ elegante, degna di risaltare tra le mille raffigurazioni del pantheon indu’, per loro .. per noi e’ un eccesso in tutto.

 

Un tema molto peculiare dell’India e’ l’incredibile diversita’ di lingue riconosciute che sono piu’ di 30 ( da non confondere con i dialetti che sono migliaia); l’Inglese in questo ha aiutato e non poco l’unificazione del paese.

All’Hindi un po’ ho fatto l’orecchio come si usa dire (sia chiaro non lo capisco e non lo parlo … anche se mi piacerebbe) ma quando ho sentito discutere due uomini ad un distributore di benzina a Madurai sembrava che parlassero due alieni !

Il Tamil di ceppo dravidico, e’ solo una di queste lingue ed e’ impressionante la diversita’ con l’Hindi; non sono certo un esperto ma le differenza sono come quelle dell’italiano con lo svedese (giusto a titolo di esempio).

Questo rende ancor piu’ incredibile l’unita’ di questo paese cosi’ grande, cosi’ diverso eppure in grado di vincere ogni spinta divisionistica di fronte allo spirito di unita’ nazionale che mi sembra pervada ogni indiano.

Piu’ in generale mi viene da dire che questi sono aspetti che si possono magari intuire viaggiando per l’India e conoscendo persone diverse anche se probabilmente bisognerebbe viverci per cercare di entrare realmente in connessione con la coscienza collettiva indiana. Personalmente cerco solo di farmi un’idea dei modelli di vita di questo immenso paese ma pur sempre di idee si tratta e come tali sono basate su impressioni personali.

 

Un altro aspetto che mi ha sempre colpito della cultura indiana e’ il vegetarianesimo che in alcuni casi e’ quasi estremo come nel Jainismo dove la dieta del fedele esclude anche molti vegetali e persino l'acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. Per la maggior parte di indiani pero’, di fede induista,  questo estremo non esiste, anche se l’essere vegetariano resta un punto fondamentale nella propria vita.

Le prime volte che venivo da queste parti mi ricordo che il mio pensiero ricorrente in merito era: “Bhe’ menomale, pensa se piu’ di un miliardo di persone si mettesse contemporaneamente a mangiare carne, non basterebbero tutti i polli, maiali e mucche del mondo”. A parte questa considerazione un po’ troppo superficiale resta comunque oggettivamente vero che la nostra alimentazione e’ anche funzione della loro, o meglio noi possiamo permetterci determinati alimenti perche’ c’e’ chi per scelta o per forza a quegli alimenti non ha accesso.

In realta’ poi scoprii che dietro questa scelta c’e’ molto di piu’ e ammetto di averne subito il fascino.

Per l'Induismo il rispetto e la cura dell'ambiente sono prima di tutto una presa di coscienza filosofica e spirituale ed in seconda istanza una questione etico-morale di natura sociale e civile; la prima non è più importante della seconda, ma la seconda non può sussistere senza la prima. Per l'Induismo, a monte di ogni azione e di ogni scelta, vi deve essere il vaglio dell'intelletto supportato da una filosofia che da teorica divenga pratica nelle azioni quotidiane. Il fedele induista non accetta nulla solo a livello di pura fede (il fanatismo religioso in India è quasi sconosciuto, se si considera una popolazione di circa un miliardo di persone); in qualche modo penso si possa dire che la religione indu’ e’ una delle poche espressioni dove la fede e la filosofia viene messa al servizio della propria intelligenza e del libero arbitrio.

Ammetto di averci pensato diverse volte a questi concetti e di aver tracciato spesso dei paralleli con altre religioni ma faccio fatica a trovare qualcosa di equivalente visto che, altrove,  spesso i concetti espressi sono anche dei veri dogmi.

Allo stesso tempo pero’ ho sempre avuto posizioni abbastanza contrarie a tutti quelli che cambiano religione solo nel tentativo di trovare chissa’ che o che cosa, spesso ho accantonato queste conversioni a scelte individuali di contrapposizione con il proprio “mondo” e anche ad un po’ snobistiche. Penso semplicemente che ognuno possa trovare suggerimenti nella propria fede senza cercarli altrove e applicare il buon senso, anteponendo la propria coscienza a tutto il resto senza accettare dogmaticamente ogni cosa.

L’induismo ha solo messo in pratica tutto questo.

 

Torniamo pero’ indietro …

Il vegetarianesimo fa parte del modo di vivere dell'induista, in virtù della contaminazione che il corpo riceve nel dover metabolizzare sostanze già state metabolizzate dal proprietario di quel pezzo di carne a cui è stato rubato insieme alla sua vita .

 

In realtà ciò che più sta a cuore all'induista è il passaggio di karma nell'ingerire queste sostanze contaminate, in quanto la vibrazione di dolore e sofferenza dell'animale che percepisce di essere ucciso da lì a poco, diviene parte integrante della carne che andremo poi a mangiare. Tutto ciò diviene ancora meglio comprensibile se si analizza come l'animale nel momento precedente all'uccisione secerne degli acidi in grado di anestetizzare i nervi e i muscoli per la sofferenza fisica che da lì a poco andrà a subire.

 

E’ un discorso un po’ complicato quindi, ma ha il suo senso se visto in quest’ottica e posso sinceramente dire di condividerlo, anche se ogni tanto mi perdo nell’incoerenza tipica del nostro modo di vivere e di alimentarci.

E’ diverso tempo che ho scelto di non mangiare piu’ carne, anche se le proteine spesso le ingerisco grazie al pesce (oltre a formaggio, soia e legumi).

Ho sempre giustificato questo ‘comportamento’ alimentare con due motivazioni; la prima e’ la maggiore nobilta’ in termini salutistici delle proteine del pesce (spesso prive di grassi saturi) e in secondo luogo, in proposito di Karma, il pesce ha un sistema nervoso e di coscienza piu’ primitivo rispetto ad un qualunque mammifero e questo produce una minore ‘vibrazione’ di sofferenza dell’animale al momento dell’uccisione.

E’ semplicemente una mia idea ma se il primo punto e’ indiscutibilmente vero e scientifico sul secondo bhe’ … penso che la mia sia solo un’opinione personale e forse, per motivi di coerenza, dovrei abbandonare anche questa strada.

In aggiunta a questo sono sempre stato un sostenitore, in generale, di una vita non basata su scelte drastiche, binarie se vogliamo, del tipo questo si e questo no (anche se poi verso me stesso sono in realta’ molto rigido), ma semplicemente di una vita a basso impatto ambientale, questo permetterebbe a tutti di fare le proprie scelte senza che ogni decisione abbia come conseguenza la restrizione di possibili scelte altrui. Mi spiego con un esempio e torno al discorso carne: noi possiamo permetterci di mangiare carne praticamente tutti i giorni grazie SOLO al fatto che in altre parti del mondo qualcuno non puo’ mangiarla. Se tutti limitassimo il numero di volte in cui la mangiamo oltre che un beneficio sulla salute ne gioverebbe anche una certa redistribuzione mondiale. E’ ovvio che il rispetto per gli animali passa anche attraverso altre strade ma qui il discorso si fa un po’ troppo lungo e forse staremmo tutti meglio se ognuno prendesse coscienza di questo e diminuisse nella sua vita quotidiana l’impatto ambientale quanto piu’ gli e’ possibile, senza per questo ricorrere a scelte drastiche che alla maggior parte delle persone procurano pericolosi fastidi.

 

Ho sempre sottolineato d’altra parte di come io sia letteralmente stregato dall’India e dalla sua cultura, solo una cosa non sopporto assolutamente: le loro spezie.

Non e’ un problema di piccante (che adoro) e’ proprio un problema di gusto. Ci sono certi sapori che il mio corpo letteralmente rifiuta di ingerire come il Curry, il Cumino, il Coriandolo e la Cannella … le chiamo “le 4 C” e gli alimenti indiani ne sono letteralmente cosparsi, percio’ per me diventano intoccabili.

Resta il fatto che secondo me il punto e’ esattamente opposto: gli indiani non sanno cosa siano le pietanze visto che le ricoprono letteralmente di spezie e non gustano il sapore originario. Il riso, una pizza o un piatto di lenticchie sanno esattamente della stessa cosa.

Esiste un’eccezione: la frutta e la verdura; per la prima volta in India ho mangiato banane che sapevano di banane o mandarini che sapevano di mandarini, per non parlare dei pomodori, da noi sanno di nulla generalmente, ma questo se vogliamo e’ un altro problema.

L’India del Sud offre in questo una cucina profondamente diversa da quella del Nord, intendiamoci … le spezie sono sempre present,i ma le pietanze risultano di consistenza piu’asciutta, meno pappetta e la grande presenza di riso in parte attenua i forti sapori Indiani; in aggiunta, la cucina indiana del sud e’ piu’ ricca di pesce (specie sulla costa, ancora mi ricordo dell’enorme tonno intero che mi portarono a Goa) e questo rende il tutto piu’ tollerabile al mio palato come lo sono le frittatine o i sottaceti serviti su foglie di banano.

La realta’ comunque e’ che personalmente sto abbastanza alla larga dalla cucina indiana nel suo genere anche se ne riconosco il profondo legame che ha con la sua cultura e di questo me ne dispiaccio, vorrei proprio riuscire a mangiare un po’ di tutto ma il mio palato si rifiuta.

Una volta ero a Madurai nel Tamil Nadu e ho provato a prendere il classico Dhal che altro non e’ che una zuppa di legumi, in quel caso mi sembrava di lenticchie … bhe’ ancor prima di arrivare alle labbra, e’ stato il mio naso a rifiutare l’ingestione e fermare la mia mano che allegramente stava portando il cucchiaio alla bocca !

E’ un limite me ne rendo conto, e’ un limite specialmente in India dove sinceramente non mi stupirei di vedere un giorno anche una tigre brucare dell’erba … purche’ ben condita di curry !

 

 

 

Andrea Veggetti

atahualpa70@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

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