Per le strade della Thailandia e della Malaysia

Diario di viaggio 2013

di Alessandro Ranucci

 

 

Tornato a casa, rileggendo i miei scritti di viaggio, ho avuto la tentazione di rivedere e correggere la sintassi del racconto, per renderlo più fluido, magari arricchendolo di parole e concetti nuovi per completarlo. Ma poi ho pensato che forse era meglio lasciarlo cosi come era, con le imperfezioni e la logica di quei giorni.

Allora non ho cambiato nulla di quel racconto, mantenendo intatta la costruzione delle frasi e l’impulsività dei pensieri, che raccontavano le emozioni e la magia di un pezzo di vita passata in viaggio con la mia famiglia.

Credo di aver fatto la cosa migliore, perché in fondo il viaggio altro non’è che vita passata viaggiando, e la vita non ha bozze da correggere … semplicemente si vive…

 

… ecco perché viaggio e continuerò a viaggiare.

 

 

Un ringraziamento va a mia moglie e mia figlia.

Senza il loro amore, la loro pazienza e l’inesauribile forza interiore,

non sarebbe stato tutto così … meraviglioso.

 

 

 

Il viaggio…

 

Stamattina Ayse ci ha dato la sveglia silenziosa... giocava col suo giochino preferito tipo matriosca di plastica e, se non fosse per il delicato rumore di plastica alternato alle vocine dolci tipiche del buon risveglio, che ci ha svegliati... avremmo potuto tranquillamente continuare a dormire...

Usciti dalla guesthouse ci chiudiamo dentro una caffetteria con aria condizionata sparata a palla, tanto per risvegliarci e, davanti ad un bel caffelatte, fare il programma della giornata.

Per la gioia di Ayse prendiamo di nuovo un tuc tuc...ci si diverte un mondo seduta dietro e quando inevitabilmente l'autista passa dalla guida criminale allo stare fermo a causa del traffico asfissiante, allora lei si incazza perche pretende che continui a correre. Gli piace un sacco ed impazzisce per le sue lucine colorate...

alle 12.00 siamo alla stazione centrale dei treni, dove portiamo a termine la missione del giorno... quale? Beh di organizzare il viaggio di domani per ko phangan un isola nel sud della Thailandia... preferiamo comprare treno+bus+passaggio mare tutto insieme in un'agenzia all'interno della stazione, anziché comprare il biglietto del treno alla biglietteria e poi doverci preoccupare all'arrivo degli altri spostamenti...

tornando in camera Ayse si addormenta sul tuc tuc e la madre con lei in camera... fino alle 16... cazzarola si salta il pranzo :-) Ayse mangia pappa appena sveglia e via verso la zona moderna della città, tra centri commerciali, grattaceli e tanto tanto smog!!... A dire la verità preferisco la zona old della città, che faremo domani, oggi ne abbiamo approfittato per rilassarci nei freschi corridoi del Siam centre, esagerato centro commerciale... che lusso!

 

Ci svegliamo tardi e la giornata vola via... riusciamo a vedere poco della città antica, ma una cosa la facciamo... mangiare noodle alle verdure fatti dai baracchini all'aperto cotti e mangiati seduti in strada con involtini fritti ripieni di verdure... che goduria!! piu di Dilek a dire la verità, perché adora la cucina orientale e sognava da tempo di poter mangiare dai baracchini all'aperto ogni sorta di pietanza. Alle 18.00 siamo alla stazione di Hualamphong. Nell'attesa di prendere il treno per Surat Thani, ci portiamo avanti con il lavoro di organizzazione e, nell'agenzia della stazione, acquistiamo il bus che il 10 luglio ci porterà a Phuket. Dilek acquista anche un po di viveri ed acqua per la notte da passare in treno, mentre io ed Ayse attendiamo nell'enorme atrio antistante i binari, seduti a terra con molti altri turisti e pendolari thailandesi. Al binario 5 la nostra carrozza è ancora buia e maleodorante, ma sopratutto caldissima. Per fortuna che dopo poco accendono l'aria condizionata e tutto sembra più bello ai nostri occhi. I nostri posti sono il 33 e 34, io sopra nel loculo senza finestra e le donne sotto vicine vicine. Accanto a noi una coppia di tedeschi anche loro zaino in spalla, avanti una famiglia thai con un simpatico bimbetto che gioca a fare capoccella ogni tanto con Ayse. Dietro a noi invece un gruppo di ragazzotti di mezza età che tracannavano birra a più non posso. Si capiva che aumentavano la dose di alcool dal livello di voce che aumentava minuto dopo minuto...

Cavolo ma c'è anche il servizio di ristorazione addirittura servito sul posto con tanto di ordinazione a la carta. Ordiniamo riso e verdure cucinate e devo dire che erano squisite, al di la di quello che si possa pensare di un pasto consumato in treno. Acquistiamo anche il caffè del mattino per una spesa irrisoria. A panza piena e con l'aria condizionata che comincia a dare i suoi frutti, il viaggio ci sta piacendo... da quando siamo arrivati in Thailandia è il primo momento in cui siamo veramente rilassati e ci godiamo un'oretta buona seduti sotto, tutti e tre insieme, col viso rivolto al finestrino sbirciando nei subborghi di Bangkok che affacciano sulle rotaie. Il treno va avanti a singhiozzi e molto a rilento proprio come i nostri riflessi... tanto che decidiamo di dividerci ognuno nella sua cuccetta per passare decisamente la più riposante notte passata fin'ora, malgrado anche il chiacchiericcio ubriaco dei nostri simpatici dirimpettai.

Verso le 7 ci svegliamo freschi e non sudati, con tanto di caffè americano bollente a renderci ancor più piacevole il risveglio... Attacchiamo il bollitore da viaggio alla presa ed in 5 minuti è pronto anche latte e biscotti per Ayse che avidamente ciuccia dal suo biberon.

Sono circa le 9 del mattino e scendiamo finalmente nella stazione di Surat Thani, dove ad attenderci c'è il bus direzione Donsak Pier il porto da dove salpiamo col traghetto direzione Ko Phanghan. Il furgonato che ci accompagna, ci accoglie nei suoi posti scoperti... 10 minuti di strada ad asciugarci il sudore ed eccoci al nostro bungalow. A noi basta poco ma ci sembra un vero paradiso...

 

Le giornate a Ko Phangan scorrono abbastanza pigramente, anche se con Ayse non si può essere troppo pigri. Se ad esempio si vuole dormire un po di più la mattina oppure oziare in spiaggia seduti comodamente su uno sdraio o semplicemente leggere una misera pagina di libro o sorseggiare un tazza di caffè americano sotto la veranda del tuo bungalow, beh tutto questo non si può fare, e ti trovi sempre a dover fare altro, quando ben altro si vorrebbe fare... e quel che si vorrebbe fare rimane un utopico pensiero inciso nelle nostre nuvolette, seguito da un sigh sigh come nei fumetti di topolino. I monsoni non ci hanno voluto regalare un po di bel tempo in questi tre giorni. poco sole alternato a tempo quasi sempre nuvolo e a piogge intermittenti hanno segnato la nostra permanenza in quest'isola. Inoltre in questo periodo  dell'anno il mare si ritrae parecchio e trovare dei bei posti in cui nuotare e gongolarsi in acqua risulta molto più difficile. La baia dove abbiamo il nostro bungalow è discreta, anche se in alta stagione farebbe tutt'altro effetto. In questi giorni l'adorazione per la cucina thailandese sta aumentando esponenzialmente, non c'è una cosa che non ci piace. La cosa spettacolare è che la base è sempre vegetariana e poi se vuoi puoi decidere se mettere la carne o il pesce ad esempio nel riso o nei noodles. Insomma per i vegetariani è il paese adatto secondo me. Si spende veramente poco, dai tre ai cinque euro a persona e fino ad ora non siamo mai usciti da un posto scontenti della qualità del cibo o di come era cucinato.

Oggi dovevamo andare a Ko Tao col traghetto delle 08.30 ma ci siamo affidati ad un agenzia con una signora di mezza età tanto simpatica quanto svampita, ma cosi svampita da dimenticarsi che stamattina ci doveva accompagnare al porto... che spettacolo di donna!... l'incazzatura mattutina si  è lentamente smorzata di fronte alla sua scenografica mortificazione nel realizzare che aveva appena combinato una cazzata. Montati in un lampo nel sul suo pik up, di corsa verso il porto di Thong Sala, dove al molo il ferry già non c'era più. A posteriori comunque devo dire che non è che ci sia andata poi cosi male, perché la signora era cosi mortificata, ma cosi mortificata... da portarci in giro per tutta l'isola alla ricerca della spiaggia perfetta dove passare la mattinata. Troviamo un bel posticino non troppo lontano dal nostro alloggio e dopo aver goduto della prima vera giornata di sole e mangiato ancora una volta divinamente, la svampita ci riporta a casa soddisfatti... come si suol dire... non tutti i mali vengono per nuocere.

Stasera si preparano gli zaini... domani ci rimettiamo in marcia... finalmente si  torna a fare ciò che non possiamo fare a meno di fare... camminare e sudare  per raggiungere la prossima meta. D'altronde  Qual'è il posto più bello, se non quello in cui ancora non si è stati?

 

Alle 19.00 siamo finalmente ad Hat Kamala, località che affaccia sul mare delle Andamane nell'isola di Phukhet. Il viaggio tra ferry e Minivan è durato 5 ore. Ayse era l'unica a movimentare il viaggio sul minivan che per il resto era composto da viaggiatori dormienti. Fortuna ha voluto che lo stesso autista che ci ha condotti a Phuket city, con qualche bath in più ci accompagnasse  nella nostra guethouse. Prima di arrivare a destinazione però, passiamo per la caotica Patong, che se non fosse per l'orrenda fama che si è fatta a livello internazionale, si potrebbe certamente far apprezzare per la baia magnifica sulla quale affaccia e per il lungomare molto bello e pulsante di ristoranti e locali dove bere qualcosa aspettando il tramonto. Per chi non lo sapesse Patong è tristemente nota per essere la meta per eccellenza del turismo sessuale, ma non solo quello “normale” dove si incontra domanda ed offerta del mestiere più antico del mondo, ma quello più deviato, dove uomini anche di una certa età vanno in cerca di ragazzine o ragazzini, pronti a prostituirsi per pochi bath. Passando infatti, riconosco il lungomare, non perché ci sono stato ma per tutte le volte che l'ho visto in Televisione nei servizi di approfondimento, che periodicamente si occupano del problema della prostituzione a queste latitudini, ma anche e sopratutto del problema dei pedofili, che sembra qui abbiano trovato il loro eden, complici le autorità locali che o non lo ritengono un problema sociale o lo trascurano alla grande.

La proprietaria del Sabina guesthouse, con suo marito, ci accolgono magnificamente. Sono mussulmani, ed arriviamo quando hanno appena terminato il digiuno e si stavano preparando per mangiare. La signora prende subito in simpatia Ayse ed appena saputo il suo nome, va in brodo di giuggiole sapendo il significato religioso del suo nome, tanto che scatta automatico il suo: “Selamun Aleykum” ed il nostro altrettanto automatico e solidale:  “Aleykum selam”.

La camera al secondo piano, accessibile attraverso una tanto ripida quanto stretta scala a chiocciola, ci piace un casino. Spaziosa, bagno pulito ed addirittura un frigo ed un armadio, un vero lusso per noi. Basta questo a farci abbracciare come due scemi, quando la signora dopo aver fatto gli onori di casa ci saluta e chiude la porta. Ayse è felice come una Pasqua e scarrozza in lungo ed in largo per la camera... ah dimenticavo c'è anche il televisore...  ed Ayse felice si spaparanza sul letto guardando cartoni doppiati in Thailandese, mentre noi ci docciamo per uscire a cena. Non so per quale strano motivo ma questa località è famosa per i sarti, che con poco ti confezionano abiti eleganti a prezzi stracciati. Mentre scegliamo dove mangiare, cercano di attirarmi nelle loro boutique, ma al secondo giro non mi calcolavano nemmeno più, credo perché si siano accorti come ero vestito... da vero pezzente per lo più trasandatissimo... con lui c'è poco da fare affari avranno pensato. In effetti ci accorgiamo che i pochi turisti che frequentano questa località sono un po' più abbienti di noi e sopratutto molto più curati,  forse perché molto turisti e poco viaggiatori. Cavolo io Dilek ed Ayse sembriamo usciti da una pellicola neorealista di De Sica. Stasera si mangia indiano per cambiare... e sopratutto si dorme freschi... cazzarola c'è anche il condizionatore... quante cose mi sono dimenticato! :-)

 

Riuscire ad avere una buona pianificazione dei tempi e delle attività quando si viaggia con una bambina, è fondamentale. Se si programma in modo errato, si rischia di combinare poco. Questi due giorni infatti, fomentati dalle prime vere giornate di sole, ci siamo detti: beh allora mattina mare, cosi ce lo godiamo alla grande con la bimba, poi pranziamo e via subito alla scoperta di Phuket. Piccolo particolare che abbiamo trascurato però è che Ayse alla fine delle due giornate di mare, stremata, si è addormentata come un sasso, senza bisogno di cullarla e fino a tardo pomeriggio. Se avessimo invertito le attività magari riuscivamo a fare entrambi. Ma va bene cosi... aver riposato non ci ha fatto male, considerando quanto ancora dovremmo fare.

Ayse è diventata una vera zingara, non sopporta avere scarpe e ciabatte ai piedi. Si è talmente abituata ad andare scalza, che ogni volta che decidiamo di calzargliele quando proprio non se ne può fare a meno, facciamo una fatica immane. E' sfrontata e oltremodo socievole con le persone, che gestirla    in tutte le situazioni, ti toglie un casino di energia. Attacca bottone con tutti... bambini in spiaggia, commesse dei negozi, venditori, ristoratori, autisti... Ieri sera, ha messo in atto una delle sue attività predilette quando ci sediamo per mangiare, cioè quella di scorrazzare scalza nella sala, correndo e rompendo i maroni a tutte le persone che mangiano, strappando sorrisi. Vittime stavolta una famiglia di indiani con 4 figli, trascinati a giocare a nascondino tra sedie e colonne del locale... che casino che hanno combinato.

Stasera ci siamo comunque imposti di andare a mangiare quantomeno a Patong. Su questa piacevole località, valgono le considerazioni che ho fatto precedentemente, aggiungo una sola provocazione o problemino da risolvere come alle elementari: all'estero, dove c'è un'alta concentrazione di gnocca e prostituzione, quale nazione batte le altre per il maggior numero di presenze?... soluzione: Italia  naturalmente!... ehhh... Italia, patria di santi, poeti,  navigatori... e puttanieri aggiungerei.

Rientrando da Patong, gli umori sono contrastanti. Dilek, sorseggiando un centrifugato di anguria, con Ayse sedute sul sedile nel verso di marcia, col vento tra i capelli, ballano al ritmo di up gangnam style sparato dalle casse del nostro tuc tuc. Io seduto spalle alla conducente con la testa reclinata all'indietro in senso di resa, di fronte a quella che per chi viaggia è una cosa fastidiosissima quanto puntuale... In Messico la chiamano la vendetta di Montezuma, qui non lo so, ma gli effetti sono gli stessi... Con nessunissima voglia di ridere e scherzare, conto i secondi che mi dividono dal bagno e, appena arrivati alla nostra guesthouse,  mollo donne e bagagli con la signora, che a mala pena saluto, e percorro i due piani di scale a chiocciola con l'agilità di una scimmia su ramo... sono salvo!

 

Partiamo presto stamattina e alle 7.00 siamo già in marcia con destinazione Phi Phi island. Prima di arrivare il Ferry fa un tour panoramico di Phi Phi Lee per farci vedere la rinomatissima Maya Beach e alle 11.00 siamo a Phi Phi Don, dove una lancia ci accompagna alla nostra baia. Ottimo posto, siamo felici, ed il mare è molto bello. Mentre Ayse è già diventata la mascotte del resort, ne approfittiamo per mangiare e poi di corsa nella nostra capanna tra gli alberi. Dopo una giornata di relax tra amaca e mare, la sera decidiamo di andare al villaggio di Ton Sai che dista 20 minuti a piedi passando per la foresta. Appena decidiamo di partire inizia a piovere... allora decidiamo di andare lo stesso e a guidarci è il richiamo del muezzin della Moschea che diffonde la preghiera della sera e che diventa sempre più chiaro ed udibile man mano ci avviciniamo al villaggio. Alla fine siamo soddisfatti di non aver desistito di andare. Al ritorno aumenta la pioggia e l'umidità ed Ayse entra nella fase di tranquillità totale e sembra essere completamente rilassata sotto la sua mantellina rossa col ciuccio in bocca e lo sguardo affascinato da tutto ciò che la circondava e dai rumori della natura. All'arrivo i nostri vestiti erano zuppi di sudore e di pioggia e allora vai con un'altra doccia, non prima però di aver cambiato Ayse che è ancor di più sul rilassato andante e stasera si fa fare di tutto senza fare opposizione... Dindolò dindolò sull'amaca con la mamma e tempo due minuti è lessa, pronta per la nanna.

La pioggia battente ammanta la fitta foresta e, scivolando giù dalle foglie, raggiunge il tetto intrecciato di palme che mi copre. Il mare sbuffa a pochi metri terminando il suo viaggio. C'è vento fresco, intenso, quel che  basta per rendersi piacevole impattando il mio corpo. Pioggia vento e mare  sono stasera interpreti di una sinfonia tra le più emozionanti a cui si possa mai assistere, meglio di centro prime alla Scala o del concerto di capodanno a Vienna. Una mescolanza ritmata di ombre e rumori da emozionare  anche l'animo più arido. Chiudo gli occhi e mi lascio travolgere dalla natura che ha composto per me una straordinaria ninna nanna stasera, la più bella si possa desiderare. Il sonno mi pervade ed io, dondolando leggero sull'amaca, non mi oppongo e mi faccio rapire.

 

Ultima giornata di mare prima di ripartire. Il tempo non ci ha mai graziato fin'ora, ma ci accontentiamo anche di un sole velato, perché il mare e la cornice rendono comunque meravigliosa la permanenza in spiaggia. Le zanzare qui sono fastidiosissime, anche se non raggiungono i livelli di Torvajanica beach. La mia schiena è una cartina geografica, no anzi è come quel giochino che c'è sempre nella settimana enigmistica “unisci i punti e scopri cosa è disegnato” al punto che Dilek si è divertita anche a fotografarla...pensa un po'. Comunque gli animali non mancano qui. Oltre alle fastidiosissime zanzare, attorno alla nostra capanna abbiamo un Gallo e qualche pollastra che beccano qua e la, tre gattini appena nati che ci vengono a trovare la sera ed un animale non meglio definito che si diverte a gironzolare sul nostro tetto la mattina verso le quattro. Credo sia un roditore perché lo sento grattare e rosicchiare non so bene cosa, in non so quale intercapedine tra il solaio di canne ed il tetto di palme. La sera andando al villaggio abbiamo anche investito con le ruote del passeggino un serpentello, che se ne stava beatamente sdraiato sull'ultima parte del sentiero pedonale, quella di regola più sicura perché fatta in cemento. Credo si sia un po risentito della nostra intrusione, ed un po' incazzato, si è dileguato nella macchia.

 

E' tempo di partire. Direzione Hat Yai, una città dell'entroterra ancora più a sud, quasi al confine con la Malaysia. Riusciamo a trovare posto nel traghetto delle 10.30 solo nella stiva, in fondo alla prua. E' pieno di backpackers da tutto il mondo, luridi e cotti dell'alcool della sera prima, tracannato in uno dei numerosi bar di Phi Phi Don. Attraccati alla banchina, attendo che il personale di bordo scaraventi a terra i nostri zaini, con la grazia  che si riserva ai sacchi di spazzatura.

Montiamo su un minivan alle tredici e dopo cinque ore di viaggio pessimo a causa dei ridotti spazi vitali, siamo finalmente ad Hat yai.

Da quando viaggiamo insieme io e Dilek, quando ci capitano condizioni di alloggio pessime, beh allora ricordiamo sempre con ironia il più pessimo dei pessimi postacci in cui ci capitò di pernottare, una pensione Venezuela, precisamente a Tucupita sul delta dell'Orinoco. Questa non raggiunge quei livelli ma poco manca. L'unica cosa positiva è la vicinanza alla stazione dei treni. Il portiere naturalmente non spiccica nemmeno una parola di inglese, peggio di me, ma ci vuole poco per intendersi. Ci limitiamo a togliere le scarpe e senza neanche disfare gli zaini ci stendiamo sul letto. Non so di cosa fosse fatto il materasso, ma era come dormire direttamente su doghe di legno da 10 centimetri. Con la schiena rotta ci svegliamo alle cinque e mezza per preparare latte e biscotti ad Ayse col mitico bollitore da viaggio e poi via di filata da quello “stupido hotel” come dice Vasco.

Dovremmo partire alle sette, ma la puntualità per le ferrovie thailandesi è un concetto sconosciuto. Alle otto compare la lenta locomotiva diesel e solleciti saliamo a bordo. Il treno proveniente da nord era già pieno di gente appena sveglia e con le con i letti ancora fatti. Non trovando posto, sostituendomi al personale viaggiante, mi rimbocco le maniche e disfo due cuccette di viaggiatori appena scesi dal treno. Ecco pronti i nostri posti in seconda classe.

Arrivati alla località di frontiera di Padang besar ci fanno scendere con gli zaini per sbrigare le formalità di frontiera. Un timbro sul passaporto in uscita dalla Thailandia e finalmente quello di ingresso in Malaysia. Tutto sommato procedure abbastanza semplici e veloci. La cosa più difficile in quei quarantacinque minuti è stato, come sempre, tenere testa ad una scatenatissima Ayse, che già alle undici del mattino ci aveva prosciugato le ultime energie disponibili.

Col sole cocente siamo a Butterworth, località prospiciente l'isola di Penang. Decidiamo di raggiungere Georgetown col taxi anziché col traghetto. Percorriamo il lunghissimo bridge che divide le due città, con le nostre tre teste ciondolanti dalla stanchezza nei sedili posteriori e sotto di noi tanto, tanto mare. 

 

Siamo molto stanchi. La nostra è principalmente una stanchezza mentale oltre che fisica. Conciliare il viaggio che piace a noi, con le esigenze ed i tempi di Ayse, indubbiamente genera difficoltà notevoli. Si deve essere sempre reattivi e pronti in qualsiasi occasione. Non si ha mai la possibilità di rilassarsi completamente. Bisogna sempre trasmetterle la sensazione di benessere ed evitare di generare intorno a lei situazioni troppo stressanti. Mettere in atto queste cose non è mai facile e bisogna avere una straordinaria dose di pazienza ed attitudine al sacrificio oltre ad una  adeguata capacità organizzativa. Bisogna sbagliare il meno possibile e gestire le situazioni di stress psicologico, che non sono poche, riuscendo a mantenere viva la curiosità e la voglia di esplorazione che spinge a viaggiare. Mille sono le attenzioni e le cose che devi fare con una bambina, al punto che la mente è sempre attiva ventiquattrore al giorno e non puoi permetterti di sbagliare ciò che fai ed i tempi in cui lo fai. Inoltre Ayse è una bambina iperattiva e questo rende difficile anche la più semplice delle situazioni di viaggio. I trasferimenti da una località all'altra sono la cosa più spossante. Il caldo umido, il peso degli zaini, la necessità di essere rapidi e intuire al volo ciò che si deve fare, le difficoltà dovute ad una lingua che non comprendi, sono situazioni queste, che con Ayse si amplificano e si complicano, al punto tale che la sera ci si sente veramente svuotati. Ma a noi va bene cosi. Stanchi ma felici.

Spesso si è stanchi e non si può riposare, si ha caldo e non spira un alito di vento neanche a pagarlo, si è sudati ed i vestiti ti si appiccicano addosso e sogni il momento che farai una doccia che non arriva mai, hai fame e non hai manco una nocciolina da sgranocchiare, hai sete ed hai finito l'acqua, vorresti essere già arrivato ma manca molto, vorresti che Ayse se ne stesse buonina al suo posto ma è più agitata di una sveglia la mattina alle sei. Beh quando ci capita tutto questo io e Dilek ci guardiamo con aria rassegnata ed è come se le nostre menti stanche siano legate da un un mantra che ci ripete all'infinito: “respirate, rilassatevi e ricordatevi che viaggiare è comunque una cosa meravigliosa”. Un mantra che si ripete sempre e ci mantiene viva la voglia di esplorare ogni luogo dove i nostri piedi anno la fortuna di camminare. La notte si ha qualche ora per riposare ed io ne approfitto per scrivere perché mi rilassa molto. Ehi non scrivere troppo però, che domattina devi alzarti all'alba,  preparare gli zaini, fare il latte ad Ayse ed affrontare una nuova giornata. Buonanotteee!

 

Il nostro arrivo in Malesia non è stato particolarmente felice. Ayse, dopo aver giocato con i bimbi, sali e scendi dagli scivoli di una ludoteca in un centro commerciale di Georgetown, la sera aveva trentotto di febbre. Sono stati due giorni con un po' di apprensione con la febbre che non accennava a scendere. Vediamo poco di Penang e nei momenti in cui Ayse, malgrado la febbre, ci manifestava l'esigenza di uscire. Peccato perché Georgetown è una città in cui si incontrano razze e culture diverse, quella cinese, indiana e malese, che sarebbe stato affascinante viverla in strada. Malgrado tutto però riusciamo a vedere un po' della little India ed un tempio buddhista, il Kek Lok Si Temple, il più grande della Malaysia. Ma il nostro pensiero però è solo per Ayse ed il resto non conta. Di comune accordo con Dilek, decidiamo comunque di sloggiare da Penang, come era in programma di fare dopo due giorni. Partiamo di sera con un bus al cui interno, l'aria condizionata, aveva ricreato un po' il clima della Finlandia a febbraio, mancava solo l'aurora boreale ed un carro trainato dalle renne con babbo natale alla guida. Ayse dopo aver mangiato poco e male si addormenta senza pile. E' distesa comodamente sul sedile ed io decido di coprirla col mio pile, cercando di farla stare calda. Da li in poi inizia un mezzo inferno per me, alla ricerca di qualcosa che mi dia calore. Ho una sola maglietta, perlopiù bagnata di sudore ed ormai fredda indosso. Dopo un po' la disperazione mi fa aguzzare l'ingegno e, sotto la maglietta, per isolarmi dal freddo,  dalla parte della pancia metto la stoletta che usiamo per i cambi pannolini di Ayse, dietro alla schiena invece appiccico alla pelle una busta di plastica di Pizza Hut, ma la cosa più ingegnosa mi viene in mente guardando il finestrino. Ad uno ad uno sgancio i gancetti che tengono la tendina in stoffa lurida di 1000 viaggi e mi ci avvolgo come fosse un morbido piumone d'oca. La ciliegina sulla torta è il minuscolo pile di Ayse usato come sciarpa. Adesso va decisamente meglio.

L'autista si ferma ed annuncia che siamo Kota Bharu. Lo capiamo alla terza volta che lo dice, perché alla prima dormiamo, alla seconda ci sveglia e alla terza finalmente realizziamo che bisogna scendere. Sono le tre e mezza di notte, in anticipo rispetto a quanto pensavamo. Città deserta, silenzio spettrale, caldo sempre lo stesso, sonno molto ed allora bisogna trovare una pensione per qualche ora, prima di ripartire per Kuala Besut. Alla prima nessuno ci apre, alla seconda, finalmente dopo qualche minuto, ci apre il ragazzo che fa il turno di notte e ci da una camera. Ayse si sveglia ed è la cosa peggiore quando spezza il sonno, perché si stranisce. Dilek fatica non poco a tranquillizzarla perché si era messa in testa che era mattina e voleva uscire. Il suo delirio dura un po' ma poi crolla dal sonno ancora calda di febbre. La mattina alle dieci aveva meno febbre ed in netto miglioramento. Prima di partire andiamo in farmacia e compriamo antibiotico, vitamine e sciroppo per la tosse. Alle undici partiamo col bus locale per il porto di Kuala Besut. Il Ferry per le Isole Perhentian parte solo alle quattordici e trenta, è infatti periodo del Ramadan e le attività lavorative rallentano notevolmente, bloccandosi totalmente durante le preghiere. Cotti, arriviamo in paradiso, mezzi acciaccati ma arrembanti. Che dire delle Perhentian, sicuramente molto belle ed anche la scelta dell'alloggio molto azzeccata finalmente. Ce le siamo moderatamente godute, con Ayse in miglioramento e finalmente senza febbre dopo 4 giorni. Ma siccome non ci facciamo mancare nulla e la fortuna è bendata ma la sfiga ci vede bene, al momento di ripartire, a Dilek viene la febbre. Bene, anzi male, se la mamma non sta bene il papà impazzisce, perché fare il papà è comodo, fare la mamma invece è tutt'altra cosa. Subito tachipirina per la febbre e plasil per la nausea, perché si deve salire sul ferry del ritorno. Arrivati di nuovo a Kota Bharu con una comoda corsa in taxi da Kuala Besut, lascio Dilek in camera ed esco con Ayse a fare una piccola spesa, permettendo cosi a Dilek di staccare un po' la spina di mamma e di riposare. Mangio Papaja e qualche biscotto, Dilek nulla ed Ayse ancora inappetente, poca pappa e un cucchiaio di vitamine.

La situazione non è tale da permetterci di continuare col ritmo avuto fin'ora. E' necessario un cambio di programma. Decidiamo di rimanere tre notti a Kota Bharu, malgrado prevedessimo la visita al parco nazionale del Taman Negara nella foresta Malese. C'è assoluto bisogno di riprendere le forze, rilassarsi e sopratutto che Dilek, anche lei, guarisca.

 

Kota Bharu è una di quelle città che non hanno nulla per cui valga la pena rimanervi. È una città sonnolenta i cui abitanti sono oltremodo discreti e dove obbiettivamente c'è poco da fare. Dilek sta migliorando ed Ayse è ormai guarita, tranne la tosse che fortunatamente non è più secca e con lo sciroppo tende a diminuire. Malgrado la città non ci entusiasmi, cerchiamo lo stesso di trovare qualcosa che ci faccia cambiare idea. Le strade di giorno sono deserte e deserti sono anche i ristoranti. Siamo capitati nella città con la più alta percentuale di mussulmani della nazione. Ci si può accorgere di quanto i malaysiani siano religiosi proprio durante il Ramadan. Il loro modo di sentire la religione in una composta, convinta e completa dedizione, ci colpisce molto. Le donne sono tutte coperte, comprese le bambine piccole, e gli uomini portano tutti il copricapo. Indossano tutti i loro abiti più eleganti, probabilmente tenuti nell'armadio puliti e stirati proprio per essere indossati in  questo periodo. Mostrano un aspetto curato, malgrado siano a digiuno da molte ore, e più passano le ore, più hanno lo sguardo fiero di chi sta portando a termine il suo piccolo miracolo quotidiano. Ad attenderli l'Iftar, una  preghiera ed il meritato primo sorso d'acqua della giornata. Li vedi seduti ai tavoli dei ristoranti o di quelli allestiti ai bordi delle strade, di fronte alle pietanze già servite e ai calici pieni di acqua, con gli occhi felici attendere il momento in cui ci si sente veramente orgogliosi di aver compiuto un qualcosa di gratificante per la propria anima. A noi tutto questo suscita un sentimento di ammirazione. Non ci saremmo mai aspettati di respirare un'atmosfera cosi bella, in un paese del quale non si sente mai parlare di episodi di intolleranza. Lo riteniamo un ottimo esempio di come dovrebbe essere vissuta la propria religione all'interno di un paese in cui convivono culture, etnie e sopratutto religioni diverse, dall'hinduismo alle religioni cinesi al cristianesimo. Tolleranza ed integrazione sembra qui siano la regola, seppur la maggioranza della popolazione sia mussulmana. Le ore della giornata sono scandite dalle preghiere diffuse dalle Moschee per le strade e fin pure all'interno dei centri commerciali. La mattina ed il pomeriggio fino ad una certa ora, i ristoranti,  eccezion fatta per quelli gestiti dai cinesi, sono pressoché chiusi.

Vogliamo vivere di più il momento e la sera prendiamo un taxi e ci facciamo lasciare al mercato notturno per l'ora di cena. Hanno appena finito tutti di mangiare ed ora stanno in Moschea a pregare, ne approfittiamo per ordinare due noodle alle verdure e Ayse, tornata pimpante come non mai, socializza con i figli di una famiglia li accanto. Malgrado ci aspettassimo più bancarelle e molta più gente, siamo contenti di stare li, in quel preciso momento, a condividere la serata con la gente del posto che ci guarda incuriosita, forse perché non abituata a vedere turisti. Prima di tornare a casa ci divertiamo a contare se ci sono più ratti o scarafaggi per strada e tra i banchi del mercato. Non sappiamo chi abbia vinto... abbiamo perso il conto.

 

È ora di proseguire il viaggio. Si riprende col ritmo di sempre. Siamo pronti ed in forze per andare avanti verso la prossima meta. Ad attenderci è l'isola di Tioman, un altro paradiso del sud della Malaysia peninsulare a largo di Mersing. Lasciamo Kota Bharu a metà mattinata con rinnovata voglia di viaggiare. Il conducente non concede soste, se non per pregare, ed in tardo pomeriggio siamo arrivati. Decidiamo di spezzare il viaggio in due tappe fermandoci nella città di Kuantan, che ci trasmette sensazioni positive al primo impatto, ed è un vero peccato passarci solo una notte. La stanza è spaziosa e pulita, ottima per un buon riposo. Ripartiamo l'indomani alle nove del mattino per Mersing, da dove, dopo aver acquistato il biglietto del Ferry, ci dirigiamo verso il porto per salpare nel primo pomeriggio, finalmente verso Tioman. Forse non siamo troppo abituati a vivere e raccontare situazioni comode e momenti perfetti, ma stavolta era maturo il tempo di trovare un posto cosi. La foresta imponente ci respira accanto, il mare caldo e splendido ci culla e tutto è enormemente e finalmente facile. Un posto degno delle migliori pellicole di James Bond. Mancava solo la Bond Girl a bordo piscina... ma io ne ho due di Bond Girl... tutto perfetto direi!!

 

Ormai il nostro viaggio è in discesa. Lasciata l'isola di Tioman ed arrivati a Mersing, ripartiamo alle quattordici e alle diciassette siamo ai banchi della frontiera per apporre l'ennesimo timbro sul passaporto, nel punto più a sud del nostro itinerario, Singapore.

Come al solito, qualsiasi operatore di frontiera quando vede il passaporto turco di Dilek, fa una faccia sospettosa e subito cerca di chiarirsi le idee  leggendo chissà che foglio o disposizione sui visti, in genere nascosti sotto la scrivania, oppure, cosa  che ancor di più genera ansia, lo vedi che si allontana per chiedere al collega chissà che cosa, per poi tornare e, guardandoci con l'aria di ci sta facendo una concessione, appone finalmente il timbro. È proprio il caso di dire: “mamma li turchi!!”.

A noi Singapore piace. Non sappiamo perché... anzi si forse lo sappiamo... è perché tutto continua finalmente ad essere estremamente facile, in una città fruibile, pulita, ben organizzata e piacevole da girare. Per la prima volta in questo viaggio, riusciamo a visitare tutto ciò che avevamo interesse a vedere, e questo non è poco. Chinatown sembra finta, da come è stata ben fatta, e sembra quasi di camminare in un set cinematografico dopo il ciak, con tanto di comparse. Il Tempio Bhuddista è veramente bello e, al suo interno, assistiamo al momento della preghiera, rimanendo rapiti ed affascinati da quell'atmosfera. C'è anche un tempio Hindu ma non ugualmente bello. Little India, seppur più sporca e meno turistica, ha il suo fascino. Riusciamo a trovare anche un ristorante vegetariano ma abbiamo più curiosità di assaggiare le varie pietanze che fame. Risultato è che avanza un casino di cibo, poco male però, perché ce lo facciamo confezionare take away e quello sarà il nostro pasto per la gita del giorno dopo... l'isola di Sentosa. In quest'isola ci si può arrivare sia col trenino sopraelevato che con la funicolare. È come l'isola del tesoro o il paese dei balocchi e tutto è fatto per i bambini e le famiglie... ottimo per Ayse. Al suo interno oltre ad una serie di piscine con giganteschi scivoli e giochi d'acqua, c'è un acquario oceanico, un  parco delle farfalle, un parco avventura e non so quante altre attrazioni e giochi per piccoli e grandi, oltre alle spiagge attrezzatissime che affacciano di fronte a Sumatra. È tempo di rientrare in hotel e percorriamo il tragitto di ritorno sulla modernissima funicolare, con Ayse soddisfattissima della giornata ed anche noi. Per gli amanti del cibo, Singapore offre una tale quantità di cucine e ristoranti da far girare la testa anche al più inappetente, ed essendo noi delle “buone forchette” non ci siamo fatti mancare proprio nulla. Si mangia bene ed anche con livelli di pulizia e di confort europei. Verrebbe da chiedersi che “minchia” ci sta a fare questa minuscola città stato nel cuore del sud est asiatico. È come se nel cuore dell'India ci fosse la Svizzera. Ci sono molti europei e nordamericani in giro e sicuramente il business delle grandi società, da queste parti avrà una convenienza commerciale oltre che fiscale. I grattaceli formano una skyline eccezionale ed il posto più suggestivo dove ammirarla è salire su una cabina della gigantesca “Singapore Flyer”, un'imponente ruota panoramica che ci suscita un po' di ansia quando vi saliamo, ma la vista da lassù ci fa passare tutte le paure e al crepuscolo la città assume dei colori unici, in un quadro che non dimenticheremo mai. Abbiamo avuto talmente culo a Singapore, che il nostro albergo è proprio davanti al capolinea da dove parte il bus che ci riporterà in Malaysia. Lasciamo la città il mattino presto, freschi e riposati come non mai, continuando il nostro viaggio in discesa... e con ancora negli occhi i colori di questa affascinante metropoli ed in bocca il sapore dei noodle della prima sera.

 

Tornare in Malaysia è come un po' tornare a casa, perché nel nostro itinerario è il paese in cui siamo stati di più e nel quale ormai i meccanismi sono ingranati ed oleati. Siamo a Melaka, antico porto commerciale di un epoca che non c'è più ed il cui centro storico ricorda, a chi ha la fortuna di soggiornarvi, i fasti di un tempo, in una atmosfera molto molto rilassata.

C'è un umidità pazzesca e di giorno c'è una strana nebbiolina che galleggia tra cielo e terra e che opprime anche i più freddolosi. La pensione che scegliamo è graziosa, si chiama Casablanca ma non siamo in Marocco, gestita come al solito da cinesi, che sono i più ricchi ed ovunque in Malaysia. È veramente un posto gradevole dove rilassarsi, e noi ne approfittiamo. Ma ci rimane poco tempo ormai e l'itinerario ci impone di partire per la capitale malese, in quello che sarà probabilmente l'ultimo bus che prenderemo. È l'ora della campana ed i bambini, invadendo le strade nel loro  ordinato grembiulino, ci regalano una bella immagine. Ciao Melaka, ci sei piaciuta molto.

A Jalan Abdul Rahmana street c'è il mondo. La sera questa strada è un fiume variopinto di gente e fumante del cibo cotto in strada. Le donne con i loro veli coloratissimi, viste dall'alto di una scalinata, sembrano tanti chiodini colorati infilati sulla tavolozza di plastica bucherellata. Gli animi si fanno sempre più gioiosi e frenetici man mano che ci si avvicina alla festa di fine Ramadan. La sera la gente non sta in casa e ne approfitta per chiudere il digiuno in strada e nei centri commerciali. Ogni buon mussulmano dovrebbe indossare il suo vestito migliore per festeggiare la fine del Ramadan, meglio se nuovo. Le donne sono quindi alla ricerca del miglior velo da indossare e gli uomini, in genere meno avvezzi allo shopping, anche loro sono alla ricerca di un bel vestito per se e per i propri bambini. Affacciandosi dal quarto piano del Sogo Center e dando un occhiata sull'enorme hall al piano terra, si rimane attratti dal brulicare rumoroso e disordinato di persone che rovistano tra i numerosi cestoni di borse e vestiti messi a saldo per l'occasione. Kuala Lumpur ci appare viva e godereccia e la gente è ben disposta e sorridente. Sarà come da noi, quando si dice che il Natale rende più buoni e in genere siamo tutti molto più rilassati. Anche di giorno questa metropoli è molto attiva. Si cucina tanto ma non si vede mangiare nessuno, vedi solo comprare tanto cibo e dolci per la sera. Girare in metrò anche qui è molto semplice e ne approfittiamo per vedere Chinatown e poche altre cose, tra le quali una Moschea molto bella in pieno centro. C'è poca voglia di continuare a girare e poco brio in corpo. Un po' il caldo ma molto anche il fatto che a Kuala Lumpur il nostro viaggio volge al termine e allora capita che psicologicamente ci si rilassa e si cede un po' al dolce far niente. Si pensa a quanta strada si è fatta e ai momenti vissuti tutti insieme... e allora ecco che tutto si sedimenta nella testa e nel cuore. In genere al termine di ogni viaggio si vivono sensazioni contrastanti. Da una parte c'è desiderio di riappropriarsi della propria vita quotidiana e della propria casa, dall'altro invece tanta malinconia per l'ennesimo viaggio che finisce. È al momento in cui si sta per preparare l'ultimo degli zaini, che ci si ferma a pensare e si apprezza veramente quanto, quell'ennesima esperienza ti abbia cucito addosso un bagaglio di emozioni, di insegnamenti e di ricordi che non ti abbandoneranno mai per il resto della vita. Quale finale migliore allora se non sotto lo splendore delle Petronas, belle ed illuminate come non mai, per scattare l'ultimo fotogramma di un viaggio, per noi, indimenticabile!!

 

Alessandro Ranucci

ariel.ranucci@gmail.com

 

 

 

 

 

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