Gli Dei del Movimento

Messico

Diario di viaggio 2010

di Andrea Veggetti

 

Ammetto di aver subito da sempre un notevole fascino da tutte le culture mesoamericane che va dal remoto passato fino ai giorni nostri. In pariticolare cio’ che piu’ mi attira e’ tutto cio’ che si conosce poco di un popolo e della sua storia, quando la conoscenza e’ legata agli eventi passati solo da quella sottile e spesso debole connessione che va sotto il nome di ipotesi.

Inutile rammaricarsi di quanto si sarebbe potuto conoscere senza la furia devastatrice spagnola e senza tutti quei genocidi perpetrati sotto il nome di Dio, resta in piedi non molto di quello che un tempo era una delle zone piu’ evolute del pianeta.

Spesso tendiamo a considerare inferiori culture che avevano conoscenze astronomiche incredibili, come il concetto di precessione o i moti rivoluzionari della Luna o di Venere, calendari cosi’ complessi da essere, per molti secoli, piu’ precisi dei nostri, il concetto di zero e un sistema di scrittura molto evoluto.

Tutto questo era basato sull’osservazione del movimento celeste, anzi tutto era movimento, dal calendario alla religione, dalle rappresentazioni metaforiche di figure geometriche sinuose, alla divinizzazione degli eventi atmosferici come la pioggia e il vento. Il Kukulkan e’ il serpente piumato la cui ombra scende dalla piramide di Chichen Itza’ durante l’equinozio di primavera e d’autunno, ancora una volta qualcosa di strisciante, ancora una volta tutti gli edifici sembrano costruiti per dare quel senso armonico di movimento. Insomma tutto cio’ che generava movimento era in qualche modo, secondo me, considerato sacro.

Pochi anni fa mi e’ capitato di leggere un diario di viaggio in Messico di E.V. una ragazza che non conosco personalmente ma che ho solo incontrato sporadicamente in qualche ritrovo di viaggiatori organizzati dal mio amico Michele, sono rimasto quasi incredulo, quando lessi una parte delle sue considerazioni che riporto di seguito:

“L’unica cosa che vi posso dire (e che mi sembra di avere capito) é che queste antiche popolazioni avessero il culto del movimento. Il Dio movimento? Si, forse è così. Tutto ció che scorre, che striscia, e che soffia sembra essere sacro: acqua, sangue, serpenti, vento, il corso del sole , della luna e degli astri. Quindi, anche il sito é tutto un movimento:
Le piramidi sorgono e spariscono dietro ad effetti prospettici inaspettati. Camminando lungo la “avenida de los muertos” tutto cambia e si muove con te ad ogni tuo passo. Si passa da un luogo dove tutto si raccoglie attorno ad un altare sacrificale a un luogo dove tutto accelera e si libera verso l'orizzonte.
Sembra un luogo immobile ed eterno; invece è un ballo senza sosta; un tango sensuale tra i volumi costruiti ed i vuoti scavati nella campagna.”

Io non sono certo ne’ uno studioso ne’ un esperto ma e’ stato cosi’ curioso trovare una persona diversa da me che faceva le mie stesse considerazioni evidentemente sono li’ ben visibili.

Mi e’ venuta voglia di Messico, per la terza volta ci sono tornato, questa volta con Paola, mia moglie e questo e’  il racconto di quel viaggio.

 

26 Dicembre: Mi preparo al peggio quando il semaforo rosso mi blocca in uscita dall’aeroporto e Paola non ha miglior sorte. Sono stanco del lungo viaggio aereo e il solo pensiero di perdere qui un sacco di tempo per il controllo minuzioso dello zaino mi disorienta. Fortunatamente il cupo pessimismo svanisce alla svelta visto che il controllo e’ molto sommario e veloce e possiamo cosi’ allontanarci  in poco tempo dall’Immigration Point.

Sono troppo stanco per scrivere, sono praticamente 24 ore che siamo in piedi e stasera cerchiamo di tirare tardi solo per adeguarci al nuovo fuso.

Difficile anche valutare il mio entusiasmo per essere tornato in uno dei luoghi che piu’ amo al mondo e questa volta non sono da solo. Cercheremo di ripercorrere strade e luoghi gia’ visti ma anche nuovi per me; per Paola sara’ ovviamente tutto una scoperta come lo fu per me la bellezza di ormai 12 anni fa, quando venni per la prima volta in queste latitudini.

Sorrido, mentre passiamo vicino agli hotel dove alloggiai nei miei precedenti viaggi: il Juarez e il Washington, adesso rinnovati (ma non ho visto le camere), allora poco piu’ che topaie, soprattutto il secondo.

5 De Mayo resta sempre una strada affollatissima, specialmente oggi che e’ Santo Stefano, ma noi abbiamo scelto di alloggiare in una via leggermente piu’ decentrata all’Hotel Azores (360Pesos la doppia) in Repubblica Do Brasil.

Dondoliamo un po’ tra le mille luci di Natale e la folla che si accalca sulle strade festaiole, probabilmente domani riusciremo a goderci di piu’ questa atmosfera natalizia in una delle citta’ piu’ popolose del pianeta.

I tacos mangiati per cena non mi hanno lasciato un ricordo particolarmente gustoso, anche se non erano pessimi, ne’ infamia ne’ lode come si usa dire; sara’ che forse pensavamo piu’ ad andare a dormire che provare a gustarsi qualcosa da mangiare e cosi’ ripercorriamo la strada con il miraggio del letto in testa senza badare troppo ai mille colori, alla folla incredibile e al freddo che si fa sentire durante la sera.

Scrivo gli ultimi appunti guardandomi attorno nella nostra camera, ripenso ancora ad anni fa alla fila di scarafaggi che usciva dal bagno dell’hotel Washington e mi addormento chiedendomi come mai alcuni particolari restano cosi’ impressi nella memoria delle persone, del resto della camera, infatti, non ricordo proprio nulla.

 

27 Dicembre: Ho passato una notte a svegliarmi ad intervalli regolari, ma comunque ho riposato e stamane il mio entusiasmo e’ ripreso a mille.

Riordino velocemente lo zaino visto che ieri, durante i controlli in aeroporto, me lo hanno un po’ scompaginato e nel mentre faccio l’errore di passare davanti allo specchio tanto da poter ‘ammirare’ la mia faccia ancora sbattuta dal lungo viaggio … ho bisogno di una doccia rigenerativa per combattere quello che sembra il mio alter ego fra una decina di anni, o forse sono proprio cosi’ ??

Bando alle considerazioni estetiche partiamo abbastanza presto con la metropolitana dallo Zocalo che, a quest’ora della mattina e’ vuoto e privo dell’anima festaiola di ieri sera. Fa anche piuttosto fresco a queste altitudini l’escursione termica si fa sentire, al mattino e alla sera non si puo’ certo girare in maglietta, ci saranno poco piu’ di 10 gradi. Una veloce occhiata alla cattedrale e imbocchiamo la scalinata che conduce alla metro senza badar troppo a cio’ che al momento ci circonda, quasi rapiti dalla frenesia del vedere il piu’ possibile  che spesso ci attanaglia durante ogni viaggio.

Spendiamo quei pochi spiccioli per il biglietto e scendiamo alla stazione Norte dove, con 32 Pesos, prendiamo il solito autobus scassato che da tempo immemore porta a Teotihuacan, stessi sedili malandati, stesse crepe nel vetro, stesse porte a soffietto che si inceppano una volta ogni due.

Ci vuole piu’ di un’ora e mezza per uscire dall’infinita periferia di Citta’ del Messico e quando finalmente lo sterminata distesa di case lascia il posto ai cactus, e’ gia’ ora di scendere per visitare il primo dei numerosi siti archeologici previsti nel nostro percorso.

L’aria fresca e frizzante del mattino lascia il posto al cielo terso e azzurrissimo messicano peremettendo cosi’ alle temperature di alzarsi notevolmente tanto da costringerci in maglietta.

Teotihuacan (51 Pesos l’ingresso) resta per me un posto da sogno un luogo che rivedo dopo molto tempo e che mantiene immutato il suo fascino antico. Un breve percorso separa l’ingresso dall’ Avenida de los Muertos lungo il quale l’occhio si perde nell’infinita’ delle costruzioni di pietra, fino a raggiungere da una parte l’immensa piramide del Sole e alla fine del suo percorso la piramide della Luna. Non si sa chi costrui’ questo luogo, come non si sa come fini’ abbandonato; resta il fatto che nell’arco di centinaia di anni qui fiori’ una cultura che influenzo’ tutto il mesoamerica.

Incredibile pensare come una citta’ di 150000 persone sia apparsa e poi svanita senza che il tempo lasciasse una traccia indelebile del suo passaggio; o meglio la traccia c’e’ ed e’ visibile in tutti i suoi edifici, ma sono abbastanza vuoti della presenza umana come una bellissima cornice senza quadro.

Serpenti striscianti, figure geometriche sinuose rappresentazioni di acqua (o di sangue ?), il tempio del serpente piumato e il suo allineamento astrale come le piramidi, tutto qui sembra predeterminato dal senso di movimento dell’universo.

Il posto e’ colmo di messicani, di stranieri come noi neanche l’ombra, strano ho sempre pensato che questo fosse il periodo di punta e invece incrociamo solo volti locali. Ci sono diverse scolaresche e molte famiglie i cui bambini spesso obesi all’inverosimile trangugiano merendine e coca cola, salvo poi rischiare di vomitare l’universo dopo appena due gradini della piramide, cerco di stare un passo davanti si sa mai, vorrei evitare di cambiare completamente calzoni e maglietta. Eppure, la maggior parte delle famiglie, si trascinano i figli per i capelli, quando e’ evidente che il loro maggiore interesse e’ verso il banchetto dei churros o verso le decine di venditori di ocarine che emettono un suono tipo il ruggito di un giaguaro. La salita verso la cima della piramide e’ piu’ curiosa per cio’ che incontri rispetto alla bellezza del paesaggio circostante seppur imperdibile, dalle ragazzine con i tacchi che inciampano in ogni buca a improbabili sacerdoti che sulla cima della piramide del sole alzano le mani al cielo come se potessero catturare le energie dell’universo con un solo gesto. La folla ci trascina prima su verso la cima e poi giu’ verso il regno dei mortali, dove anche gli dei spalancano gli occhi di fronte a questa incredibile varieta’ umana.

“No gracias, No gracias, No gracias, No gracias” … sapete quante volte l’ho pronunciato ? Arrivato a cinquanta ho smesso di contare, statue, statuette, archi, frecce, ocarine, teli, tappeti, vasi, vasetti, vasini, insomma ognuno ti offre qualcosa di imperdibile e ognuno vede in te un’opportunita’ in quanto straniero, alla fine pero’ non e’ neanche cosi’ stressante e usciamo dal sito con un paio di maschere da aggiungere alla collezione casalinga.

Mangiamo un triste panino alla stazione Norte prima di avviarci al museo Nacional de Antropologia.

Si, si, lo so ci ero gia’ stato” “ E come mai ci siamo persi ??” Bhe’ questo bosco del Chapultepec e’ davvero grande in piu’ la carenza di segnali precisi e l’infinita’ di bancarelle colorate ti fa perdere un po’ la testa. Sembra che l’intera Citta’ del Messico passi qui il week end e ancora una volta veniamo un po’ trascinati dal flusso della folla fino a quando troviamo i cartelli che indicano il museo … “ma di la’ dove ??” E’ un segnale che indica a destra ma a destra o partono tantissimi cammini oppure c’e’ il nulla assoluto.

“Mah, questi messicani !!”

“Disculpa, donde esta’ el museo”

E da qui partono una serie di indicazioni come a dover raggiungere Concorezzo da Trezzano sul Naviglio, ma …alla fine ci arriviamo per grazia ricevuta.

 

Avete mai letto i libri di Peter Kolosimo ??

Bhe’ io si, anzi li ho letteralmente divorati tutti quando ero un ragazzino, viene definito uno dei primi astroarcheologi forse insieme a Erich Von Daniken per le sue tesi rivoluzionarie sull’origine extraterrestre di alcune civilta’.

A parte gli argomenti, mi e’ sempre rimasta impressa la copertina del suo libro piu’ famoso “Non e’ terrestre” sulla quale si vede la famosa Cabeza Olmeca.

E’ una testa gigantesca sagomata nella roccia dalla piu’ antica cultura messicana: quella Olmeca appunto, considerata la madre le civilta’ mesoamericane nonche’ inventrice di scrittura, astronomia, dotata di tecniche di costruzione all’avanguardia, la cui eredita’ ha influenzato tutte le popolazioni che ne seguirono, Maya inclusi.

Queste enormi teste hanno una caratteristica fondamentale: il volto ritratto ha caratteri inequivocabilmente negroidi come se gli Olmechi conoscessero le popolazioni africane distanti migliaia di miglia, oppure come se qualcuno gli avesse passato questa conoscenza.

“E allora penserete e cosa c’entra con il museo di Antropologia ??”

A me questa cosa ha sempre affascinato, piu’ che altro condivido molto il concetto di univocita’ di una cultura madre e l’unico modo per vedere queste teste e’ nel museo. Non ho mai avuto occasione di vederne altre al parco archeologico di La Venta nello stato del Tabasco e neanche questa volta ce ne sara’ una perche’ il nostro itinerario prevede altro.

Resta il fatto che mi fermo a fissarla per diversi minuti e devo constatare come le fantasie di un ragazzino restano ancora molto ben radicate in me e, probabilmente, non ho mai smesso di subirne il terribile fascino.

 

28 Dicembre: La zuppa o il pollo di ieri sera (300 Pesos in due) sono stati veramente abbondanti e quindi stamattina non mi sono svegliato con il solito buco nello stomaco, senza contare che, come al solito, siamo troppo di corsa per fermarci a fare una colazione decente … ma perche’ mai poi !?!

Solita metropolitana verso la solita stazione Norte questa volta pero’ la meta e’ Tula. Aspettiamo un autobus che sembra non partire mai (64 Pesos), a volte i ritardi, soprattutto in Messico, sono dovuti ad eventi astrali ma non ci lamentiamo comunque e aspettiamo sul marciapiede della stazione, in fondo il viaggio e’ spesso definito come una meta tra un’attesa e l’altra.

L’autobus sembra un pochino migliore di quello di ieri o almeno non ha crepe evidenti sul vetro, ma il crocefisso, quello si e’ immancabile e sproporzionato rispetto a dove sta appeso circondato, incoronato, avvolto tra fiori, collane e bracciali tanto da distinguere a malapena il viso sofferente.

Un’ora e mezza e’ sufficiente ad arrivare alla Central Camionera di Tula e da qui con un taxi (30 Pesos) arriviamo al sito archeologico che dista circa 5 Km.

Difficile credere che in un periodo di punta per il turismo come quello natalizio siamo da soli e invece e’ proprio cosi’, io e Paola ci guardiamo in faccia pensando di aver sbagliato ma il cartello di benvenuto e’ inequivocabile.

In realta’ e’ una tale rarita’ essere da soli che riusciamo a goderci pienamente il giardino di cactus, agave e Yucca creato appositamente lungo la stradina polverosa che conduce al centro cerimoniale di Tula, la capitale tolteca degli altipiani centrali.

Non ero mai stato qui e sinceramente e’ un’emozione la vista della piramide tronca con in cima le gigantesche statue degli atlanti, guerrieri di pietra alti fino a cinque metri, per me erano solo foto e immagini di altri stampate verso il cielo blu messicano …fino ad oggi, adesso sono anche mie.

Il resto del sito non offre un granche’ se non una posizione panoramica sulla valle sottostante e qualche rara incisione, insomma dopo un’ora torniamo sui nostri passi proprio mentre qualche sporadica comitiva messicana inizia ad affacciarsi tra le rovine. Siamo i soli turisti stranieri e la cosa non mi dispiace affatto.

“E adesso ??” “ Ci faremo mica 5Km a piedi ??”

Non si vede nessun taxi, nessun autobus all’uscita e non ci resta che incamminarci sperando che qualche buona anima passi presto e, infatti, e’ cosi’ i taxi in Messico non si fanno certo attendere o cercare troppo, anzi sembra che ti vengano quasi a cercare.

Il viaggio in autobus di ritorno scorre veloce cosi’ come il nostro pranzo a base di tacos in un localino nei pressi dello zocalo. Sono solo due giorni che siamo qui e ne abbiamo gia’ quasi abbastanza di tacos, enchiladas, burritos, tortillas sembrano un po’ tutti uguali e nonostante non disdegniamo la cucina messicana abbiamo gia’ voglia di qualcosa di diverso, in piu’ la carne la fa da padrone e il resto e’ poco piu’ di un optional. Forse e’ per questo che questa sera abbiamo deciso di andare in metropolitana al quartiere Condesa (fermata Patriotismo), dove abbiamo la speranza di una maggiore varieta’ culinaria e di non diventare autentici tacos ambulanti.

Passiamo dalla Catedral metropolitana, un po’ inclinata su se stessa, ai poveri resti del templo Major, cio’ che resta di una delle piu’ grandi citta’ preconquista: Tenochitlan, capitale azteca dove si narra che il primo pilastro fu piantato dove un’aquila fu vista ghermire un serpente del deserto e dove pochi scacciagalline distrussero una civilta’.

Al Palacio Nacional controllano il passaporto, chissa’ poi perche’ ?? Di cosa hanno paura, di un attentato ? Non credo, visto che non fanno dei controlli alla persona, gli basta che hai il passaporto e puoi entrare ad ammirare i murales di Diego Rivera. Colorati, magnifici e strazianti come il Messico e la sua storia fatta di continue contrapposizioni e guerre di pochi e per pochi, il resto e’ sempre passato sotto silenzio fino a che Rivera non  lo ha immortalato qui.

 

29 Dicembre: Secondo un’antica leggenda mesoamericana, di cui esistono numerose versioni, Popocatépetl era un valente guerriero che si innamorò, riamato, di una giovane principessa chiamata Iztacsíhuatl. I popoli cui appartenevano erano in guerra fra loro, cosicché al signore di Tlaxcala, padre della principessa, il possibile genero stava proprio sullo stomaco, tanto da chiedergli come prova per ottenere la mano di sua figlia quella di combattere una bellicosissima popolazione vicina. La scommessa era che il povero Popo ci avrebbe lasciato la pelle, ma il vecchio re se la prese in saccoccia perché il guerriero sbaraglia tutti i nemici e prende la via del ritorno per potersi finalmente unire alla sua amata Iztac. Alla donzella però viene fatto credere con uno stratagemma che il suo promesso sposo è stato ucciso in battaglia, al che lei muore per il gran dolore e la

disperazione.
Quando Popocatépetl trova il corpo dell’amata vestita a nozze la prende fra le braccia e la porta sulla cima di un monte, la depone dolcemente al suolo e si accoccola su un’altura vicina, in attesa che si risvegli. Cade la neve e i corpi dei due

 amanti sotto il suo manto si trasformano in vulcani.

Oggi il Popocatépetl (che significa “montagna che fuma”) e l’Iztacsíhuatl (“la giovane bianca”, ma tutti la chiamano la mujer dormida, la donna dormiente) incorniciano a sudest la valle dell’Anáhuac, occupata dalla dilagante megalopoli di Città del Messico ma e’ da Puebla che se ne ha la visione piu’ bella.

 

Lasciamo Citta’ del Messico e lo facciamo alla solita maniera: con la metropolitana. Dal terminal TAPO dove compriamo un biglietto con la compagnia ADO (114 Pesos) ci vogliono circa due ore per arrivare a Puebla, ma il paesaggio e’ molto vario e il tempo vola come al solito.

Scegliamo di alloggiare in un hotel che definire magnifico e’ poco , il Provincia Express (450Pesos la doppia). Maioliche ovunque, interni in stile moresco e una camera superlativa, che pretendere di piu’ ? Nulla, avrei solo voluto non rompere una delle maschere che abbiamo comprato a Teotihuacan, la piu’ bella ovviamente come le leggi di Murphy insegnano …cerchero’ di incollarla una volta a casa.

Lasciamo gli zaini e ci avviamo per le strade di questa citta’ cosi’ bella e accogliente come lo e’ la sua cattedrale ai lati del solito zocalo messicano che piu’ messicano non si puo’ !!

E per pranzo cosa facciamo ?? Indovinate un po’ ... ma tacos naturalmente ! Ma che possiamo farci e’ un pasto veloce e che trovi ovunque senza perdere troppo tempo a cercare altro (inizio a pensare che “l’altro” non esista !). In realta’ ci sono anche numerosi banchetti di churros zuccherosi, con marmellata, con cioccolato, alcoolico, insomma chi piu’ ne ha piu’ ne metta e qualche raro banchetto di frutta gia’ tagliata e confezionata in bicchieri di plastica con i suoi mille colori, una golosita’ con ‘sto caldo ! Per il resto la fanno da padrone piccoli rivenditori di cibo ‘trash’ per il quale i messicani impazziscono letteralmente, patatine, merendine, dolcetti, caramelle color criptonite, biscottini salati e dolci, mangiano sempre ad ogni ora, in ogni luogo. Il Messico non e’ un’eccezione ma la regola visto che in Thailandia e sud-est asiatico trovi tutto il santo giorno pentolone per strada che friggono continuamente qualcosa cosi’ come in India, in Turchia, in Peru’ … insomma ovunque.

La stazione di Puebla sembra poco piu’ che un garage e ci infiliamo in un autobus al solito piuttosto scassato con direzione Cholula (60 Pesos), non prima di aver fatto qualche piccola scorta alimentare nella vicina panaderia.

Ci impieghiamo piu’ di un’ora per fare una dozzina di Km, ma questo, se vogliamo, e’ anche il bello del viaggio e nel frattempo le fermate si susseguono numerose ad ogni incrocio, ad ogni panchina ad ogni persona che fa gesti diversi dal solito come il grattarsi la testa, insomma sai quando parti ma l’ora d’arrivo e’ sempre dipendente dal numero di soste che qui in Messico si susseguono numerose.

Cholula e’ proprio una cittadina graziosissima con il suo bello zocalo, le sue chiesette colorate di giallo le sue vie tranquille e mai troppo affollate, probabilmente preferibile a Puebla anche per alloggiarci.

La sua piramide e’ famosa in tutto il mondo per essre la piu’ grande (non di altezza) mai costruita dall’uomo tanto che gli spagnoli sulla sua cima costruirono la cattedrale di Nuestra Senora de Los Remedios, non rendendosi conto che cio’ che c’era di sotto non era una collina.

In realta’ le descrizioni del luogo e le aspettative superano di gran lunga la visione diretta che ho trovato un po’ deludente, la piramide e’ parzialmente ricoperta dalla vegetazione e la prospettiva che crea con la chiesa in cima non crea quel senso di grandezza immaginabile dalle descrizioni.

L’arrampicata sulla sua cima e’ veloce e anche da qui la visione sulla valle di Puebla e’ suggestiva ma non certo quella che alcune foto riportano dove si vede la chiesa incorniciata dall’enorme vulcano fumante …nella realta’ il Popocatepetl si vede bene ma lontano senza quell’effetto ottico di vicinanza presente in molte foto. Il Iztacsíhuatl e’ laggiu’ lontano nell’orizzonte.

Tutte le volte che sono venuto in Messico ho sempre avuto la tentazione di provarne una, ma poi non l’ho mai fatto; e’ giunta l’ora oggi proverò le chapulines …croccanti, amarognole, mi si incastra pure una zampetta tra i denti, nulla di che, dicono che gli insetti saranno le fonti di proteine del futuro, sara’ ma adesso Paola mi guarda disgustata anche se non resiste alla tentazione di farmi una foto del primo assaggio …”adesso non mi baciare eh !?!”

Ritorniamo a Puebla in bus (60 Pesos) e dedichiamo il pomeriggio ad un sacrosanto cazzeggio, una birra e un churros nella piazza principale.

In serata andiamo anche in un tipico ristorante dove i tavoli sono allestiti nel cortile di una vecchia casa colonica, per assaggiare le specialita’ locali come il mole pueblano (250 Pesos in due); non lo trovo un granche’ anche se oggi, dopo le chapulines, tutto sembra meglio … o peggio ???

 

30 Dicembre: Abbiamo passato parte del pomeriggio di ieri per cercare di capire come arrivare a Cantona.

E dov’e’ direte voi ??

Bhe’ diciamo una specie di scoperta di mia moglie su una pagina dimenticata della Lonely Planet, anche se in realta’ sembra essere uno dei siti archeologici piu’ importanti della regione di Puebla.

Abbiamo una giornata intera a disposizione e gozzovigliare in giro per la citta’ non ci va troppo, la mia idea iniziale era quella di andare a vedere Cacaxtla e i suoi famosi dipinti ma poi la descrizione di Cantona ha conquistato un po’ tutti. Una delle piu’ grandi citta’ mesoamericane con ben 24 campi per il gioco della palla le cui rovine sono sparse su un’area vastissima e completamente immerse in foreste di cactus e yucca.

Gia’, ma come arrivarci ...

Non sembra cosi’ semplice visto che non esistono mezzi diretti e la Lonely resta molto vaga sul tragitto da percorrere.

“Iniziamo ad avvicinarci e poi vedremo” …  questa incognita e’ stimolante perche’ piu’ un posto e’ difficile da raggiungere piu’ c’e’ soddisfazione nell’arrivarci e probabilmente il premio e’ un luogo isolato tutto per noi.

Prendiamo un taxi fino alla stazione poi un autobus VIA (e chi l’aveva mai sentito ?? 78 Pesos) per la citta’ di Oriental.

In realta’ i paesi da queste parti si somigliano un po’ tutti e dopo piu’ di due ore ci accorgiamo che siamo andati un po’ troppo avanti e quindi a Libre scendiamo e torniamo con un altro bus sui nostri passi.

Oriental e’ un pueblo anonimo tutto costruito lungo un’unica via di passaggio, polvere e terra desertica ovunque, pochi locali e tante case, ci guardiamo attorno …

“E adesso ??”

Dopo qualche minuto di sconforto chiediamo in giro e ci indicano un combi che trasporta le persone nei piccoli villaggi vicini e puo’ arrivare fino a Cantona.

Bhe’ il combi non e’ altro che una specie di vecchio pickup la cui parte posteriore e’ composta da un cassone chiuso con una porticina di accesso. Ci infiliamo li’ dentro assieme a delle famiglie messicane e concordiamo il prezzo per il trasporto (solo 25 pesos !!).

Le buche non fanno certo bene al mio fondoschiena e soprattutto alla mia cabeza che continua a sbattere contro la parte alta del cassone, per i messicani … per loro non c’e’ problema vista l’altezza. Ci impieghiamo ben 45 minuti per percorrere una trentina di km, ma le tappe sono tante come tanti sono i piccoli villaggi attraversati dove anche una strada asfaltata sembra un lontano miraggio.

Finalmente ecco il piccolo premio, un luogo magnifico sotto il classico cielo blu messicano, una distesa infinita di cactus e yucca tra le rovine di un luogo che un tempo doveva essere immenso e poi nessuno a parte noi solo il silenzio e il rumore dei nostri passi.

Nessuna iscrizione, nessun bassorilievo ma tanti edifici, piramidi e campi di pelota, le strutture si susseguono l’una con l’altra in maniera ordinata, mai oppressiva e mentre cammini hai l’impressione di seguire un flusso prestabilito come un fiume che scorre li’ in mezzo come se questo movimento creasse l’armonia giusta per l’osservazione …gia’ il movimento, ci risiamo.

                       

31 Dicembre: Ieri sera abbiamo trovato delle viuzze veramente carine per comprare qualche souvenir a buon prezzo, praticamente si snodano tutte attorno alla 2 d’oriente e in zona ci sono anche dei localini niente male per cenare. Alla fine ci spiace lasciare Puebla e questo bellissimo albergo ma oggi siamo di nuovo in strada con lo zaino in spalla in attesa di un autobus per Oaxaca (350 Pesos con ADO).

A dire la verita’ l’attesa non e’ molto lunga, cosi’ come le 4 ore di viaggio, sempre costellate da un susseguirsi di paesaggi davvero belli con le solite sterminate foreste di cactus e l’Ipod nelle orecchie che continua a pompare melodie malinconiche del tango quasi a ricordarci che per similarita’ potremmo essere anche nella pampa argentina.

Terra tropicale, terra montuosa in cui si incrociano la Sierra Madre Orientale, la Sierra Madre del Sur. Terra del caffè, del cacao, dell'artigianato, delle sculture in legno e delle terrecotte nere.  Terra di turismo, è anche la terra di Puerto Escondido e degli Zapotechi. Terra di contrasti e di rivolte sociali come l’ultima degli insegnanti nel 2006 che rivendicavano un salario piu’ dignitoso e che il governa affronta da sempre nello stesso modo, inviando militari e polizia.

Che fine ha fatto quella rivolta ??? Gli insegnanti hanno ottenuto qualcosa? Oppure tutto e’ stato spazzato via come polvere sotto il tappeto ?

Bhoooo … come sempre la tv fa vedere quello che vuole e dopo qualche vaga notizia, di questo non si sa piu’ nulla, come sempre.

 

Ad Oaxaca c’e’ l’unico hotel che abbiamo prenotato prima di partire, piu’ cha altro per la paura di trovare il pienone ovunque nell’ultima notte dell’anno; in realta’ ancora una volta rimaniamo stupiti dallo scarso numero di turisti in giro nonostante il periodo e nonostante il luogo sia uno dei piu’ visitati del Messico.

La Posada Escudero (450 Pesos) e’ proprio carina con le sue tinte rosse e gialle vivaci, con le sue piante che abbelliscono un patio sul quale si affacciano le balconate delle camere, peccato che sia un po’ lontano dal centro, una traversa della Ninos Eroes De Chapultepec e dobbiamo prendere un autobus (4 Pesos) per arrivarci dalla stazione principale.
Acquistiamo gia’ anche i biglietti per l’autobus notturno di domani che in 11 ore ci portera’ a San Cristobal de Las Casas, ci concediamo un piccolo lusso visto che i viaggi notturni sono parecchio stancanti e prenotiamo con la ADO Premium (640 Pesos contro i 540 della classe normale).

Che aggiungere di Oaxaca ??

Passiamo la giornata quasi in attesa del capodanno e dopo il solito pasto a base di tacos (ma non avevo detto che non li avrei piu’ mangiati ?? Alcune volte penso di essere un campionario di contraddizioni), visitiamo la cattedrale e la bellissima chiesa di Santo Domingo con il suo sagrato ricoperto di agave.

I mercati di Oaxaca sono una gioia per gli occhi, gli infiniti colori e le mille sfumature della frutta, dei vestiti e dell’artigianato in legno: draghi, draghetti, colibri’, catus, animali di vario genere di ogni forma e dimensione, vasi, ceramiche, maschere… ovunque ti giri c’e’ qualcosa che attira attenzione, c’e’ qualcosa che compreresti ma poi ti rinsavisci pensando al carico sulla tua schiena. Non ne usciamo indenni, anzi, ma alla fine e’ difficile resistere a simili tentazioni e vivere con il rammarico … Oddio che parola esagerata !

E pensare che dissi “rimandiamo gli acquisti al Chapas” …credo che adesso la frase piu’ ricorrente sia “ facciamo gli ultimi acquisti in Chapas !”.

Detto questo siamo costretti a comprare anche un borsone aggiuntivo perche’ stipare il tutto negli zaini e’ impossibile ci sta a malapena cio’ che ci siamo portati dall’Italia, sacco a pelo incluso.

Sinceramente e’ uno dei capodanni piu’ tristi della nostra vita; pensavo alla “fiesta mexicana” con fuochi d’artificio, balli in piazza, birra  a fiumi, ero addirittura preoccupato per le armi da fuoco tanto diffuse e di uso comune qui e invece …

Invece cena tristissima in un locale squalliduccio con un mole pueblano e carne di infimo ordine, qualche razzetto e qualche miccetta da non  far spaventare neanche le galline, festa in piazza nessuna e bar strapieni tanto da non poter entrare a consumare neanche una birra; dulcis in fundo ?? bhe’ eravamo nello zocalo quando e’ iniziato il conto alla rovescia, chi diceva che mancavano dieci secondi, chi 20, chi 5 minuti, insomma il nuovo anno veniva festeggiato separatamente a seconda del lato della piazza dove ti trovavi e poi via di corsa verso casa tanto che un quarto d’ora dopo la mezzanotte parte dello zocalo era vuoto.

Andiamo a dormire che e’ meglio !

 

01 Gennaio: Buon anno !

E’ la prima volta che a Capodanno siamo in un luogo cosi’ lontano dall’Italia, nei nostri viaggi passati avevamo privilegiato altri periodi, sicuramente piu’ economici.

Sia io che Paola non siamo troppo legati a questa festa, anzi non e’ mai motivo di grosso sbattimento; ieri sera pero’ ammetto che ci siamo rimasti piuttosto male, l’aspettativa era alta …Ahh !! L’aspettativa! Lo dico sempre e’ una brutta bestia da gestire soprattutto perche’ genera spesso illusioni e colma gli animi di promesse mancate; e che cos’e’ il Messico senza la’ fiesta’ ??

E’ come il loro cibo senza la cipolla, diventa vuoto, inespressivo privo di anima, anche se il mio stomaco la pensa diversamente e manderebbe volentieri al diavolo l’espressivita’ dei piatti messicani.

 

A Monte Alban ci ero gia’ stato qualche anno fa con l’autobus che si prende vicino all’hotel Meson del Angel ma, questa volta siamo in due e quindi conviene, anche se economicamente leggermente piu’ dispendioso, un taxi che per 150Pesos ci porta velocemente, ci aspetta il tempo necessario e ci riporta indietro.

La giornata e’ bella come al solito, sole cielo azzurro anche se qualche nuvola incombe e c’e un po’ di vento fastidioso.

Monte Alban mi ha sempre ricordato molto Teotihuacan, i suoi terrazzamenti, le piramidi, le bizzarre incisioni e le numerose steli; la posizione dominante su una collina rende una visione superba della valle circostante cosi’ come e’ meraviglioso passeggiare tra le varie costruzioni senza darsi una meta precisa. Al solito poca gente, pochi turisti a vedere quella che fu la capitale degli zapotechi e una delle piu’ antiche citta’ del mesoamerica.

Va via il sole, fa piu’ fresco e’ un continuo “metti-togli” della felpa, anche se la temperatura resta sempre piacevole.

Ci riavviamo dopo un paio di ore verso l’uscita e ci facciamo portare al solito in qualche mercato lasciando che poi che il tempo scorra su di noi con calma tra le vie colorate di Oaxaca e le sue belle case coloniali. Non ho contato le volte che abbiamo attraversato lo zocalo, le volte che ci siamo fermati su una panchina o a qualche banchetto; il nostro bus partira’ poco dopo le 21 e dobbiamo tenerci solo il margine per recuperare gli zaini in albergo.

 

Davanti alla stazione dei bus ADO ci sono dei baracchini che sfrigolano tutto il santo giorno e visto che e’ ancora presto ci concediamo la cena piu’ lussuosa del viaggio: 25 pesos a testa per un kebab e dell’acqua; bhe’ insomma non si puo’ dire che non ci stiamo trattando da signori appollaiati come siamo su uno sgabello unticcio e malfermo con la prospettiva di finire a gambe all’aria proprio in mezzo alla strada.

Eppure per i messicani questi posti sono un “must” sempre pieni di gente a tutte le ore della giornata, anche al mattino presto quando l’odore di soffritto ti penetra nelle narici e ti rimane finche’ non ti ci abitui e pensi di non sentirlo piu’ … e invece e’ li’ e riappare quando meno te lo aspetti o nei momenti meno propizi mentre magari stai mangiando un dolce e pensi “ ma come cazzo e’ che sa di cipolla”…

Di fianco avevo un signore che si e’ fatto riempire il panino di ogni possibilita’ commestibile (o meno !?!), quando e’ andato via ha lasciato una scia tale da creare un tutt’uno con la griglia che ancora sfrigolava nell’olio la cipolla, in pratica lui e la griglia erano la stessa cosa.

Con questi bei pensieri in testa abbiamo affrontato il primo tratto in autobus fatto di una serie infinita di curve tale da provocare il voltastomaco ma c’e’ da ammettere che la sistemazione e’ proprio lussuosa come non ne avevo mai viste: poltrona personalizzata con consolle per film, musica e videogiochi, in pratica ne ho fino a domattina vista la mia risaputa avversione ai riposi notturni su tutto cio’ che non e’ un letto.

 

02 Gennaio: Arriviamo con buon anticipo, ben prima delle 11 ore previste, forse merito della strada nuova costruita tra Tuxtla Gutierrez e San Cristobal De Las Casas o forse dell’imponderabilita’ degli orari in Messico troppo legati a fattori diversi che i semplici chilometri da percorrere.

Resta il fatto che alle 7 usciamo, zaino in spalla dalla stazione, fa freddo e ci sono pozzanghere ovunque e il cielo non promette nulla di buono, menomale che abbiamo i piumini visto che siamo partiti dall’Italia con il freddo … passiamo un paio di posade prima di trovare posto nella bellissima “Casa Margarita” per 520 Pesos a camera, un po’ piu’ caro del nostro standard, ma sicuramente li vale tutti.

Ricordavo la cattedrale gialla, come ricordavo la bellezza delle vie di questa citta’ che alterna colori sgargianti a quelli piu’ semplici, tra case coloniali e baracche di legno , il tutto in un incrocio di vie perfettamente parallele o perpendicolari tra loro che vanno a costituire le quadre di San Cristobal.

Paola adocchia sulla guida che esiste un museo della cultura maya che per 20 Pesos illustra meglio quelle che sono le usanze di un popolo antico che risiede in questa terra da sempre.

Le medicine naturali, gli alimenti, il parto e la magia, e’ tutto un alternarsi di stanze dove gli usi e costumi maya vengono in qualche modo mostrati e spiegati cercando di dipanare quell’idea di arretratezza che ognuno di noi si e’ fatto rispetto a delle popolazioni che qui hanno sviluppato una civilta’ cosi’ progredita.

I maya esistono ancora o meglio resistono ancora, mescolando credenze pagane con quelle religiose assorbite dai conquistadores mostrando una fierezza culturale che altrove e’ andata perduta per sempre.

Inutile illudersi, comunque la contaminazione c’e’ ed e’ forte e i maya sono stati capaci di prendere tutto il peggio che la cultura occidentale ha portato e non mi riferisco solo al Dio denaro ma anche ai grandi problemi di alcolismo e disinformazione che qui sono una consuetudine. E’ d’altronde ovvio che il governo centrale voglia tenere nell’arretratezza la popolazione maya del Chapas perche’ cosi’ e’ piu’ facile sfruttarla facendole solo annusare il miraggio di uno stile di vita occidentale, questo crea solo bramosia e non un vero spirito di cambiamento.

Forse neanche Marcos crede piu’ ad un cambiamento forse si e’ arreso anche lui, e’ come sparito nelle foreste che da queste parti sono ancora numerose.

Di lui esistono pupazzetti, magliette e qualche slogan sembra ormai solo folklore.

 

Usciamo e Paola mi guarda, magari ha avuto i miei stessi pensieri e sembra volermeli comunicare, ha questa grande capacita’ di parlare con gli occhi, anche se io non ho sempre la capacita’ di leggere cio’ che esprime e magari anche adesso mi sbaglio, forse pensa solo che ha freddo o forse che ha voglia di pensieri diversi, di distrarsi dai mali del mondo e, infatti, ...

ben presto finiamo nell’incredibile e coloratissimo mercato di San Cristobal tra stoffe, tovaglie, vestiti, borse, coperte di una tale varieta’ cromatica che forse ogni tentativo di descrizione sarebbe inutile o quantomeno non gli renderebbe giustizia.

Donne con abbigliamento tipico indios, bambini avvolti come salami, odore di cibo ovunque e a tutte le ore, tutta l’umanita’ sembra essersi concentrata qui e tu devi solo farti portare dal fiume in piena che attraversa ogni vicolo del mercato.

“Ma sai che questo ci potrebbe servire ??”, “ E cosa portiamo a mia sorella ?” “ E se vediamo per un’altra borsa ?” insomma siamo preda di questo vortice cromatico e solo la fame ci fa deviare verso il Gato Gordo.

 

San Juan Chamula e’ un esempio di quanto detto prima, nella chiesetta di questo paese sulle alture di San Cristobal si svolgono riti a meta’ tra il pagano e il religioso cattolico.

Le numerose statue dei santi sono adorate con lunghe preghiere incomprensibili, il pavimento e’ completamente cosparso di aghi di pino cosi’ come da una infinita distesa di candele. A volte si scorgono bottiglie di Coca o di Pepsi che aiutano nel rutto finale e 5 anni fa vidi anche galline sgozzate in diretta. Non so quanto questa tradizione resista solo per fare da spettacolino ai turisti, resta il fatto che rappresenta l’esempio tangibile del modo in cui questa gente ha mantenuto antichi riti inserendosi tra le maglie dell’inquisizione spagnola.

Usciamo, il tempo e’ pessimo le nuvole sono talmente basse da poterle tagliare a fette e le gocce di umidita’ ti penetrano nei vestiti lasciandoti solo il desiderio di un posto caldo dove sorseggiare un the’. Prendiamo un taxi per tornare a San Cristobal (60 Pesos) sotto un cielo plumbeo e un freddo cane.

“Ma non dovevamo andare al caldo ??”.

Gia’ effettivamente fino a ieri eravamo stati abbastanza fortunati con il tempo, ma oggi bhe’ lasciamo perdere …

Ho il rifiuto di indossare il piumino che invece Paola sfrutta in pieno, soffro stupidamente e in silenzio nella mia felpa ma … cavolo, questo e’ il Messico e non la bassa pianura milanese, gli altri anni non faceva cosi’ freddo nello stesso periodo, neanche a queste alture !

No, proprio il piumino no !!

Mi sembrerebbe di tornare a casa.

La sera ci infiliamo in un ristorante uruguagio per gustarci una parillada, onestamente alquanto scarna, in compenso ci godiamo un piccolo spettacolo di tango argentino cosi’ da allontanare i pensieri dai problemi del mondo, dai maya, dagli zapatisti e soprattutto … dal freddo !

 

03 Gennaio: Mettiamo fuori il naso dalla camera, finalmente sole e cielo azzurro … i contorni di San Cristobal sembrano completamente diversi oggi . I colori del mercato sembrano piu’ incisi come del resto quelli dei banchetti di frutta, il via vai continuo di gente che sembrano tante formichine uscite dalla tana dopo la tempesta, la bellezza delle vie e il piacere che si prova semplicemente camminando, tutto sembra diverso, anche se nella realta’ non e’ cambiato assolutamente nulla, cambia solo la nostra prospettiva, il nostro modo di vedere le stesse cose.

Gironzoliamo senza una meta precisa, finalmente un po’ di sano cazzeggio in attesa del nostro bus OCC (146 Pesos) delle 12:15 per Palenque. La famigerata Cristobal Colon, nei miei viaggi passati ho imparato a starne alla larga, oggi sembrano autobus piu’ moderni, meno carrette della strada, resta il fatto che ieri quando abbiamo comprato i biglietti ero dubbioso ma, che farci … qui hanno un po’ il monopolio e soprattutto dei prezzi/orari molto favorevoli.

E’ la prima volta durante questo viaggio che non penso a cosa devo vedere o cosa voglio fare, anzi un pensiero in realta’ ce l’ho: colazione messicana !

Avete presente quei piatti ricchissimi di uova, fagioli, prosciutto e qualche strano tipo di formaggio ??

Ecco questo condensa bene il concetto di ‘breakfast’ da queste parti, e a me fa impazzire visto che da sempre faccio una colazione salata anche a casa. Certo, non proprio leggerina ma comunque piu’ sana di qualunque brioches e soprattutto tiene a bada la fame molto piu’ a lungo.

Entriamo in un locale che sembra deserto, sfiga vuole che prima di noi si accomodi una numerosissima famiglia messicana e subito ci rendiamo conto che ci sara’ da aspettare … parecchio!

I messicani generalmente quando mangiano ordinano una tale quantita’ di portate che il tavolo viene completamente sommerso di pietanze, stoviglie, posate e tovaglioli; se sono in due ordinano per sei, se sono in quattro ordinano per dodici, se sono in otto ordinano per ventiquattro, insomma avete capito la proporzione …c’e’ solo una povera cameriera che corre come una matta e loro sono in sei percio’ a voi il conto di quanta roba hanno ordinato, a noi tocca l’attesa.

Recuperiamo velocemente gli zaini nella posada e ci avviamo verso la stazione degli autobus, guardo di sbieco il cielo, sta cambiano, nuove nuvole all’orizzonte.

Il percorso verso Palenque e’ una serie infinita di curve, piccoli villaggi e topas ogni 500 metri, questo si traduce in una velocita’ media di 40Km/h.

Facciamo una sosta ad Ocosingo, sinceramente avevo la forte tentazione di fermarmi una giornata per vedere le rovine di Tonina’, ma poi il tempo che abbiamo a disposizione e soprattutto la bruttezza del paese mi fanno cambiare velocemente idea. Sara’ per un’altra volta o forse mai piu’ .

E ci risiamo, nuvole basse, pioggerellina continua, foschia, sembra la pianura padana di inverno altro che Messico; menomale che doveva essere la stagione secca a questo punto forse e’ preferibile la stagione delle piogge, ti becchi l’acquazzone pomeridiano e poi torna il sole. Qui invece e’ costantemente coperto da nubi con quel cielo bianco che non lascia trasparire il benche’ minimo raggio di sole.

Arriviamo a Palenque dopo 6 ore e prenotiamo al volo il bus notturno che fra due giorni ci portera’ a Tulum (650 Pesos con ADO).

Ricordavo che questo paese fosse brutto ma sinceramente adesso che lo rivedo e’ anche peggio. La solita strada verso il centro mai asfaltata, case ed alberghi ammassati alla rinfusa un luogo completamente anonimo nato solo dallo sfruttamento turistico di quella meraviglia dell’ umanita’ che e’ Palenque.

Prima di dedicarci alla ricerca di un hotel ci fermiamo in un’agenzia per prenotare        l’ escursione di domani a Yaxchilan e Bonampak (650 Pesos).

Facciamo un tentativo al Lacandonia, ma il costo ci fa desistere, ci fermiamo al vicino Nikte-Ha che per 300 Pesos ci lascia una camera doppia all’ultimo piano.

L’albergo e’ nuovo ma terribilmente anonimo e con un arredamento cosi’ triste da far pensare ad un ospedale, diciamo che rappresenta bene quello che e’ il resto del paese.

 

04 Gennaio: Alle 5:30 veniamo svegliati di soprassalto dal bussare nervoso sulla porta della camera.

 

“Ehi ma non dovevi passare alle 6? In agenzia ieri sera ci avevano detto che saresti passato …”

“Vamonos, vamonos se está haciendo tarde !!

“Ok, Ok, ci prepariamo non ti arrabbiare troppo, aspettaci giu’”.

 

Solita manfrina, un minivan passa a prendere noi, poi altre persone in altri alberghi, abbiamo avuto la sola sfortuna di essere i primi della lista.

Il cielo al solito e’ bianco uniforme e alterna una pioggia leggera a momenti di pausa.

Ci fermiamo per colazione lungo la strada in una capanna appositamente posizionata per ospitare i turisti in gita Aiazzone verso Yaxchilan, infatti poco dopo di noi si fermano anche altri gruppi; in compenso la colazione e’ molto buona.

Arriviamo all’imbarcadero sul Rio Usumacinta che piove e ci imbarchiamo su una lancia che risalira’ il corso del fiume per ¾ d’ora, l’altra sponda e’ gia’ Guatemala.

Inutile dire che ci laviamo da capo a piedi.

Inutili anche i tentativi di ripararsi con il giubbotto salvagente, con una sacchetto di plastica legato in testa con un foulard, mi do dello stupido per aver portato di tutto tranne un K-way, chissa’ cosa hanno pensato gli altri vedendomi con il sacchetto di plastica, anche se Paola era eloquente … almeno le ho rallegrato il tempo durante questa doccia collettiva.

La natura, la foresta intorno a noi e’ magnifica, superba e’ un intrico infinito di alberi e di rami che si bagnano nelle acque del fiume, e’ una distesa di verde impenetrabile e la nebbia che avvolge la chioma degli alberi rende il paesaggio suggestivo, magico.

Non ho mai navigato sul Rio delle Amazzoni ma credo sia esattamente cosi’ e chissa’ quanti e quali animali si nascondono in questo mondo, tapiri, serpenti, giaguari (pochi mi sa), coccodrilli e una grande quantita’ di uccelli, pappagalli, insetti insomma una natura ai suoi primordi che mi fa dimenticare tutto, riesco solo ad ammirare cio’ che ci circonda. Non ce n’e’, questo luogo ti fa riconciliare con il mondo, con il lento movimento del fiume e le infinite angolazioni dalle quali questa natura esplosiva si fa ammirare; capisco, anche se solo lontanamente, il rapporto che le popolazioni precolombiane avevano con la natura alla quale erano cosi’ legate le loro divinita’ a quel senso di dualismo e movimento che ognuno di loro esprimeva, il sole, la luna, la pioggia, l’incedere delle stagioni e delle eta’ dell’essere umano, il giorno e la notte, la vita e la morte, l’uomo e la donna plasmati dagli dei a partire da una palla fatta di acqua e mais.

Arriviamo a Yaxchilan che spiove (quando parlo delle leggi di Murphy …), al momento vediamo solo qualche rovina aggrovigliata dagli alberi e i sentieri sono paltano allo stato puro. Siamo i primi e ci avviamo seguendo le poche indicazioni presenti. Ad un certo punto si presenta davanti a noi uno spettacolo mozzafiato, rovine, labirinti di pietra, corridoi, resti di piramidi, templi parzialmente recuperati e spesso avvolti tra le radici di alberi giganteschi, non sappiamo neanche se non piove piu’ o la foresta ci sta facendo da riparo verso un cielo che da qui sotto non si vede, come svanito.

Questo luogo mi ricorda molto Angkor Wat in Cambogia, anche se e’ piu’ antico di qualche secolo, girovaghiamo per un paio di ore, anche se nel frattempo la nostra solitudine e’ interrotta dall’arrivo di altri turisti sicuramente meno lavati di noi perche’ partiti piu’ tardi. Inizio a pensare che tutta la fretta del nostro conducente ci abbia solo portato una lavata galattica …bhe’ almeno ci siamo goduti questo luogo magnifico da soli.

Il ritorno e’ meno problematico, il cielo e’ sempre grigio, completamente coperto, ma almeno non piove.

Ci fermiamo per pranzo in un ristorante vicino all’attracco delle lance e sinceramente, quando per primo ci portano una zuppa di verdure calda, ci brillano gli occhi, siamo ancora umidi dalla testa ai piedi e il calore del cibo e’ un toccasana … mai avrei immaginato in Messico di desiderare un pasto bollente !

L’autista ci dice che ci sara’ da aspettare una ventina di minuti prima di ripartire perche’ ci aggregheremo ad altri gruppi che sono appena arrivati. Meglio, ci rilassiamo sui divanetti del posto e stendiamo le felpe umidicce.

Adesso, capisco che il tempo e’ un concetto relativo, ma in Messico la relativita’ si trasforma in casualita’ e la cosa non mi fa certo piacere.

Vado a cercarlo …

Ma come ?? Stamattina ci sei venuto a prendere con piu’ di mezz’ora di anticipo, incazzato e con una fretta terribile, per colpa della tua fretta ci siamo presi secchiate di acqua in faccia e adesso dopo due ore che siamo qui manco ti fai vedere ?

Altro che venti minuti ? E quando ci andiamo a Bonampak, stanotte ?

Gli dico dietro di tutto nel mio italo-spagnolo alquanto traballante, ma il metodo e’ efficace e cosi’ schioda il suo grosso sedere dalla tavola su cui stava per arrivare la ventesima portata; ricordate la proporzione tra numero di persone e numero di pasti ordinati dai Messicani ? Bhe’ per lui bisogna moltiplicare il tutto per due.

Arriviamo a Bonampak,  quando molti iniziano ad uscirne.

Il luogo non e’ all’altezza di Yaxchilan, ma e’ uno dei rari siti dove si possono ammirare ancora degli affreschi Maya i cui magnifici colori rappresentano scene di battaglie o religiose, ma anche scene di vita di tutti i giorni, incredibile pensare a come siano sopravvissuti all’incedere dei secoli.

Ricomincia a piovere e attorno alle 19:30 siamo di nuovo a Palenque.

Finalmente una doccia rigenerante che lava via anche qualche scoria di troppo di questa giornata, resta solo il ricordo di luoghi quasi incontaminati dove vivono ancora pochi individui nella selva Lacandona discendenti diretti dei maya e dove ancora si puo’ apprezzare o almeno intuire il senso del vivere di un tempo cosi’ legato alla natura e al suo lento e costante movimento.

05 Gennaio: Diluvio !!

Ci svegliamo stamattina sotto una pioggia battente !

Proprio il giorno del mio ritorno al sito di Palenque dopo 11 anni.

Non ci resta che aspettare e gironzolare per la citta’ nell’attesa che passi, compriamo un paio di mantelle, facciamo colazione, mi faccio lucidare le scarpe, prepariamo gli zaini, insomma inganniamo il tempo come possiamo, la citta’ di Palenque non offre null’altro.

Verso le 12:30 la pioggia si fa sempre piu’ debole anche se il cielo come al solito e’ bianco, completamente coperto.

Prendiamo un taxi per la zona archeologica (50 Pesos) e … sorpresa!! Neanche la Lonely Planet segnala che da quest’anno, prima di arrivare a “las ruinas”, si entra in un parco naturale e quindi bisogna pagare un ulteriore biglietto di ingresso di 25 pesos in aggiunta ai 41 del costo di accesso al sito. A me sembra la solita gabella per i turisti, resta il fatto che ci tocca mangiare la minestra per non saltare dalla finestra come si usa dire.

Arriviamo giusto in tempo al capanno di ingresso che si scatena un’autentica doccia tropicale, menomale che abbiamo le mantelle ma, meglio attendere !

I gradini di accesso sono autentiche cascate di acqua, la natura e’ rigogliosa come al solito e il sito e’ spettacolare nonostante la pioggia e questo continuo e fastidioso cielo bianco.

Il tempio delle iscrizioni non e’ piu’ scalabile, anche se si accede da un’apertura laterale alla tomba di re pacal. A casa ho diverse rappresentazioni dell’incisione della sua lastra tombale che gli archeologi interpretano come il re intento a scalare l’albero della vita o qualcosa del genere, in realta’ sembra invece una persona seduta ai comandi di una navicella spaziale con tanto di inalatori per il naso e il fuoco che esce dai motori posteriori; e’ cosi’ realistica questa raffigurazione da essere stata ribattezzata “l’astronauta di Palenque”.

Da qui al complesso chiamato “el Palacio”con la sua torre di osservazione, la distanza e’ breve e le due costruzioni si possono ammirare a vicenda descrivendo un angolo di quasi 90 gradi.

Riprendiamo il cammino verso il “Templo de la Cruz” dalla cui cima si ha una meravigliosa visione di insieme del luogo.

Le nuvole basse avvolgono la cima delle piramidi cosi’ come la parte di foresta che abbiamo di fronte e’ completamente avvolta nella foschia …brutto presentimento.

E, infatti, ricomincia a piovere.

Restiamo inchiodati in cima al tempio per un po’, faccia a faccia con delle bellissime steli riparati sotto le nostre mantelle colorate, quando, stufi, decidiamo di rincamminarci verso l’uscita, al diavolo le cascate e il resto dei percorsi nella foresta, con questo tempo non riusciremmo nemmeno a godercele.

E’ tardo pomeriggio, quando mangiamo qualcosa al ***** .

Mangiamo benissimo !! A saperlo prima !

Le minestre e il pesce poi sono una delizia e non lesinano certo sulla quantità.

Ci rechiamo in stazione con i nostri zainoni con buon anticipo e uno studente locale attacca un bottone pazzesco con Paola che se da una parte esercita il suo spagnolo dall’altra subisce delle manfrine pazzesche sulla religione e sulla salvezza eterna dell’anima, sfiga vuole poi che il bus parta con un’ora e mezza di ritardo. Alle 22:30 lasciamo Palenque, il Chapas e tutta la sua pioggia.

06 Gennaio: L’avrei ammazzato !!!!!!

Che rabbia !! In autobus questa notte c’era un ciccione pazzesco che ha russato continuamente; faceva un verso tipo Alien quando si sta per avventare sulla sua vittima.

Era pure vicino a noi, ma in realta’ pochi sull’autobus hanno dormito anzi, mi sa nessuno tranne lui, ad un certo punto pensavo ad una rivolta generale per poi abbandonarlo in un angolo buio della strada e invece ce lo siamo portati fino a Tulum.

Arriviamo verso le 9 di mattina, stanchi e indolenziti e dopo qualche tentativo a vuoto troviamo posto in una posada molto carina la “Addy” in Calle Polar de Oriente per 350 Pesos a notte con ventilatore.

Il tempo e’ buono, anche se onestamente la temperatura non e’ alta quanto mi aspettavo, ci saranno non piu’ di 27 gradi con un leggero vento. Nei miei viaggi passati ero venuto da queste parti ai primi di dicembre e c’erano quasi 35 gradi, questo giro invece con la sola differenza di un mese ci sono quasi dieci gradi di differenza. Colpa del freddo polare che ha investito gli Stati Uniti e si e’ spostato parzialmente anche sul Golfo del Messico, ma che culo direi !

Dopo 4 giorni di pioggia nel Chapas anche la zona caraibica risente di condizioni piu’ invernali del solito.

In taxi (40 pesos) andiamo in spiaggia nella zona piu’ vicina alle rovine dove ci sono le cabanas Zazil Khin per intenderci.

Tulum e’ la classica cartolina, tutto cio’ che nei sogni di paradisi tropicali si puo’ immaginare; sabbia bianchissima come la farina, palme ovunque e un mare turchese che degrada verso il blu cobalto. Paola sgrana gli occhi sapevo che questo luogo avrebbe fatto colpo e l’effetto che fa e’ sicuramente quello di credere di sognare.

Stendiamo i teli e facciamo un bagno veloce perche’ la temperatura non e’ proprio ideale, si sente che mancano quei quattro, cinque gradi che ti permettono di stare tranquillamente a rosolarti al sole; in piu’ il vento e’ piuttosto fastidioso.

Passiamo qualche ora di nullafacenza prima di decidere nel tardo pomeriggio di visitare le rovine di Tulum, unico sito maya sul mare, molto suggestivo ma di scarso interesse tanto da costituire una meta visitabile in pochi minuti.

Chi viaggia zaino in spalla sa benissimo la quantita’ di biancheria sporca che man mano si accumula e spesso tocca fare un bucato generale a forza di braccia e sapone di Marsiglia. Oggi esistono delle varianti molto piu’ efficaci: le lavanderie a gettoni. Fortunatamente ne abbiamo una vicino alla posada e prima di cena porto un sacco tipo spazzatura ricolmo di biancheria che finalmente trovera’ pace nell’acqua profumata di una lavatrice per poi passare a rosolarsi allegramente nell’asciugatrice.

Non vi dico il profumo appena finite le varie operazioni, mi sentivo cosi’ soddisfatto, anche se non ho mai capito di cosa poi! Va bhe’ poco importa …

Se non che stavo per rovinare il tutto inciampando in un cavo elettrico al ritorno, in quell’istante mi e’ passata davanti l’immagine terribile di tutta la biancheria per terra aggrovigliata alla monnezza dei marciapiedi; fortunatamente qualcuno ha voluto che restassi in piedi e portassi a termine la mia impresa giornaliera.

E che c’entra direte voi ?

Bho’ non so, lo avevo annotato sul diario e non ho fatto altro che riportarlo, e’ comunque vero che anche questi dettagli contribuiscono a comporre il quadro di un viaggio.

Ceniamo velocemente e poi a nanna presto sperando di non avere il ciccione come vicino di camera !

 

07 Gennaio: E ci risiamo !! Indovinate un po’ ?? Cielo coperto.

Niente mare, almeno per il momento.

Decidiamo di andare in taxi fino a Coba’ visto che gli orari dei bus sono abbastanza generici; non ci fermiamo molto, solo il tempo di aggirarci tra le pietre che un tempo dovevano costituire una citta’ enorme con i suoi campi di pelota e diverse piramidi adesso diroccate. Ne avevo sentito parlare sempre in maniera molto positiva da chi ci era stato, personalmente lo ritengo un luogo con uno scarso impatto visivo e di poco interesse.

Al solito il giudizio su un posto dipende dai termini di paragone che uno ha. Ad esempio puo’ essere un bel sito archeologico  se paragonato a cio’ che si vede in questa parte del Quintana Roo, ma dopo aver visto Palenque, Teotihuacan, Yatchilan o Cantona il paragone non regge.

 

Ci spillano pure 10 Pesos per vedere dal pontile i coccodrilli nel vicino laghetto, si avvicinano solo perche’ gli viene buttato del cibo, in realta’ sembrano con la panza bella piena e non mi sembra che abbiano troppa voglia di fare piroette o esibizioni varie per accaparrarsi un po’ di carne in piu’. Buon per loro e anche per noi …

 

Finalmente uno spiraglio di sole.

 

Sulla strada del ritorno ci fermiamo al Gran Cenote (100 Pesos l’ingresso). La penisola dello Yucatan non ha fiumi e tutta l’acqua dolce si accumula, attraverso la pioggia,  in buche o caverne sotterranee detti cenotes appunto, con fenomeni di tipo carsico. Gia’ i Maya usavano l’acqua di queste enormi pozze e in alcuni casi erano ritenuti sacri e usati perlopiù per rituali religiosi.

Adesso invece sono la gioia dei turisti e anche la nostra o almeno la mia, visto che Paola non entra perche’ l’acqua per lei e’ troppo fredda. Resta comunque un’esperienza piacevole nuotare in acque cristalline tra le mille sfumature di colore, immersi in caverne ricche di stalagmiti e stalattiti e ... qualche pipistrello!

Tempo di asciugarsi e siamo di nuovo al mare dove lasciamo il taxi (600 Pesos per tutto il giro … mica poco !!).

Ancora una volta l’alternarsi di nuvole, sole e un po’ di vento ci fa desistere dal piano di fermarci tutto il giorno in spiaggia e dopo due ore siamo di nuovo a zonzo per il pueblo dove pranziamo con un buonissimo piatto di nachos e formaggio.

Tiriamo tardi, nulla piu’.

Serata al ristorante argentino ma qui devo aprire per forza una parentesi.

In Messico l’ingrediente fondamentale della cucina e’ la cipolla, cruda, cotta, in umido, scottata, insomma qualunque piatto tu decida di prendere la cipolla e’ quasi sempre presente (a parte nei nachos fortunatamente).

Questo e’ vero, anche se non vai espressamente in un ristorante messicano ma anche in qualunque altro, argentino, spagnolo, francese, italiano, viene fatto cioe’ l’adattamento dei piatti al luogo dove sei. Questo succede anche in Italia quasi sempre. Se andate in un ristorante giapponese spesso il cibo viene un po’ adattato a quelli che sono i gusti italiani, cosi’ come al cinese o al messicano.

Ho visto spesso i miei colleghi di lavoro indiani appena usciti da un ristorante indiano a Milano definire il cibo con una parola: “Light”.

Sti cazzi !! Per me era tremendo!

 

Ma torniamo alla cipolla.

Non la amo moltissimo, soprattutto cruda. Quando in Messico chiedi “Por favor, poca cebolla”, ti guardano in una maniera che non saprei neanche definire, anzi un modo ce l’ho per definire quello sguardo e ve lo racconto.

Tempo fa lessi un racconto di un ragazzo che aveva piu’ o meno lo stesso ‘problema cipolla’ da affrontare e lui defini’ in questa maniera lo sbigottimento creato da tale assurda richiesta:

“In Messico quando chiedi di togliere la cipolla dal cibo ti guardano con la stessa faccia che farei io se scoprissi che sotto il passamontagna di Marcos si nascondesse Platinette”.

 

Ecco, l’espressione e’ proprio quella li’.

 

08 Gennaio: Tappa di avvicinamento a Cancun o meglio al suo aeroporto visto che il 10 abbiamo il volo interno verso Citta’ del Messico e poi quello di ritorno in Italia.

Prendiamo un minivan che per 35 Pesos ci porta a Playa del Carmen dove troviamo un bellissimo alloggio al Hul-Ku (500 Pesos) in Avenida 20.

Potevamo anche restare a Tulum ma sono curioso di far conoscere alla mia dolce meta’ Playa .

Sono in particolare curioso di farle vedere, alla fine di questo percorso itinerante, anche tutto cio’ che non e’ Messico o meglio tutto cio’ che il Messico e’ diventato ad uso e consumo del solo turismo degli happy hour .

 

Alcune volte mi capita di scrivere diari di viaggio dopo mesi raccogliendo nella mia testa idee e impressioni di un luogo a distanza di tempo. Mi appoggio semplicemente ai ricordi e a degli appunti scarabocchiati velocemente su un’agenda al momento del viaggio guardando il tutto dall’esterno, quasi come un estraneo, quasi come se qualcun altro avesse visto quei luoghi con i miei occhi.

Questa volta ho deciso di non lasciar passare troppo tempo, forse per non far affievolire troppo il ricordo di un mondo che ho sempre considerato come una specie di seconda casa, un posto dal quale sono sempre tornato colmo di ricordi meravigliosi: il Messico.

Il senso che ho sempre attribuito ad ogni viaggio risiede principalmente nel contatto, per quanto superficiale, con altre culture e che considero un momento di crescita personale.

E’ proprio per questo che spesso faccio cosi’ fatica a capire chi si isola in un luogo e, senza mai mettere il naso fuori, dice di aver visto un paese.

Non e’ solo questioni di villaggi, questi possono essere utili per rilassarsi e farsi una vacanza … appunto, una vacanza, ma non un viaggio. Lo stesso vale per chi si rinchiude in citta’ completamente edificate su misura del turista e trova in questo la massima espressione della bellezza del luogo; un esempio ?? Playa del Carmen; insomma e’ come venire in Italia, fermarsi a Riccione e dire di aver visto l’Italia.

Ma cosa conosci di quel paese ?? L’aperitivo la sera ? Il bar alla moda ? La spiaggia attrezzata ? Lo struscio sul viale principale ? Conosci solo l’immagine che quella citta’ vuol dare di se’ e questa si adatta camaleonticamente secondo le esigenze di chi si ferma, senza far trapelare nulla di cio’ che un tempo era.

Questo non vuol assolutamente dire che esiste un solo modo di viaggiare e di conoscere, perche’ entrambe queste parole racchiudono un significato ben piu’ ampio, ma almeno … mettete il naso fuori dalla gabbia !!

 

“Un giorno le scimmie dello zoo decisero di fare
un viaggio d’istruzione. Cammina, cammina, si
fermarono e una domandò:
- Cosa si vede?
- La gabbia del leone, la vasca delle foche e la casa
della giraffa.
- Come è grande il mondo, e come è istruttivo
viaggiare.
Ripresero il cammino e si fermarono soltanto a
mezzogiorno.
- Cosa si vede adesso?
- La casa della giraffa, la vasca delle foche e la gabbia
del leone.
- Come è strano il mondo e come è istruttivo viaggiare.
Si rimisero in viaggio e si fermarono solo al tramonto
del sole.
- Che c’è da vedere?
- La gabbia del leone, la casa della giraffa e la vasca
delle foche.
- Come è noioso il mondo: si vedono sempre le stesse
cose. E viaggiare non serve proprio a niente.
Per forza: viaggiavano, viaggiavano, ma non erano
uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo
come i cavalli di una giostra.”


Tratto da ‘Favole al telefono’ di Gianni Rodari

 

09 Gennaio: Incredibile! Il solo bus ADO per Chichén Itzá costa di piu’ che fare un’escursione organizzata con tanto di guida nel sito, pranzo e visita di Valladolid (470 Pesos il bus contro 450 Pesos il tour). Qualcosa mi dice che c’e’ sotto un qualche tipo di accordo visto che quella cifra l’ abbiamo pagata per tratti in autobus lunghi ben piu’ del doppio.

Decidiamo ovviamente per il tour tanto in questa giornata di pioggia (ma che novita’ !!!) di mare non se ne parla; e il maltempo non e’ neanche l’unica nota negativa di questo inizio di giornata visto che stamattina una colica renale mi ha fatto penare parecchio.

Di Chichén Itzá si puo’ dire di tutto, iperturistico, inflazionato, ipersfruttato, quello che si vuole ma resta il sito di maggior interesse e probabilmente il piu’ affascinante di tutto lo Yucatan.

Citta’ Maya e poi Toltecha e’ indubbiamente un luogo che fonde culture diverse, dalla piramide “El Castillo” fino agli spettacolari campi di gioco con la pelota, dal caracol a forma di osservatorio astronomico ai numerosi bassorilievi intrisi del dualismo tipico di queste religioni: morte e rinascita.

Tutto qui sembra avere un senso, forse solo perche’ e’ uno dei luoghi meglio conservati, o forse per l’armonia delle sue costruzioni e per la grande attenzione dedicata alla sua disposizione rispetto agli eventi celesti e al calendario. Una perfetta sintonia tra pietra e natura, tra inclinazione e suono, dove gli echi si ripetono all’ infinito.

Ogni cosa sembra studiata nel dettaglio, come il numero di gradini della piramide, che coincide con il numero di giorni dell’anno o come l’eco creato dal battito di mani sulla sua sommita’, che sembra il verso dell’uccello sacro Quetzalcoatl o come l’ombra del serpente che scende dai gradini ad ogni equinozio, che sembra sprofondare nella terra.

Ogni costruzione ha una sua collocazione, probabilmente un millimetro piu’ in la’ avrebbe stonato, sarebbe sembrata cosi’ fuori posto.

Ogni pietra sembra viva, ogni raffigurazione determina il significato di tutto cio’ che gli sta attorno, ogni cosa qui sembra in continuo movimento.

 

 

Andrea

atahualpa70@gmail.com

 

 

 

 

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