CINESERIE

LEGGERE IL TITOLO METTENDO L’ACCENTO SULL’ULTIMA I  E NON SULLA SECONDA E.

Note di viaggio agosto 2006

di Raffaella

 

 

PECHINO

Sono le prime impressioni, forse le più forti. Qualcosa l’ho poi ritrovata in altre città ma non tutto. Procedo in ordine cronologico.

Scusate se parto dai bagni ma devo dirvi che sono a doppia scelta, ovvero una maggioranza di turche e una minoranza di water classici, evitati dai cinesi che preferiscono usare gli altri senza chiudere la porta. Mi soffermo su questi dettagli perchè chi mi conosce bene sa del mio trauma infantile e dell’effetto che mi fanno le turche.

I taxi hanno una grata che divide il conducente dal passeggero. A Shangai esiste una versione più glasnost in plexiglass. Tutto sembra molto pulito e ordinato e le macchine vanno molto lente. Per strada molti ombrelli, quelli comuni da pioggia, usati però per proteggersi dal sole. La gente ama sedersi per terra nei sottopassaggi, piuttosto immacolati, sopra un giornale protettore. Il metro molto organizzato, specifica durata dei percorsi tra fermate e dà dettagli su tutto quello che si trova a ogni uscita. Molte donne sono conducenti di autobus o controllori nel metro sostituendo un’eventuale macchinetta convalidatrice. Molte bici, come prevedibile, che qui posseggono un targa. Esistono stazioni di servizio mobili: un uomo con il necessario per gonfiare ruote, cambiarle e via dicendo. Alcuni ciclisti fanno uso di una maschera facciale che protegge dai raggi UV.

I negozi hanno tutti alla porta una tenda fatta da una plastica pesante e trasparente tagliata a strisce. Mi risulta familiare, un messicanismo, anche il vassoio (nel DF charola) con le pinze nelle panetterie. Vedo una brioche chiamata in Messico concha (conchiglia) ma in Cina la versione è salata. Come dice mia sorella Paola la regola qui è che ciò che ti sembra dolce è salato e vicecersa. Verso cena nei ristoranti si pratica uno strano rituale con i camerieri in divisa e in piedi, volto a impartire la disciplina

Per strada delle bacheche espongono le pagine dei quotidiani e dei cartelloni che danno consigli medici illustrati. Delle cabine arancioni sono come gli orelhões (orecchioni) brasiliani. Brasiliana anche l’abitudine di denudarsi per il caldo, sollevando o togliendo la maglietta. I bambini molto piccoli, poi, per praticità hanno i pantaloni aperti dietro. Come in Brasile, qui si ama sputare ma in Cina si è messa a punto una rumorosa fase preparatoria. Anche il rutto è praticato con frequenza e soddisfazione. Un’ altra brasilianata è il sano riciclaggio della plastica fatto da singoli raccoglitori che sollecitano la consegna delle bottigliette d’acqua o di the verde freddo.

Di fronte a una certa difficoltà di comunicazione (a volte i cinesi scappano se gli chiedi qualcosa) i pochi che parlano inglese si dimostrano davvero gentilissimi. In un museo d’arte una signorina mi si avvicina. Io penso subito che voglia comunicarmi qualche proibizione o obbligatorietà di percorso. Invece, semplicemente mi dice “ do you want a cup of water?”. In quel momento, vista la stanchezza di fine giornata e la sete, mi è sembrata un angelo sceso dal cielo. Al ristorante vegetariano dove ero ormai habitué, Kiki mi scriveva in cinese le cose che dovevo chiedere per andare il giorno dopo dove volevo. Quando ho dimostrato interesse per una maglietta che i camerieri portavano e che era in vendita, lei mi ha detto che avrei avuto due possibilità: pagarla o non pagarla, secondo quello che avrei voluto.

Punti alti: gli hutong, segnalati da insegne rosse, che sono i vicoli con le antiche case  attorno a un patio, che combattono quotidianamente per non essere demoliti dalle ruspe e sostituiti da orrendi palazzoni. Molti bagni pubblici si trovano in queste strade per ovviare l’assenza di quelli domestici.

I templi buddisti e confuciani. Mel mio primo impatto con le religioni orientali, sono rimasta molto colpita dalle forme di preghiera, oscillando le mani giunte, la bruciatura di incensi e carta, l’appenditura di portafortuna e scritte ( nel tempio confuciano abbondano nelle parti dedicate ai soldi e alla longevità). Tutto questo misticismo, mi ha riferito Paola, è più superstizione che altro. Incredibile la tecnologizzazione delle operazioni di pulizia del tempio che prevedono piattaforme mobili elettriche.

 

XIAN

L’aereoprto non dà subito una grande immagine del posto, visto che manca la carta igienica nei bagni. I taxisti in compenso hanno i guanti bianchi.

La prima delusione è il famoso esercito di terracotta. A parte l’assenza di qualsiasi scritta in inglese, la mia aspettativa si doveva forse a un mio falso immaginario. Non si cammina tra i guerrieri ma si vedono dall’alto, quei pochi in percentuale, scoperti.

Ritorno in città con un mezzo malridotto, come un pesero (microbus) messicano di infima categoria preoccupata per la vicinanza con un signore infangato che trasporta uova (fobia aviaria).

A Xian mi colpisce la gentilezza anche di chi non parla inglese. All’arrivo in città con l’autobus dell’aereoporto, e mezza persa, un ragazzo che lavora in un negozio di ottica, telefona all’hotel per capirne l’ubicazione e poi subito lascia il lavoro e mi ci porta in macchina. La sera al primo ristorante dove non si parla cinese mi accolgono come ospite d’onore e con l’aiuto di una bambina riesco a comunicare cosa voglio mangiare. Mentre aspetto l’osservazione del locale, frequentato da una simpatica clientela giovanile e la cui caratteristica è qulla di buttare tutto per terra, e un’occhiata alla cucina, mi spaventano e con una scusa me ne vado. Al secondo ristorante, con tovaglie a quadretti tipo trattoria, una coppia di cinesi alternativi cerca di aiutarmi chiamando per telefono un amico che parla inglese. Immaginatevi con la mia dimistichezza con cellulari e lingua.

Ritornando all’aereoporto assisto a una scena surreale di taxisti che vogliono convincere le persone ad andare con loro e non aspettare l’autobus. Due donne con bluse leopardate sbraitano per mettere il cliente sul taxi, simulando un’immediata partenza. Poi fanno qualche metro e fermano il taxi per apettare altri clienti.

Punto alto: le vie cino-musulmane con la moschea, i negozi, le bancarelle e le cinesi con il velo.

 

HONG KONG

Un altro mondo. Il futuro? La finzione? La città è topograficamente meravigliosa (tipo Rio). L’architettura incredibile. Le infrastrutture perfette. Le persone organizzate. Tutte le passerelle urbane sembrano qulle di centri commerciali. Gli autobus, tipo anglosassone, sono a due piani e con la guida a destra. Il metro, con tessera elettronica che calcola le distanze e quindi il prezzo, è impressionante. Lo schema della linea e delle fermate è un pannello con puntini luminosi. Unica cosa un po’ assurda è la presenza di alcuni personaggi in guanti bianchi che fanno strada alle persone che escono dalle porte del metro mentre alcune frecce indicano le file che devono formare quelli che entrano. Tutti parlano inglese, i servizi informazione sono efficientissimi, la puntualità svizzera. Nota dolente: l’Ibis mi mette nel piano fumatori dove le camere sono infestate.

Punto alto: tutto e soprattutto l’angolo acuto che si forma tra i grattacieli e il tram che sale sul Peak, una collina con vista sul centro e sul mare. Sembrano caderti addosso.

 

MACAU

Il ferry per Macau è come un aereo. A Macau tutto è scritto in portoghese ma nessuno lo parla. Molte moto e casinò. I piccoli templi qui hanno uno strano incenso a spirale appeso al soffitto. Ai balconi delle case ci sono sempre delle grate. Non è niente di sconvolgente ma l’atmosfera luso-cinese mi fa sentire benissimo.

Punto alto: il recente museo di arte moderno.

 

SHANGAI

Arrivo distrutta ma tra comfort della casa di Paola, pedicure, massaggi, autista e coccolamenti vari, mi riposo. Ormai confermo che i cinesi quando parlano sembra che litighino, peggio degli italiani. Il massaggio qui si fa vestiti per distinguerlo dai massaggi equivoci che propongono alcuni parrucchieri. Confermo anche che il calzino velato color carne è d’obbligo anche con i sandali e le scarpe vanno tolte in ambiente domestico (l’idraulico si mette una copertura di plastica quando entra in casa). Per strada ci sono dei distributori a moneta che possono riempire i bottiglioni d’acqua. Mi inquieta un po’ vedere una svastica fatta di candele in un tempio ma Paola mi spiega che è al contrario e che è un simbolo di pace buddista. A un mercato vendono dei minuscoli recipienti di ceramica. Sono delle ciodelle per fare bere i grilli che sono venduti come animali domestici nello stesso mercato. Alcune strade con case tradizionali si fashionizzano con l’apertura di gallerie d’arte, caffetterie, negozi trendy. Molti edifici industriali sono riutilizzati come spazi artistici. Shangai è la città meno cinese e più vicina a Hong Kong. Nota nostalgica: le scale e le impalcature sono tutte di bambu.

Punto alto: le case stile viennese nella zona ebraica, ora abitate da cinesi (quelle del film la Contessa bianca per intenderci).

 

Comune a tutta la Cina è la mania di farsi fotografare con vestiti d’epoca e con falsi o veri scenari (su una biga con i guerrieri di terracotta ad esempio). Quanto a fotografare i cinesi sono come giapponesi. Da questo punto di vista non ho avuto nessun riguardo a rispettare le inquadrature altrui. Altrimenti avrei raddoppiato i miei tempi di visita.

A parte la calligrafia, (praticata a Pechino in alcuni parchi con pennelloni e acqua) le arti figurative non sono molto sviluppate e creative. C’è un divario ad esempio tra l’impiego di certi mezzi tecnologici e la pessima qualità delle arti grafiche. Sono espressioni totalmente nuove per i cinesi. E la censura continua a esistere.

Stereotipi sfatati sui cinesi: non è vero che sono tutti piccoli (forse i cantonesi che sono emigrati all’estero), non è vero che sono tutti uguali e ci sono molte bellezze soprattutto al nord. La Cina è cambiata moltissimo, sta cambiando a velocità vertiginosa, e cambierà. Ma come?

 

Raffaella

gi.raffa@tiscali.it

 

 

Home ] AFRICA ] AMERICA ] ASIA ] EUROPA ] OCEANIA ]