100 giorni in India

di freefred

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TRAINS 2

Il treno per Calcutta e' in ritardo soltanto di 3 ore e mezza, ormai
un nulla.
Nella mia batteria di cuccette ci sono due vecchi indiani, un australiano che
e'
un hare krishna, un israeliano che suona la batteria da quando aveva sei anni,
e
un giapponese con un orecchino piantato nel mento.
Come se non bastasse, io indosso i mieie occhiali ghandiani che ho contrattato
per 15mila lire a Jaipur.
Sembra una barzelletta, e forse.
I due vecchi sono splendidi, l'australiano li fa ridere dandogli il biglietto
del bhang shop di Jaisalmer che usavo come segnalibro, e quando ridono sembra
che si accartoccino.Sono evidentemente fratelli, hanno gli occhi trasparenti e
devono avere piu' o meno 400 anni.
Il giapponese cerca per cinque minuti di dirci a quanto ammonta la popolazione
di Tokyo.Lo fa contando sulle dita, cercando di convertire il numero in
inglese, e dopo un po' rinuncia.
L'israeliano parla del servizio militare, che tutti nel suo paese devono fare
a 18 anni e, se ho capito bene, dura tre anni e mezzo.
Per questo ci sono un sacco di israeliani in viaggio, dice, festeggiano la
fine
della ferma.
A causa dell'asma, ha passato il tempo nell'esercito come addetto alle
Comunicazioni, ma avrebbe voluto essere un combattente (fighter), come i suoi
amici, tutti nei carristi.
Gli chiedo se gli piace la guerra e mi risponde che no, voleva soltanto
difendere la propria terra e proteggere il proprio paese.
Non gli dico altro ma penso ancora a Emma Goldman, e ai tre concetti
fondamentali, religione, patria e terra, che da quando il tempo era bambino
non fanno che generare guerra e fame e terrore e morte.
E penso agli zingari, che il concetto di patria non ce l'hanno, e nemmeno
quello di possesso di una terra, e infatti una guerra non l'hanno mai fatta.
Il giapponese e l'israeliano si mostrano la collezione di dischi, estraendo
dagli zaini cd player e minidisc, e i due vecchi ci guardano come se fossimo
appena arrivati tra gli indigeni con delle sacche piene di specchi.
Il giapponese, che e' in viaggio da dieci mesi, ci chiede di tradurgli
"ticket to ride', perche' ci sono alcuni passaggi che non riesce a
comprendere.
E' allora che dice di conoscere i Beatles da un mese.
I miei occhi non possono fare a meno di avere quell'espressione che grida:
Eh?Ma come cazzo fai a non conoscere i Beatles?Vieni da marte?Sei cresciuto in
una grotta sottomarina?
"Il Giappone e' lontano" sorride, e capisco che non intende in senso
geografico.
Ma un po' lo invidio, pensando a tutti i pezzi che deve ancora ascoltare,
a tutta la musica che lo colpira' e a quello che sentira' e che lo fara'
sobbalzare.
Quando mi sveglio al mattino, l'australiano (molto simpatico) tiene acceso un
incenso e legge un libro sul Kundalini.E' seduto in mezzo ai due vecchi, che
per tutto il viaggio sono stati distanti, uno appoggiato al finestrino e
l'altro rannicchiato all'altra estremita' della cuccetta.
Probabilmente e' perche' hanno gli occhi rasparenti, penso, e quando si
gurdano tra loro si vedono attraverso.Probabilmente da troppo vicino questo li
confonde.
L'australiano mi dice: "quell'uomo ha cambiato la mia vita.Prima bevevo,
fumavo, e parlavo in continuazione."
Credo che legga sul mio volto la considerazione: potevi smettere di bere e di
fumare con un po' di buona volonta' ed evitavi di tagliarti i capelli in quel
modo.
Viva Las vegas.
Allora mi parla del potere della meditazione, e della tranquillita', e del
colore arancione (anche se lui, a parte la pettinatura, e' un classico
backpacker)che rappresenta l'astinenza dal sesso.
Appunto, penso, viva Las vegas.

Ci salutiamo alla stazione di Howrah.L'israeliano va in Thailandia, il
giapponese cerca un biglietto scontato per tornare a casa, e l'australiano
va a chiacchierare col suo maestro.
resto soltanto io a vagabondare per la citta' e nei suoi giardini.
Ora so perche' sono cosi' magro.Sto diventando un elfo.

 

KOLKATA (Calcutta)

Calcutta e'una citta' bellissima, forse la piu' bella che ho visto finora.
Le strade sono larghe, i giardini sono grandi e pieni di fiori e lo spazio
e' enorme, dappertutto, persino sui marciapiedi.
E' anche la citta' piu' pulita che ho visto in India.E non ci sonno mucche per
strada.Questo un po' mi dispiace, perche' mi sorride avere ogni tanto
una mucca che mi cammina accanto nel traffico.
Calcutta, sara' forse il clima (aehm, qui fanno 24 gradi)e' una citta' che mi
sembra solare.
(E' ovvio che in questa descrizione non rientrano i milioni di persone che
nelle sue periferie e nelle sue baracche, vivono sconfitte tra spazzatura,
cani morti e bambini color polvere)
Al contrario di Varanasi, avvolta nella nebbia, dove c'era un'atmosfera quasi
da ultimo giorno di assedio, tutti vendono tutto, si bruciano i morti, e si
salvi chi puo'.
Paracadutisticamente non ho paura della morte, ma probabile a causa di
cicatrici
cattoliche non mi affascina nemmeno starle vicino troppo a lungo.
Qui a Calcutta i giovani sono eleganti e vestono felpe sportive, le ragazze
oltre al saari portano i pantaloni e le gonne di jeans.
Per questo ovviamente, il quartiere universitario e' uno spettacolo.
E' una citta' gigantesca, divisa dal fiume Hooghly, che all'opposto del Gange
che trascina con se' tutto quanto, sembra scorrere leggero sotto l'Howrah
Bridge, un magnifico ponte privo di pilastri di sostegno, che lo stupido
governo indiano non mi permette di fotografare da vicino.
Le strade sotto il ponte sono occupate dai venditori di ghirlande, una visione
totale di fiori dove i miei passi diventano petali.
A Calcutta c'e' anche il Victoria Memorial, un assurdamente grande edificio
tutto di marmo bianco costruito dagli inglesi per autocelebrarsi.
Non male, ma per i miei gusti un po' troppo brithish e regina madre.
Attorno pero' c'e' uno splendido parco di piscine, le cui panchine sono
perfette per fumare uno spino di soppiatto mentre si legge il Telegraph.

Sono stato allo zoo, ovviamente.Quando ce n'e' uno ci vado sempre, anche se
non so piu' il perche'.
Anche questo e' triste e deprimente come tutti gli altri zoo del pianeta.
Ci sono dei coccodrilli che sembrano pietre, un rinoceronte senza corno, e dei
felini evidentemente disgustati dal genere umano.
Ma perlomeno allo zoo, per un paio d'ore, condivido con gli animali in gabbia
gli sguardi puntati addosso di tutti i bambini dell'India.
Calcutta e' anche l'unica citta' al mondo dove sono rimasti, e non solo come
attrazione turistica, i riscio' trainati da uomini a piedi.
Non ne ho ancora preso uno, vado quasi sempre a piedi, Calcutta permette
il mio modo di vedere preferito, cioe' la deriva.
E poi c'e' la metropolitana.
Ma prima o poi prendero' un riscio' umano, e sapro' com'e'.

Oggi sono stato al planetario, uno dei piu' grandi del mondo, e ci ho visto
piu' stelle che nel deserto.
E al tempio di Kali (you keep yourself too busy, mi ha detto il padrone
dell'albergo di Bikaner, e ancora ci rifletto)che e' uno dei piu' importanti
dell'India.
Ci arrivo tra la folla, giusto in tempo per il sacrificio quotidiano.
All'interno del tempio, in un minuscolo recinto, un uomo ha tra le mani un
piccolo agnello nero, che sembra essere tutto bagnato.
Il collo dell'agnello viene circondato di ghirlande di fiori, poi viene
appoggiato tra due specie di legni, a cui viene aggiunto orizzontalmente
un ferro lungo piu' o meno di 20 cm, trasformando il tutto in un'apparente
rudimentale ghigliottina.
Ma non c'e' lama.
Un altro uomo si avvicina e con un unico colpo di spada(o quello che e')
taglia la testa dell'agnello.Il sangue schizza, e l'interno del recinto ne era
gia' pieno prima.L'uomo prende il corpo dell'agnello e la sua testa ed esce
per portarli in una baracca li' vicino, dove si prenderanno cura di quel che
resta della vittima sacrificale.
L'unica cosa che sono riuscito a pensare, e che mi e' uscita da un lampo
di fumetti d'infanzia e' stata: sono pazzi questi Romani.

Come regalo di Natale mi sono fatto una tola di Parvatia, come l'ha chiamto
il tappetaro che me l'ha venduto.
Il nome viene dalla Parvati Valley, nel nord, e a sua volta da Parvati, moglie
di shiva.
E' come fumare un acido al gusto di miele.
Adesso quindi, in questo giorno che noi dell' West abbiamo inventato per far
nascere un bambino speciale, che in fondo dovrei essere anch'io, vado a farmi
uno spino di comete che mi conduca verso una cena di pesce.

Buon Natale

 

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