Marocco

Diario di viaggio 2005

di Valeria Colombera

 

 

 

1° giorno  

Arrivo a Casablanca dopo ca. tre ore di aereo. In realtà c’è solo un’ora di fuso orario, ma sommata alla nostra ora legale dobbiamo portare l’orologio avanti di due ore .

Insomma, arriviamo intorno alle undici. Aziz, che sarà il nostro autista del pulmino per i prossimi quindici giorni, è venuto a prenderci .

A differenza dell’Italia , dove abbiamo lasciato un  insopportabile caldo umido, a Casablanca c’è un’arietta fredda e addirittura pioviggina. Chi l’avrebbe detto!

Facciamo parecchia strada  per raggiungere l’albergo nel centro città, intanto Aziz ci mostra che ci sono due tipi di taxi: i petit taxi, che sono in genere FIAT UNO o RENAULT 5 per i percorsi in città e possono portare fino a quattro clienti, le grand taxi sono invece in genere MERCEDES, sono per viaggi anche fuori città e  chissà quanti ce ne stanno dentro!!!

Scopriremo poi nel corso del viaggio che il colore dei vari taxi cambia a seconda delle città, qui per esempio sono rossi, ma li troveremo anche azzurri o bianchi.

Arriviamo all’albergo, l’hotel Casablanca, pare molto sontuoso, ha una grande entrata, un grande salone con  divani , enormi anfore e vasi ai lati delle porte.

Proviamo a chiedere se è possibile bere qualcosa, ma c’è solo un distributore di succo d’arancia praticamente fosforescente.

 

2° giorno

Partenza direzione Rabat, la capitale, vedremo Casablanca al ritorno del nostro giro ad anello. Non piove, ma è nuvoloso.

Lungo il viaggio, oltre a ritrovare i petit e grand taxi , notiamo come i tetti sono tempestati da antenne paraboliche. Aziz ci dice che le chiamano gli champignon.

Prima tappa a Rabat è alla Necropoli di Cellah, un antico cimitero , museo, circondato da alte mura al di fuori delle quali ci accoglie il primo marocchino  in cerca del turista da spremere (ne incontreremo ad ogni angolo). Ha i vestiti tipici, cappello con pendaglio da roteare e tamburi…fa un gran rumore appena ci vede arrivare da lontano.

Entriamo nelle mura della necropoli, sono per lo più ruderi, mura , colonne, tombe, ma anche giardini e sulla sommità di qualsiasi  cosa ci sono grandi nidi di cicogne. Hanno costruito veri e propri condomini. Ce n’è dappertutto e fanno un gran baccano battendo i loro becchi.

Rabat è sul bordo di un fiume al di là del quale si trova Salé , un’altra cittadina.

Ci dirigiamo alla Casbah di Rabat, la cittadella fortificata. Appena fatti due passi dei bambini ci vengono incontro a chiederci soldi, un “dirham”, ripetono. Sono davvero tenaci, ci seguono a lungo, finché non interviene Aziz. Per la prima volta vedo anche bambini che chiedono di poter lucidare le scarpe, attrezzati con sgabello e scatola fornita di spazzole e vari accessori, adocchiano chi di noi ha le scarpe di pelle, per chiedere subito se desiderano farsele pulire, ma sono capitati male, visto che abbiamo quasi tutti i sandali.

La cittadella ha mura bianche e azzurre, viuzze simili ai nostri carruggi , qualche bottega vende panini o snak. Arriviamo ad una specie di terrazza che affacciata sul mare e sulla foce del fiume, infatti  vediamo in lontananza le case di Salè e sotto di noi  la gente in spiaggia, fanno il bagno, giocano a pallone.

Continuando il giro arriviamo ad un bar con terrazza sul mare dove ci sediamo. Ci sono due botteghe, una prepara il the alla “mant”, l’altro i dolci, invitanti, ma noi dobbiamo ancora pranzare.

Alcuni di noi partono alla ricerca di cibo nelle viuzze e dopo poco ritornano vittoriosi con panini imbottiti, alcuni di sardine, altri….hemm di specie di crocchette di patate!

Dopo aver divorato queste specie di panini ci possiamo dedicare al the alla “mant” ed ai dolci che nel frattempo hanno continuato a passarci sotto il naso.

Ragazzi in camice bianco si davano il turno, passandosi camice e vassoio, non hanno praticamente mai smesso di andare avanti e indietro a offrire i dolci tipici. Aziz ci spiega che sono quasi tutti a base di mandorle, hanno guarnizioni o sono ripieni o con miele, alcuni mi ricordano i dolci pugliesi, ma uno in particolare è tipico, si chiama “corna di gazzelle” ed in effetti la loro forma le ricordano: sono di pasta fine e ripieni di pasta di mandorle, spezie e chissà…sarà vin cotto?

Aziz ci spiega anche che qui tutte le ragazze si chiamano “gazel”, appunto gazzelle, mentre gli uomini sono i “chamau”, i cammelli.

Ora rifocillati possiamo proseguire il giro della casbah, ci sono dei bellissimi giardini

Delle donne ci chiedono ripetutamente di farci un tatuaggio con l’henné, ma noi gazelles non vogliamo perché siamo appena all’inizio del viaggio, lo faremo gli ultimi giorni quando ne rimarrà traccia al nostro ritorno a casa.

Nel pomeriggio facciamo un breve giro della medina, ossia la città vecchia, ci sono alcune botteghe, per noi non usuali, vendono di tutto, stoffe, oggetti in pelle, pane, pasta, granaglie in grandi sacchi aperti, spezie, tutto acquistabile a peso.

Poi raggiungiamo di nuovo la parte nuova dove ci aspetta Aziz col pulmino.

La prossima tappa è il mausoleo  dove sono poste le tombe di Mohamed V e del figlio Hassan II, padre dell’attuale re Mohamed VI. Si tratta di un enorme spianata di marmo bianco, con colonnati non terminati, è posto su un’altura, perciò il bianco risalta sull’azzurro del cielo Davanti al mausoleo ci sono delle guardie e dentro è tutto ricoperto di stucchi intarsiati, bassorilievi arabescati e mosaici, dal soffitto al pavimento. Una specie di terrazza interna gira intorno alla tomba posta sul fondo. Ci sono qua e là ragazzi che, seduti a terra, lavorano sulle pareti in modo così meticoloso che pare puliscano il fondo degli intarsi.

Il giro a Rabat è terminato, il pulmino ora è diretto a Meknes.

Percorriamo lunghe strade di campagna, lievi colline, poche abitazioni, qualche albero , qualche arbusto, qualche capra.

Non si capisce come sia possibile: pare che per chilometri non ci sia nulla, neppure un’anima ed invece all’improvviso, sotto un albero, in cima ad un cumulo di terra, sul bordo della strada spuntano 1 o 2 uomini, una donna, bambini. Ma non c’è null’altro intorno, cosa aspettano? cosa fanno lì?  Chi è sul bordo della strada pare aspettare l’autobus, ma chissà se è così? Qualcuno pare badare alle proprie capre…e tutti gli altri cosa fanno  lì?

Anche nei giorni scorsi abbiamo notato come è frequente incontrare uomini che si tengono per mano, e sono solo uomini, mai donne. Chiediamo ad Aziz cosa significa e ci risponde che è un segno di amicizia, quest’abitudine è nata anche per non perdersi nella folla.

Arriviamo a Meknes, Aziz si ferma un momento per farcela osservare da lontano. Tempo di raggiungere l’alberghetto (Hotel Majestic, 19 avenue Mohamed V tel. 212 055 52 20 35/ 212 055 52 03 07, fax 212 055 52 74 27),  davvero modesto, cambiarsi e ripartire, si va a cena in un ristorante tipico proprio dentro la medina.

Sono le 20 passate la piazza appena fuori le mura della medina è ancora colma di gente. Ma questi cosa fanno ancora lì? Non vanno a casa a mangiare? Ci sono uomini e donne che vanno in tutte le direzioni, alcuni sono seduti ai bordi, alcuni bambini giocano a calcio. Entriamo nella medina, c’è il souk (il mercatino tipico) ancora in vita e una folla di gente che va e viene, con carretti, carriole e asini. Il ristorante è poco lontano, è un tipico locale per turisti o per i locali ricchi, c’è un patio, divani ricoperti di velluti, cuscini, drappi sulle pareti, lampade tipiche, candele. Questa sera si mangia cous cous con verdure bollite, mah…nulla di speciale!!

Quando usciamo dal ristorante pare sia tutto più calmo, anche se c’è ancora un po’ di gente in piazza, dove alcuni stanno ancora giocando a calcio, uno sport molto amato in Marocco.

Col pulmino facciamo un breve giro intorno alle mura della città,.

Aziz ci dice che una zona che costeggia le mura  è la via dei fidanzati. Poi passiamo davanti al palazzo reale, è tutto illuminato e c’è una grandissima foto del re Mohamed VI.

 

3° giorno

Visita di Meknes con la guida, che poi è il marito della titolare del ristorante della sera precedente.

Dopo la raccomandazione di tenerci ben strette le borse, siamo di nuovo nella medina:. Di giorno è davvero colma di gente, c’è il souk,, vorremmo fermarci, ma siamo diretti a visitare la Medersa Bouanania. La medersa è una scuola coranica, dove appunto arrivano i ragazzi, dopo i 18 anni, dopo le scuole superiori, per studiare il Corano.

Questa medersa dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e anche qui, ogni angolo è pieno di stucchi intarsiati e mosaici colorati. Si vedono le cellette degli studiosi anche se la guida ci dice che ora la scuola è chiusa perché è in ristrutturazione.

La guida ci porta su una terrazza sulla sommità della scuola, da dove si vede la medina dall’alto, ci dice che è composta da 14.000 vicoli, dove vivono ca. 90.000 persone.

Poi visitiamo la moschea dove in parte possiamo entrare, c’è anche il mausoleo con le tombe della famiglia del sultano. Anche qui stucchi e intarsi e marmo. Il marmo viene da Carrara, già allora veniva importato e scambiato con lo zucchero. C’è un abside dove in genere si mette l’imam rivolto verso il muro, ciò permette alla sua voce di rimbalzare amplificata, cosicché più gente lo può udire.

Di nuovo al pulmino, siamo diretti ad un luogo, una grande piscina, dove veniva un tempo raccolta l’acqua, proveniente dall’Atlante, per l’irrigazione. A fianco si trova appunto il Palazzo dell’acqua, granai e vecchie scuderie dell’esercito. Ma ora è stato tutto distrutto dal terremoto di Lisbona. Le mura, fatte di una miscela particolare rendono il luogo molto fresco così che il grano si conservasse bene . Le scuderie contenevano fino a 12.000 cavalli ed i colonnati erano fatti in modo tale che si potessero controllare gli animali senza problemi.

Non sappiamo ancora che tutte le guide hanno una sorta di convenzione con i vari shop locali per portare i turisti che hanno sotto mano e così ci tocca. Per la prima volta siamo vittime del mercanteggiare marocchino. Ci mostrano minuziosamente ogni tappeto, come viene fatto, per cosa è usato e intanto arriva il the alla “mant”, poi passiamo alle tovaglie, poi alle lavorazioni filigranatie d’oro, ai vestiti, alle babbucce, monili…..c’è di tutto. È la prima esperienza di contrattazione, un fallimento, per di più solo quando usciamo di lì ci rendiamo conto che ci sono mille altri negozietti uguali, ma la guida aveva la convenzione solo col primo!

Avremmo voluto vedere meglio questa medina ed il souk che abbiamo solo sfiorato e di corsa. La guida ci aveva preannunciato un colorato mercato di frutta e verdura, nella medina, dove ci saremmo fermati al termine dei nostri giri e dove avremmo trovato cibo per il pranzo.

A parte il negozietto dove ci ha portato, non siamo ancora riusciti a fare shopping marocchino come avremmo voluto.

Allo stesso tempo però ci sconsiglia di mangiare lì per una questione di igiene, loro non hanno problemi, ma noi rischiamo di prenderci un’intossicazione. Per noi sarebbe meglio andare a mangiare in un locale della parte nuova della città.

Per il pranzo ci accompagna fino ad un locale nella parte nuova della città e poi ci saluta.

Nel locale, vicino al tavolo dove decidiamo di sederci, c’è un tavolo di tre o quattro marocchini che sembrano quasi infastiditi dalla nostra richiesta di spostarsi un poco per farci spazio. Discutono in arabo col cameriere ed alla fine riusciamo a sistemarci anche se ci concedono solo un limitato spostamento.

Il pranzo è soprattutto a base di carne, brochettes, cioè spiedini, pollo ripieno di riso e patate fritte. Evitiamo l’insalata e verdure crude.

Nel pomeriggio siamo diretti al paesino di Mulay Idriss, città santa perché pare sia stata la prima città fondata dal discendente del profeta in Marocco. Aziz ci avverte di guardarci bene dal dar retta alle guide abusive che si propongono, il paese si può visitare bene anche da soli. Invece, praticamente appena scesi dal pulmino ci viene incontro una sedicente guida che in una lingua sconosciuta ci vorrebbe condurre a fare il giro del villaggio, non riusciamo a togliercelo di torno.

All’ingresso del paese c’è una piazza intorno alla quale ci sono negozietti, laboratori, bancarelle di frutta secca. Poi le vie si diramano verso l’alto a destra e a sinistra. Vediamo la moschea, dove però possono entrare solo i mussulmani, e facciamo un giro per le viuzze del paese. Continuiamo ad avere la guida alle costole, in realtà è lui che segue noi! In più ci sono ora anche i bambini che chiedono i soldi….un dirham…

Troviamo delle docce pubbliche che pare siano frequentate da gente del posto, quasi le abitazioni non ne fossero dotate. Ma Aziz ci dirà che sono per i turisti. Mah, non so se credergli….forse per i turisti locali!

In cima ad una via tutta sulla sinistra, arriviamo ad una terrazza  da dove si vede dall’alto il paese.

Si decide di fermarsi al bar vicino alla terrazza, ovviamente la presunta guida avrà da ciò una ricompensa dai titolari del locale….cominciamo a capire come funzionano le cose! Non ho voglia di sedermi di nuovo, non voglio perdermi l’aspetto più umano e popolare del paese, così io e Danilo decidiamo di non fermarci e di continuare a girare.

Vie strette e muri bianchi, bambini che giocano qua e là e finalmente non siamo seguiti dalla guida. Qualche bambino ci saluta o ci chiede soldi, un bimbo affacciato alla finestra sorride e si mette quasi in posa per la foto. Più avanti, fuori da una porta, altre bimbe, più timidamente ci seguono incuriosite. Danilo le fotografa e le diverte mostrando loro l’anteprima della foto sul display. Per loro questo divertimento è sufficiente, tornano indietro.

Torniamo alla piazza e facciamo un giro per le bancarelle ai bordi: spezie, sciarpe, babbucce, frutta secca, granaglie e poi pare…pasta di mandorle in grandi blocchi, ma non ispira gran ché, e teleboutick per telefonare. Ci invitano ad acquistare, altri vogliono solo fare due chiacchiere, altri invece, quando vedono che siamo solo curiosi, paiono infastiditi, ma io volevo solo sapere che tipo di granaglie o spezie sono quelle che espongono! Oppure….ho come l’impressione che conoscano solo l’arabo.

Entriamo dentro una specie di portone, siamo come dentro un condominio quadrangolare e noi ci troviamo al primo piano, nella terrazza interna che gira tutto intorno ad un cortile al piano inferiore, sopra di noi c’è un altro piano con terrazza che gira sempre tutt’attorno. Il cortile è poi collegato ad un altro, identico, sulla destra. È bello perché sulle terrazze dei tre piani ci sono botteghe di ogni sorta, sartorie soprattutto, e sono gli uomini che cuciono a macchina, ed espongono i vestiti tipici fuori dalla bottega, una porta si apre su una stanza piena di rocchetti di filo di ogni colore, qualcuno fila, con i fili tesi lungo il terrazzo e dobbiamo stare attenti a non rovinare il lavoro che stanno facendo. Al piano sopra  noi dei bambini salutano e ci chiamano. Ci sono tanti ragazzini che collaborano ai lavori.

Scendiamo al piano terra, nel cortile, ci sono falegnami, materassai, arriva un uomo in groppa ad un mulo carico….non ci possiamo credere…non salirà mica le scale….ed invece si!!!

Torniamo al primo piano, Danilo compra un piccolo ciondolo a forma di mano, ci dicono che è la mano di Fatima, moglie del profeta e che porta fortuna. Il tipo ci spiega anche come riconoscere l’argento: se strofinandolo sul muro lascia una traccia lo è. Ho la conferma che gli orecchini che ho comprato non sono d’argento.

Il venditore mi propone poi di barattare i miei occhiali da sole, non capisco, non hanno nulla di speciale e li avevo comprati prima di partire da cingalese al mercato. Ma secondo lui sono italiani e sono più preziosi!

È ora di incamminarsi verso il pulmino, sulla strada del ritorno mi accorgo di un’altra via interna parallela, dove c’è il mercato delle frutta e della verdura, è tutto colorato e pieno di gente. Posso fermarmi pochissimo, l’ ho scoperto tardi ed è ora di andare alla prossima meta.

Volubilis. È un grande sito di origine romana che si trova su un’altura. Alcuni sono ormai ruderi, resti di vecchie costruzioni, portali, ma c’è ancora un grande arco di trionfo, che si staglia contro il cielo, ed alcune colonne ancora praticamente intatti. Ci sono poi alcuni pezzi di mura nei quali si vedono ancora disegni scolpiti o tracce dei mosaici. È il tramonto e la posizione collinare che si affaccia sulle altre colline intorno rende tutto particolarmente suggestivo.

Si riparte, direzione Fes. Di nuovo lunghe strade che attraversano le campagne, ma il tragitto ora è più breve. Ci pare anche di vedere in lontananza un lago, in realtà è una diga. Non è molto grande, ma ha un colore incredibilmente turchese che risalta ancora di più sul rosso del tramonto

Chiedo ad Aziz di fermarsi se lungo la strada incontriamo qualche venditore di frutta. Detto, fatto! C’è un venditore di angurie sotto un tendone. Aziz la sceglie e ci spiega come si fa per scegliere la migliore: si china sulle ginocchia e la sciaccia fra le mani, se scricchiola, significa che è buona. E così, lì sul momento e  lì sul bordo della strada, ci facciamo una gran mangiata di anguria, alla fine ci laviamo poi le mani con una lurida tanica piena d’acqua del fruttivendolo marocchino, chissà com’è l’acqua! Ormai è quasi buio.

Arrivati a Fes, posiamo gli zaini nell’alberghetto (Hotel Errabbie Fés Av. My Rachid (ex R.te de Sefrou- n°1) Rue de Tanger Fés tel. 212 55 64 01 00 – 64 10 75 fax 212 55 65 91 63) di turno, dove rimarremo ben due notti, e si parte alla ricerca di un posto per cenare.

Andiamo in un posto che in realtà pare una macelleria, solo che ha sedie, tavoli, fornelli. Praticamente cucinano direttamente la carne che si sceglie. Questi marocchini sono troppo carnivori per i miei gusti. Per fortuna c’è un contorno di melanzane pasticciate, degli spinaci con aglio e peperoncino e dei grossi peperoncini fritti, poi tanto melone e alla fine, il solito the alla “mant”

 

4° giorno

Aspettiamo la guida per visitare la medina di Fes, ma pare che ci abbia fatto un bidone! Potrebbe aver trovato un gruppo più numeroso, e che quindi paga di più di noi. Ci dovremo accontentare di un’altra guida che però parla francese. Scoprirò poi che il ragazzo ha appena diciotto anni, dice di essere la guida turistica più giovane del posto, e sta studiando all’università

Ci porta a vedere la città da un punto panoramico da dove si vede anche il quartiere ebreo molto popoloso. Ci dice che qui non ci sono problemi di convivenza, anche se ebrei e islamici conducono vite praticamente separate.

Immancabilmente, non poteva mancare la visita al laboratorio con annesso shop . In questo laboratorio costruiscono oggetti in terracotta, vasi e i piccoli pezzi per i mosaici, con i quali costruiscono tavoli, specchi…... Ci sono tutte le fasi della costruzione del mosaico, la costruzione e essiccazione dei blocchi in terra cotta, il taglio, la colorazione, il disegno e l’applicazione dei piccoli tasselli. Ci dicono che qui tutti i lavoratori hanno un contratto a cottimo.

Pare un lavoro pesante e in alcune fasi di alta precisione. Ci pare anche una situazione abbastanza infelice: c’è una puzza incredibile  nell’aria (chissà che acidi ci sono), sono tutti accucciati, in silenzio e chissà per quante ore ci devono stare…per di più con i turisti in continuamente tra i piedi .

Finalmente ci dirigiamo per la medina. La guida ci raccomanda di tenere stretta la borsa, di fare attenzione agli animali.

Siamo ancora fuori dalle mura, ma si ha l’impressione di essere ai margini di un formicaio, c’è gente che va e che viene.

Sin dall’inizio la frenesia incredibile: in una stradina che potrebbe essere larga come uno dei nostri carruggi, vanno in tutte le direzioni uomini, donne, asini e muli carichi di sacchi, carriole, carretti, biciclette, motorini e turisti, tutti quanti a velocità varie, ma spesso sostenuta. Ci sono un sacco di rumori, voci e mille colori, soprattutto sono i colori delle botteghe che vendono frutta fresca, secca, o babbucce di pelle o di stoffa, vestiti tipici, foulard … è il souk. È come la medina di Mekens, ma molta più gente, molta più frenesia. A destra e a sinistra della stradina botteghe, laboratori e negozietti di ogni sorta, con i titolari chiamano insistentemente il turista di passaggio. Ma non possiamo fermarci, la guida ha messo il turbo e non ci dà tregua, e non osiamo fermarci perché abbiamo paura di perderci in questa bolgia. C’è talmente tanta folla che è difficile passare, spesso bisogna farsi largo. Andiamo prima di tutto in una piazzetta detta “del rumore”, in effetti c’è un gran baccano: c’è un tipo che a colpi di martello sta rifinendo un enorme pentolone di metallo, è davvero grande, potrebbero entrarci due o tre persone. Poi la giovane guida ci porta a vedere, dall’esterno, la medersa, cioè la locale scuola cranica e poi la mosche dove di nuovo non possiamo entrare, ci ricorda infatti che possono solo i mussulmani.

Tentiamo di osservare meglio qualche bottega, di fare qualche foto, ma nonostante la nostra richiesta di andare più lenti, la guida corre.

Trovo un banchetto di frutta, vorrei comprare un melone, ma il fruttivendolo parla solo arabo, chiedo aiuto alla guida che per fortuna è nelle vicinanze e l’acquisto si conclude.

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Ad un certo punto ci fa entrare dentro un piccolo portone e salire delle strette scale . C’è una puzza insopportabile, tanto che in cima c’è un omino che offre rametti di menta da tenersi sotto il naso per resistere. Scopriamo che è un laboratorio di pelli con annesso negozietto all’ultimo piano dove c’è anche una terrazza che si affaccia sull’interno, su una spianata che si trova praticamente all’altezza della strada. Qui ci sono grandi vasconi bianchi, di…sarà cemento…., pieni di liquidi colorati. Uomini immergono le pelli nelle vasche e le passano da una all’altra…..a volte gli uomini stessi sono dentro le vasche fino alle cosce. Questo odore mi fa pensare che chissà quali acidi sono sciolti dentro quei liquidi fa di nuovo tristezza vedere le condizioni di lavoro di quegli uomini.

Si vede praticamente tutto il procedimento di lavorazione delle pelli, dalla concia alla colorazione, fino al confezionamento degli articoli venduti nella bottega.

La guida ci porta ancora in una bottega di spezie dove la signora venditrice, con un po’ di francese, un po’ di spagnolo, un po’ di italiano ci riempie di parole e di notizie sulle spezie che tappezzano i muri del locale. È molto insistente e si infastidisce quando vorremmo andarcene avendo comprato troppo poco a suo parere.

Più avanti c’è un forno dove, per placare la fame, compriamo un po’ di pane marocchino, sono pagnotte larghe, morbide e piatte, ricordano un po’ una focaccia.

Vorremmo liberarci della guida, ma dice di essere stato ingaggiato per una giornata intera, secondo noi ha ancora qualche shop dove portarci. Ci porta al museo del legno, ma decido di non visitarlo, mi piace di più rimanere in strada a vedere chi passa o il negozio di argento lì vicino. Fra l’altro è gestito da un marocchino dai capelli rosso carota e dalla carnagione chiarissima, con le lentiggini, per fortuna non è insistente, mi lasci guardare e non si arrabbia perchè non compro.

Ora però vogliamo assolutamente liberarci della guida, non è facile, ma alla fine ci riusciamo.

Ci rendiamo conto di poter girare soli per la medina di Fes che all’inizio della mattinata quasi c’intimoriva per la folla e per il reticolato di viuzze nelle quali avremmo potuto facilmente perderci.  Ormai siamo nelle ore del pranzo, così c’è meno gente in giro, anche tutti gli altri turisti normali e organizzati sono spariti invece noi stiamo ancora vagando alla ricerca di un posto dove mangiare qualcosa, ma senza sederci in un vero e proprio ristorante. L’unica cosa che troviamo è un bar minuscolo dove prendo un gradito the alla “mant”.

Nel bar, come in altre occasioni ci è capitato, ci sono dei locali che seguono un torneo di tennis, forse in Inghilterra. Pare che siano tutti molto sportivi, anzi per lo più tifosi di qualsiasi sport.

Riprendendo la strada scopriamo una sorta di segnaletica stradale, con colori diversi a seconda del percorso che si vuole seguire, abbastanza frequente e comunque ad ogni incrocio. La minore frenesia e l’assenza della guida ora ci permette, finalmente, di fare un po’ di shopping.

Seguendo le indicazioni riusciamo ad arrivare alle mura e alla porta di uscita dalla medina dove verrà a prenderci Aziz. Mentre aspettiamo ci dividiamo il melone che ho comprato.

Aziz arriva e, visto che è ancora abbastanza presto ci propone di andare in un paese, Mulay Jacub dove ci sono delle sorgenti d’acqua solforosa dove si possono fare bagni o trattamenti vari.

In realtà ci sono due stabilimenti: uno per i ricchi e un altro per i poveri. Anche se non siamo ricchi andiamo nel primo, Aziz ce lo consiglia perché è più pulito. Il posto è bello, giardini, fontane, fuori tante grosse macchine dalla targa araba. Quando entriamo scopriamo però che chiude nel giro di quaranta minuti. Allora ci dirigiamo ai bagni dei “poveri”, Aziz sa che è aperto fino alle 22 o 23 di sera e con prezzi popolari.

Il biglietto di entrata è di 15 dirham, praticamente 1euro e50. Si può fare il bagno collettivo o quello privato, decidiamo per quello privato anche se alcuni hanno due vasche.

Nel corridoio aspettiamo che la signorina in camice bianco ci dica che è nostro turno.  Nel frattempo, non si sa come mai, pare che Aziz si sia arrabbiato ed esce senza fare bagno. Dobbiamo aver detto, senza accorgercene, qualcosa che lo ha offeso

Entriamo in queste stanzette che sembrano bagni, ma dentro c’è solo una vasca o due. Da un rubinetto esterno alla stanza apre l’acqua solforosa, caldissima. A portata di mano abbiamo invece un rubinetto di acqua fredda. Tappo alla vasca, e  immersione. Si può restare fino a 30 minuti, ma sono così lunghi in quest’acqua bollente e la vasca che non è granché pulita. Ogni tanto tolgo il tappo e ogni tanto apro l’acqua fredda, alla fine decido di uscire nel corridoio, nella speranza che non passi nessuno perché sono nuda, e chiudo il rubinetto dell’acqua bollente. Dopo il bagno noi donne ci ritroviamo in una grande stanza circondata da una vetrata e da divanetti imbottiti lungo il muro. Questa è la stanza dove ci si rilassa, ci sono anche alcune donne arabe un po’ sdraiate, con gli occhi chiusi. Noi parliamo, ci confrontiamo sull’esperienza, e forse disturbiamo, visto che ci fanno capire che vogliono silenzio.

Un lato delle vetrate si affaccia su una piazzetta del villaggio dove stanno cucinando carne alla brace, spiedini salsicce, cominciamo ad avere fame…

Prima di cena facciamo una puntatine al bar dove prendo un bel the alla “mant”! Dopo visita al piccolo paese, anche qui c’è un piccolo souk. Qui non sono insistenti, ci fanno guardare in pace, qualcuno compra qualcosa.

Ceniamo in un locale del paese dove il menu prevede ancora brochettes …per fortuna c’è anche riso…con salse varie, una delle quali piccante.

Aziz pare ancora arrabbiato, ma col passare del tempo si queta e traduce tutti i nostri nomi in arabo, e ci spiega lettera per lettera come si scrivono.

Poi si va a dormire, è l’ultima notte a Fes.

 

5° giorno

Lasciamo Fes e ci dirigiamo sempre più a sud, dobbiamo avvicinarci al deserto, che si trova oltre la catena dell’Atlante, quindi dobbiamo superarla. Infatti la strada sale sempre più, qua e là alberi di cedri. Ci fermiamo in una località turistica, Ifrane, verdeggiante, dalle case con i tetti spioventi, sembra quasi di non essere più in Marocco, ma in una località sciistica delle Alpi o svizzera, infatti pare che d’inverno si scii davvero. È troppo ordinata e non ci piace granché. Dopo poco ripartiamo e la strada continua a salire, arriviamo fino a 2650 metri di altitudine, il panorama diventa sempre più brullo e gli alberi diminuiscono, qua e la ci sono le tende dei pastori e all’orizzonte si vede un lago, fa quasi freddo quando il sole viene coperto dalle nuvole. Aziz ferma il pulmino, poco lontano c’è una tenda. Una bambina va incontro ad Aziz e chiacchierando si incamminano verso la tenda, noi li seguiamo.

Siamo invitati ad entrare nella tenda all’interno della quale troviamo un’altra ragazzina, una bimba più piccola che avrà un anno, la loro mamma e un’anziana. Ci diranno poi che questa è la madre del marito che ora è andato a fare provviste in paese.

La tenda è molto grande, in mezzo c’è il telaio a cui l’anziana comincia a lavorare, pare quasi apposta per farsi fotografare. La nuora intanto prepara il the alla ment . Pare siano abituati a ricevere visite dai turisti che passano di qui.

Aziz traduce tutto, mentre tiene la più piccola in braccio.

Hanno tutte il viso dalla carnagione non troppo scura e quindi si notano le gote bruciate dal sole dei 2000 metri.

La tenda è retta da grossi pali di legno ed è fatta di un telo scuro molto spesso, a terra ci sono degli spessi tappeti dove tutti stiamo seduti, e sparsi in giro cuscini, lungo i bordi di della tenda ci sono coperte, altri tappeti, cuscini. Aziz alza un lembo di un coperta appoggiata sul bordo, sempre dentro la tenda, sotto c’è una gallina, sta chiamando perché ha fatto un uovo. Ancora dentro la tenda, dietro di noi, c’è una capretta che ha una zampetta malata che è stata fasciata e ogni tanto bela.

Per preparare il the c’è un classico fornello da campeggio, un po’ più grosso, se ne sono visti parecchi in vendita in giro.

Il the è pronto. Aziz ci fa vedere lo zucchero che viene usato, grezzo e a blocchi e che vengono spaccati in pezzi a seconda dell’esigenza. Ne spacca infatti un pezzo che mette dentro la teiera e poi serve il the nei bicchieri posti sul vassoio.

Prima di andarcene diamo alla famiglia alcuni dirham, come d’altronde era scontato in cambio del the, delle foto, dell’esperienza sotto la tenda berbera e dell’ospitalità.

Usciamo, a fianco c’è una tenda più piccola, nella quale Aziz ci dice che si cucina.

Qualche carezza alla capretta dalla zampetta malata e poi ci dirigiamo verso il lago, qualcuno di noi vuole provare a fare il bagno.

L’acqua è azzurrissima, ma se si prova ad entrare si sente un fondo estremamente melmoso. Qualcuno, andando avanti nell’acqua più alta, quasi si spaventa per quanto si sprofonda, quasi fossero sabbie mobili.

L’unica è iniziare a nuotare il più presto possibile e non toccare il fondo.

Si sentono voci provenienti dall’altra sponda dove vediamo piccole, piccole delle figure umane, riusciamo a capire che sono locali solo perché riusciamo a distinguere dei suoni arabi. Forse sono altri nomadi locali, in fondo in zona è l’unico serbatoio acqua che abbiamo visto, che evidentemente usano sia per lavarsi, sia per cucinare…il the per esempio.

Chi ha fatto il bagno, si asciuga al sole che a volte è coperto dalle nuvole, mentre Aziz ha messo a tutto volume lo stereo del pulmino che suona musica marocchina.

Ripartiamo e attraversiamo strade larghe, brulle, le pareti delle montagne sono striate da ricordarmi le Dolomiti, man mano diventano gole sempre più strette, poi di nuovo larghe, Aziz dice che questa zona è chiamata il Colorado del Marocco e invece è la valle dello Ziz che a volte si fa così stretta da chiamarsi Gole dello Ziz.

La strada pare costeggiare quello che un tempo doveva essere un fiume molto grosso, a giudicare da quanto sono scavate in profondità le gole. Oggi però c’è ancora un po’ di acqua. Lungo la strada ci fermiamo in un paesino….fa sempre più caldo…s’intuisce che ci stiamo avvicinando al deserto.

Appena scesi dal pulmino un gruppetto di bambini ci viene incontro per chiederci un dirham in cambio di un cammelli fatti con le foglie di palma. Ne compro uno. Arriva anche una sedicente guida che ci invita a seguirlo. Ci dice di lavorare per una cooperativa che lavora, grazie anche a finanziamenti del governo francese, per la valorizzazione delle tradizioni locali: Inoltre fanno studiare i bambini, provvedono anche al materiale scolastico e al vestiario. Intanto i bambini continuano a seguirci e a ridere. La guida ci porta in una zona del paese vicino al letto del fiume, è molto antica ed ormai è disabitata , ora la stanno ristrutturando.

La guida ci conduce lungo un sentiero verso il letto del fiume, c’è pieno di piante verdi, palme, ci fa attraversare il corso d’acqua, non completamente secco, e ci porta in una zona panoramica da dove vediamo le antiche case e il paese. I bambini continuano a seguirci, ci sono due bimbe molto piccole, avranno tre o quattro anni, sono tutti bellissimi, malvestiti, un po’ sporchi, ma ridono e corrono.

Torniamo al pulmino e quando cerchiamo di dare qualche dirham alla guida, questa, con nostra sorpresa, rifiuta, chiede solo una sigaretta a ci di noi fuma. Aziz invece tira fuori un sacchetto di caramelle che distribuisce ai bambini.

Ci avviciniamo al deserto, fa sempre più caldo. Lungo la strada vediamo e, a volte visitiamo, qualche Kasbha.

Dopo molta strada arriviamo a Errachidia. È spettacolare! Man mano che ci avvicinavamo alla città tutto intorno prendeva un colore rosa, nelle sue varie sfumature. Alla fine tutto è rosa in città, le strade, gli edifici sono costruiti con questa terra che è a base ferrosa.

La città è abbastanza grande, c’è un vento caldissimo e sembra esserci un gran movimento in giro, è venerdì, per loro giorno di festa.

Dopo aver sistemato tutto in stanza, in attesa della cena, io e Claudia scendiamo in strada e mi siedo sui gradini del negozio che si trova dall’altra parte della strada, di fronte all’albergo dove alloggiamo. Davanti a me c’è gente che va e che viene, di nuovo alcunni uomini che si tengono per mano, famiglie, nonostante il caldo notiamo che hanno tutti le maniche lunghe.

Ci accorgiamo di essere subito oggetto dei loro sguardi, a volte quasi insistenti, nonostante il tentativo di passare inosservati sedendoci su un gradino e indossando vestiti non troppo europei. Qualcuno si ferma e prova a fare due parole, un tipo ci invita al suo ristorante.

Dopo poco ci incamminiamo tutti alla ricerca di un posto dove cenare. Non ci posso credere, senza volerlo capitiamo proprio nel ristorante del tizio incontrato prima. È un tipo un po’ teatrale: ci farà preparare tutto dalla mamma, così dice, ma poi sembra che sia lui l’unico artefice della nostra cena: tajin con e senza carne. Alla fine, per il the alla “mant”, si siede con noi al tavolo e ci racconta di sé: di sapere  7 o 8 lingue, di essere stato ca. quattro anni in Italia, ma avendo trovato la vita troppo frenetica è tornato in Marocco dove si può permettere di fare il filosofo. Nel frattempo un tizio si ferma con la macchina di fronte al ristorante e chiede un bicchierino di the alla menta al filosofo che glielo passa dal finestrino. Poi riprende a parlare, parla bene l’italiano, vuole fare conversazione. Ci istruisce un po’ sulla vita nel deserto, sul fatto che, a suo dire, in questo periodo sono frequenti le tempeste di sabbia. Ci sorge il dubbio che però sia una scusa per convincerci della necessità di possedere uno degli sciarponi che avvolgono la testa che guarda caso un amico di un amico di un amico di suo fratello vende in un negozietto poco distante da lì. A suo dire avrebbero gli articoli migliori della città!!!!!

Arriva a sedersi con noi anche un altro tizio, Youssef, che poi scopriremo essere la guida nel nostro giro di domani. È molto gentile, ci chiede se va tutto bene e ci informa che se abbiamo caldo c’è la possibilità di chiedere in albergo di dormire in terrazza. Chiedendo quanti lo desiderino, dice che andrà lui stesso a riferire in albergo che attrezzino la terrazza con materassi e coperte.

Non è possibile lasciare il locale dove abbiamo cenato senza seguire il filosofo al negozietto poco lontano che viene riaperto per la nostra visita. E non è possibile non comprare lo sciarpone color indaco per difenderci dalla tempeste di sabbia che ci saranno l’indomani nel deserto. E così comincia una strenua contrattazione basata sulla qualità della stoffa più o meno sintetica, sulla colorazione naturale, sull’originalità dell’articolo. Alla fine lo compro.

Ma non mi lasciano ancora andare via, vorrebbero barattare il mio orologio nero con qualcosa che desidero. Nonostante dica che è vecchio e che ne ho bisogno, il filosofo dice che lo desidera proprio, il fatto che è nero lo farebbe stare bene con la sua carnagione scura. Così da loro non si trova, mentre io avrò la possibilità di ricomprarlo in Italia. Gli dico che ci penserò.

Alla fine, la mia, forse eccessiva, socialità lo fa concludere con una richiesta di un giro insieme a lui mentre i miei compagni di viaggio vanno a dormire.

Così andiamo a dormire in terrazza, che il realtà è il tetto dell’albergo, col nostro sacco lenzuolo. Nonostante la tarda ora, pare che ci sia ancora una gran confusione, ma io riesco a dormire un po’. Mi sveglio intorno alle tre, quando noi gazzelle decidiamo di continuare la nottata in camera. Loro non hanno dormito per niente e mi diranno che il baccano non è mai finito, ad una certa ora anche il Muezzin si è messo a chiamare alla preghiera. Io invece non ho sentito nulla.

 

6° giorno

Youssef, la guida, è venuto a prenderci all’albergo e ci accompagnerà fino al pomeriggio, quando partiremo per il deserto vero e proprio.

Visitiamo alcuni siti panoramici, di nuovo gole, ma questa volta le guardiamo dall’alto. Si vede chiaramente il lavoro fatto dall’erosione, quanto il fiume ha scavato. In fondo alla gola si vedono fitti palmeti e in lontananza, dall’altra parte oltre la gola, delle casbah. Sono delle fortificazioni erette dai capi locali per difendere le zone da loro governate. Sono un insieme di edifici fatti di spesse mura di fango e terra. Hanno torri di guardia, e strette finestre, il tutto e spesso decorato

La tappa successiva è sorgente d’acqua ferrosa che, come ci dice Yussef, è molti anni fa a iniziato a sgorgare dal terreno. Visto che il caldo è insopportabile abbiamo la possibilità di rinfrescarci in questa specie di piscina. L’acqua è davvero ferrosa, infatti quando usciamo abbiamo le piante dei piedi quasi blu, quasi neri.

Finita la doccia andiamo a visitare la casbah di Rissani, ora museo dove sono conservati molti ritratti dei vari discendenti del profeta e poi vestiti, arnesi, tutto ciò che riguarda le popolazioni nomadi del deserto, i tuareg, i berberi ed anche qualcosa riguardante i giudei.

In questa visita scopriamo che Yussef è anche un cantante e compositore di musica locale, così ci canta e suona un brano.

Poi ci spiega qualcosa della cultura e religione islamica, di quanto sia  difficile incontrarsi.

Si riparte e ci fermiamo nel mercato della frutta e verdura locale.

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È bellissimo: c’è molta gente ed è tutto colorato ed è praticamente tutto coperto da teli per ripararsi dal sole. Tante donne sono coperte, dalla testa ai piedi, da una specie di mantello nero con alcuni piccoli ricami colorati, mentre tutti gli uomini hanno la loro tunica, generalmente chiara. Chiedo a Youssef il perché del mantello nero delle donne, mi risponde che il nero è contro il malocchio ed allo stesso tempo garantirebbe di più la loro riservatezza e intimità.

Riprendiamo il viaggio per il deserto, la strada è sempre più deserta, ogni tanto si vede qualche grande hotel per ricchi che organizza tour nel deserto con fuoristrada, piuttosto che moto a quattro ruote. Nei pressi di uno di questi hotel, sotto qualche albero, facciamo una tappa per mangiare la frutta che abbiamo comprato, meloni, banane, arance, praticamente il nostro pranzo. Il caldo è sempre più insopportabile, 45° a volte 48°, per fortuna il pulmino ha l’aria condizionata.

Dopo andiamo a prendere qualcosa nel grande hotel dall’altra parte della strada (per me the alla mant). È proprio per turisti di lusso: aria condizionata, grandi divani di velluto, grandi saloni, piscina, palme, camerieri in divisa,..., ma pare non ci siamo clienti.

Si riparte, il panorama è sempre più deserto, nel vero senso della parola, ogni tanto si vede ancora la pubblicità di qualche albergo che organizza escursioni, non c’è nessun tipo di segnale stradale, fino a poco fa presente, anche se rade e in arabo. Per fortuna con noi c’è Aziz che conosce la strada, perché non c’è nessun punto di riferimento intorno a noi. È deserto roccioso, i colori vanno dal grigio scuro al grigio pi chiaro, ogni tanto qualche mulinello, all’orizzonte cominciamo a vedere colori tendenti al rosa, rossiccio.

La strada man mano diventa sterrato e ad un certo punto Aziz svolta a sinistra. In lontananza sembra di vedere qualcosa, è l’albergo al quale ci appoggeremo per il giro nel deserto e che di fatto organizza l’escursione col cammello (che poi è un dromedario, visto che ha una gobba sola). Fra l’altro Youssef ci aveva detto che i locali usano il cammello per trasportare le merci, non per il trasporto umano che invece è previsto solo a fini turistici, come infatti faremo noi.

Arriviamo all’ hotel, che si chiama Timbuctu, dove rimarremo qualche ora prima di partire. Poiché il sole è ancora alto, dovremo aspettare il tramonto prima di partire, il caldo sarà allora più sopportabile.

Quest’hotel pare un po’ più modesto del precedente, ma ha comunque un gran salone con divani lungo tutte le pareti, ricoperti di velluto e cuscini damascati.

Gironzoliamo un po’ per i dintorni, poco lontano ci sono i cammelli che andiamo a trovare, ma non sembrano granché socievoli.

Non è possibile resistere a lungo all’aperto, il caldo è davvero forte, così uno dopo l’altro cadiamo stremati sui divani damascati.

Intorno alle 17,00 ci prepariamo per partire, anche Aziz ci dice di fare in fretta perché altrimenti non riusciremo a vedere il tramonto sulle dune. In una borsa mettiamo il sacco lenzuolo, una maglia pesante, l’acqua, salviette e il necessario per la notte, che non è  molto, visto che non potremo lavarci.

Abbiamo comprato, anche nelle tappe precedenti, un sacco di bottiglie d’acqua, ne abbiamo praticamente tre ciascuno, dovremo essere autonomi nel deserto, non potremo comprarne altra.

Vediamo poco lontano che i cammellieri stanno preparando i  nostri cammelli, siamo praticamente pronti, dobbiamo solo salire.

Sull’unica gobba c’è una specie di impalcatura rigida dalla forma  più o meno cilindrica, non troppo alta, foderata di stoffa. Questa è praticamente la sella, dove c’è anche un perno al quale il cammelliere lega il nostro sacco e da cui partono le briglie che però non sono vere briglie, visto che ogni cammello a quello davanti e le briglie del primo sono tenute dal cammelliere che invece cammina.

Per farci salire il cammelliere fa chinare i cammelli sulle ginocchia facendo un verso e picchiettandoli sulle gambe. Il cammello brontola un po’ rispondendo anche lui con un verso.

Uno dietro l’altro camminano sulle dune con flemma, le zampone sprofondano nella sabbia che man mano diventa sempre più rossiccia. Dopo poco vediamo alla nostra destra, dietro qualche duna, dei bambini. Sembra incredibile, sono anche qui! scompaiono e ricompaiono, dietro le dune, ci raggiungono, ma il cammelliere dice qualcosa e loro tornano a giocare.

Piano, piano intorno a noi ci sono solo dune, più alte e più basse, sulle quali il cammelliere ci guida in salita e discesa. È bello vedere la nostre ombre sulla sabbia. Ogni tanto a qualcuno di noi cade qualcosa dal cammello, allora bisogna fermare la carovana e il cammelliere torna indietro a raccogliere quello che è caduto. È vestito con una tunica lunga fino ai piedi e un lungo sciarpone intorno al collo e alla testa, dopo poco anche intorno al viso. Pare non capire granchè di francese, giusto qualche parola,…però a guardarlo è affascinante!

La sella è davvero dura, non sappiamo più come stare seduti, su un fianco, sull’altro, con entrambe le gambe sul collo del cammello, a gambe incrociate…il sedere fa male. Tra l’altro questa cammellata mi sa tanto di turista comodoso e non mi piace troppo.

Non ce la faccio più e dopo un po’ dico al cammelliere che preferisco scendere e camminare anch’io, ma mi rendo presto conto che lui cammina abbastanza veloce e se non tengo il suo passo, rischio di rimanere indietro e non è facile camminare sulla sabbia, sprofondo ad ogni passo.

Ma dopo poco, sono passate nel frattempo quasi tre ore, vedo all’orizzonte quello che sembra essere il nostro accampamento.

È proprio così, per fortuna!

Lasciamo i cammelli dopo averli scaricati e poi entriamo nell’accampamento che è recintato. Ci sono diverse tende tutte disposte lungo il recinto, nella zona centrale, lasciata libera, ci sono dei tappeti. Non siamo soli, ci sono anche altri turisti, inglesi, spagnoli, francesi, ci indicano, ma il nostro gruppo è il più numeroso ed anche il più rumoroso. Infatti, attraversando le dune abbiamo visto che c’erano anche altri ….tutti guidati da un cammelliere, ora i cammellieri sono i gestori dell’accampamento, mentre altri ragazzi berberi o giù di li, ci accolgono con il solito the alla menta che anche lui beve insieme a noi, è come se ciascuno avesse affidato la cura di un gruppo. Il ragazzo che è con noi pare davvero giovane.

Arriva presto l’ora di cena, a base di cous cous con verdure e carne, e poi di nuovo the alla menta. Alla fine ci invitano ad avvicinarci al centro dell’accampamento dove i ragazzi berberi hanno iniziato a suonare e a cantare. Ci invitano a ballare e a sperimentare le loro percussioni.

Alla fine decidiamo di andare a dormire, ma dentro la tenda fa caldo e poi è un peccato visto che non possiamo perderci un’incredibile stellata nel deserto. Quindi tiriamo fuori dalle tende i nostri materassi e li disponiamo tutti uno accanto all’altro in mezzo all’accampamento.

È dura chiudere li occhi con un cielo simile, è un peccato, pare di perdere qualcosa che non potremo più recuperare.

Il cammelliere si ferma proprio nel momento preciso del tramonto, quando il sole piano, piano sparisce dietro le dune. È veloce e alla fine si distinguono solo i raggi che attraversano qualche nube nel cielo

È un po’ ventilato, ma, al contrario di quanto ci aveva preannunciato il filosofo di Errachidia, di tempeste di sabbia neppure l’ombra, per fortuna.

 

7° giorno

Alle 5 di mattina ca. ci sentiamo chiamare, SVEGLIA ITALIANI!!! i berberi ci svegliano per vedere l’alba e comunque bisogna partire prima che il sole sia alto, altrimenti per noi il caldo potrebbe divenire insopportabile.

Il sole non è ancora sorto, per vedere meglio il panorama risalgo la duna che è alle spalle dell’accampamento.

L’aria ha una temperatura ideale, anche se il sole non è ancora sorto, ormai è chiaro e tutti i colori intorno sono molto intensi, soprattutto è spettacolare il contrasto del rosso/rosa delle dune con l’azzurro, quasi turchese, del cielo.

Ci divertiamo a lasciare le impronte sulle pareti delle dune che paiono intatte, senza tracce di alcun tipo.

Seduta, a ca. metà duna, vedo sorgere il sole, il cielo è limpido e tutto si schiarisce.

Ci invitano a fare in fretta, dobbiamo prendere il nostro the alla menta e partire prima che faccia troppo caldo.

Bevendo il the e aspettando gli altri, approfitto per fare quattro chiacchiere col ragazzo che ci aveva in consegna. Gli chiedo se anche lui torna all’albergo durante il giorno, visto il caldo, ma mi risponde che lui rimane sempre lì, tutto l’anno e tutto il giorno ed è difficile che si allontani. Pare quasi stupito della mia domanda perché in fondo è il suo lavoro. Mi dice di non aver fatto le scuole, però scopro che conosce, oltre all’arabo e al francese, anche un po’ d’italiano, di spagnolo, d’inglese, di tedesco, anche qualche parola di giapponese. Non si è mai allontanato dal Marocco e forse anche da questo posto, ma il mondo è andato nel deserto.

Mi vende per due dirham un ciondolo fatto da lui con un fossile del deserto. Questa sarebbe la sua occupazione quando non ci sono turisti.

Carichiamo i cammelli e la carovana è pronta per ripartire.

Non posso credere che ci aspettano di nuovo quasi tre ore di cammellata, il mio deretano potrebbe non sopportarle.

Presto arriviamo alla base dell’albergo dove ci attende una ricca colazione fatta da pane e brioches di vario tipo, specie di piadine o crepes un pò unte ma davvero buone.

Siamo stremati dal poco sonno, dalla cammellata che ha sollecitato non poco i nostri muscoli, ma la fame non manca, qualcuno però cede in orizzontale sul divano lungo la parete.

Aziz è già pronto e ci allieta suonando un po’ le percussioni che sono nel salone. Doccia e si riparte. Di nuovo strade dritte, senz punti di riferimento, deserto roccioso, rosa, poi grigio a volte nero.

Siamo diretti alle Gole del Todra. Pian piano si ritorna al nord, verso l’oceano.

Le gole si cominciano ad intravedere, divengono sempre più profonde e strette, le pareti di roccia sono altissime e a strapiombo, la strada costeggia il torrente.

Alla fine arriviamo al nostro albergo che è praticamente appoggiato alla parete. In realtà gli alberghi sono due, bisogna stare attenti a non sbagliarsi (cosa che invece succede) perché ed il nostro è il più modesto, mentre l’altro è di lusso. Pare che qui abbiano girato il film Un the nel deserto.

Sulla strada è pieno di bambini che subito ci vengono incontro per venderci i loro lavoretti fatti con le foglie di palma, sono davvero bravi, qualcuno è riuscito a fare anche una piccola automobile. Ci rincorrono lungo il piccolo ponte che si deve attraversare per entrare in albergo.

L’albergo è grande, ci sono grandi terrazze e una specie di patio. Sulla terrazza più in alto si può anche dormire.

Fa ancora molto caldo, perciò, posati i bagnagli in camera, torniamo in costume a prendere il sole sulla riva del torrente. I bambini ci tornano incontro per venderci i loro giochi fatti con le foglie di palma, ma non possiamo comprare a tutti qualcosa, quasi li ignoriamo. È brutto, è come se ci fossimo abituati ad avere intorno questi tesserini che chiedono soldi e che ormai, quasi ignoriamo, come fosse l’unica possibilità per difenderci. Mi chiedo da cosa dobbiamo difenderci. D’altronde, visto che non possiamo dar retta a tutti, non diamo retta a nessuno.

Ci sono altre persone sulla riva del torrente, ma sono soprattutto bambini, qualche uomo o ragazzo. Nel letto del fiume è steso un tappeto dell’albergo, dopo poco arriva un donna a lavarlo con spazzola e sapone, un paio di uomini l’aiutano, ma solo a spostare il tappeto, infatti, finito il lavaggio, lo spostano ad asciugare sulle rocce calde.

Qualcuno fa il bagno, l’acqua non è molto alta ed è un po’ fredda. È bello soprattutto vedere i bambini ce sguazzano. Ci delle donne, ma sono vestite ed hanno anche il foulard in testa, perciò io e Claudia, in costume, diamo praticamente scandalo. Ce ne accorgiamo quando vediamo un uomo che dall’altra riva, spudoratamente, inizia a guardarci col binocolo. Pare ovvio che non vedano frequentemente donne in bikini. Poi lo posa per fare il bagno, quando esce dall’acqua riprende il binocolo e l’osservazione, altrettanto spudorata, da un’altra postazione, mai più lontano di due o tre metri. Sarà stato orbo? Anche noi facciamo il bagno, ma soprattutto

Cena nella terrazza dell’albergo, tanto per cambiare cous cous e tajin con e senza carne. La zona è piena di rane che fanno un gran baccano, anche vicino al tavolo dove stiamo mangiando, dal letto del torrente arrivano fino alla terrazza.

Con la sera le rocce a strapiombo fanno forse ancora più impressione, pare ci cadano addosso.

Qualcuno di noi decide di dormire ancora in terrazza, ma questa volta preferiamo la camera, i materassi della terrazza sono troppo brutti, c’è troppa gente,…

 

8° giorno

Colazione e partenza verso le gole del Dades, pare sia la zona delle rose, quando è la stagione. Aziz ci fa notare che ci sono anche tante piante dai fiori rosa, le chiamano, loriel rose che poi scopriamo essere oleandri, che loro chiamano appunto alloro rosa.

Lungo la strada ci sono piccole botteghe di commercianti che vendono souvenir ed anche articoli di cosmesi a base di rosa. Ci fermiamo e riprende la contrattazione.

Alcune rocce hanno forme strane, arrotondate, protuberanze allungate e tonde. Aziz ci dice che loro chiamano quelle rocce “i piedi delle scimmie” perché li ricordano.

Qui sono frequenti i mantelli delle donne, neri con dei ricami ai bordi di tanti colori. Li vendono anche le piccole botteghe ai bordi delle strade.

Visitiamo altre Kasbah, come quella di Skoura. C’è un bambino che si offre di guidarci, mi dice poi che da grande vuole fare davvero la guida turistica. Siamo nella zona cinematografiche e pare sul posto  ci siamo riprese. Il bambino ci fa visitare alcune stanze interne della fortificazione, sono strumenti di lavoro e reperti vari. All’esterno delle mura ci sono dei negozietti e laboratori, c’è un pittore che dipinge paesaggi locali con tecniche classiche e con un sistema particolare: traccia il disegno con una sostanza, che potrebbe essere benzina o cherosene, poi passa con un fornello a gas la fiamma sul disegno.

Uscendo dalla cittadella ci sono molti bambini che giocano, più o meno piccoli, saranno una decina.

Si riparte per Ouarzazate. Aziz, mentre giriamo la città col pulmino, ci dice che praticamente tutta la città è un laboratorio cinematografico, ci mostra grandi strutture che sono gli studi, anche stranieri. Spesso, i locali, quando sanno che ci saranno delle riprese, si piazzano davanti alla porta degli studi in attesa di essere presi come comparse o per avere delle parti.

Alloggiamo in un albergo molto bello e molto occidentale, ha anche la piscina. Siamo in tre a non resistere, ancora prima di metterci il costume, ci tuffiamo, in mutande.

Nella città non c’è molto da vedere, praticamente è una tappa intermedia prima di raggiungere Marrakech, che altrimenti sarebbe troppo lontana. La cosa più interessante è proprio la piscina dell’albergo.

 

9° giorno

La sveglia è di nuovo all’alba, e decidiamo di rinfrescarci subito con un bel tuffo in piscina.

Poi colazione e si riparte. Visitiamo ancora un’altra Kasbah, Ait Ben Haddou. La guida, o custode della casbah, ci mostra le stanze, quella del capo locale, e delle sue mogli, le quali una notte, a turno, avevano diritto di dormire col marito, pare ne avesse una per ogni giorno del mese.

Alla fine si ripete il rito del the alla menta, e ci insegna un detto locale che dice:”ciò che va bene a te, va bene a me, ciò che tu vuoi io lo voglio, se tu non lo vuoi, non lo voglio” o qualcosa del genere. È una specie di sciogli lingua e tutti proviamo a ripeterlo in arabo con il divertimento di Aziz.

Riprendiamo la strada, abbiamo parecchi chilometri da percorrere.

Arriviamo a Marrakech in tarda mattinata. Aziz ci porta nei giardini della città, grandissimi, in seguito all’indipendenza dalla Francia, il re abbia piantato un albero per ogni bambino nato. Poi ci lascia nella zona abitata dagli ebrei, lì vicino c’è il palazzo Bahia, era abitato da un signorotto che aveva, di nuovo, chissà quante mogli. Il palazzo però è davvero bello, ci sono grandi stanze ricoperte da mosaici e grandi giardini ancora oggi curatissimi, alcuni patii, cortili interni, anche qui pieni di decorazioni, damascature.

Aziz ci accompagna all’albergo e ci dice che ci lascerà per i prossimi due giorni, perché il resto della città la possiamo visitare a piedi.

Posiamo i bagagli e siccome siamo già nel primo pomeriggio, ma dobbiamo ancora mangiare. Il nostro albergo, che si chiama Alì (www.hotelali.com, hotelali@hotmail.com, rue Moulay Ismail, tel 044.444979 /fax 044440522 Marakech) è anche un punto ristoro veloce, sulla strada, così ci facciamo cucinare un Kebab e ci sediamo proprio sulla strada. Cominciamo a guardarci intorno, nella strada che abbiamo davanti c’è un gran via vai, gente a piedi, in motorino, in bicicletta, con carretti, calesse, donne vestite da testa ai piedi e turisti. Di fronte a noi ci sono dei grandi giardini, dove la gente pare stazioni abitualmente, poco lontano, a destra, vediamo la piazza principale Jemaa el Fna, ossia piazza degli impiccati.

Finito il Kebab continuiamo a guardarci intorno. L’albergo è strano, sulla guida di qualcuno di noi c’è scritto che questo albergo è caratteristico perché ricorda una fermata di autobus, dove non si capisce chi è ospite che ci lavora, chi passa per caso. Sull’entrata c’è l’ufficio del cambio, il bar ristorante e la sala con i computer per collegarsi a internet, servizio gratuito per tutti gli ospiti. Al piano di sotto, praticamente sotto terra, c’è l’hammam, salendo strette scalette, ci ritroviamo in un patio interno con divani foderati di velluto, con grandi cuscini, che corrono lungo le pareti. Sul patio si affacciano le terrazze dei piani superiori e le porte delle altre stanze, da lì partono anche altri corridoi con altre stanze.

Nel corridoio si apre una stanza dove si potrebbe dormire tutti insieme ad un prezzo ancora più basso, pare che ci dorma chi è di passaggio, in fondo avremmo potuto farlo anche noi, ma i siamo concessi le classiche stanze d’albergo. Continuando a salire le scale fino in cima si arriva su una grande terrazza che si affaccia sulla piazza, questa è praticamente la sala da pranzo.

È su due livelli, salendo ancora qualche scalino c’è un’altra terrazza dove sono sistemati materassi per chi, stremato dal caldo, volesse dormire a cielo aperto.

La nostra stanza sembra accogliente, affaccia direttamente sulla strada principale nella quale passa in continuazione gente.

Scendiamo per fare i primi giri nei dintorni. Poco lontano, c’è la moschea, andiamo verso la piazza, immensa e piena di carretti, saranno una trentina, pieni da arance: vendono un bicchiere di spremuta a 3 dirham, praticamente 30 centesimi. Sono coloratissimi e tutti ci invitano insistentemente a comprare la spremuta.

Poco lontano, dall’altro lato della piazza c’è il souk, ma lo visiteremo domani. Rimaniamo nella piazza dove peraltro le attrazioni non mancano.

La piazza si anima soprattutto intorno alle cinque di sera: la fantasia non manca e compaiono ogni sorta di intrattenitori, tutto per far su un po’ di soldi. Ci viene il dubbio che ci sia una festa, chiediamo in giro cosa si festeggia, ma pare che sia così ogni sera dell’anno. Incredibile!!

Ci sono un gran numero di incantatori di serpenti (ma questi stanno lì tutto il giorno?), poi ci sono lanciatori di coltelli, suonatori di tamburo strumenti tipici come specie di nacchere metalliche o un altro simile a una chitarra.

 Inoltre, ovunque ci fermiamo, attratti dalle varie performance, si avvicina il marocchino di turno a chiedere i soldi per lo spettacolo a cui si è appena assistito.

Ritorniamo in albergo per una tregua prima della cena che ci aspetta in terrazza.

È ormai buio e dall’alto della terrazza si vede la piazza quasi trasformata, a gente si è moltiplicata, è tutto pieno di luci, di suoni e un gran vociare. Mi cresce sempre più una voglia irrefrenabile di scendere in piazza, andare a vedere cosa sta succedendo e a mischiarmi a quella gente. Quasi, quasi non cenerei, tanta è la fregola di andare, ma i miei compagni mi convincono a restare per la cena, scenderemo tutti insieme.

Ci serviamo a un gran banchetto che offre verdure varie, cotte e crude, cous cous, tajin, legumi e dolci con frutta secca e spezie...

Praticamente mangio guardando sotto, è un panorama ipnotico!

Finalmente è venuto il momento di andare.

In effetti c’è una quantità di gente incredibile….e si sono moltiplicate le attrazioni, suonatori di percussioni, darbuka e vari strumenti, i soliti incantatori di serpenti, donne che ci vogliono fare il disegno con l’henne e poi danzatori, alcuni dei quali sono danzatori del ventre che però, guardando bene, ci rendiamo conto essere uomini travestiti…..mah! Altri ancora si sono inventati giochi strani, stile luna park, come riuscire a prendere una bottiglia di coca cola con un anello che pende da una canna da pesca, altri fanno indossare un paio di guantoni e sperimentare un incontro di pugilato, poi ci sono specie di acrobati…c’è di tutto…

Poco più in là, sono comparsi una miriade di banchetti attrezzati per mangiare in piazza: fornelli, tavoli, panche, fornelli, piatti, stoviglie e pietanze varie e grandi inviti.

Ovunque fornelli fumi che salgono

A guardare alcune attrazioni c’è talmente tanta gente che stringiamo le nostre borse a noi come se potessero scomparire sotto il naso. In effetti in alcuni momenti siamo talmente pigiati che, soprattutto noi fanciulle ci sentiamo palpare….come dire: se non riescono a rubarci il portafoglio, almeno fanno una palpatina!

È ormai tardi, siamo stanchi e decidiamo di andare a dormire.

In albergo decantiamo un po’ la giornata nel patio con una bibita qualche impressione, poi si va a nanna.

Ma dopo un’ora siamo ancora sveglie, è una sfortuna avere la stanza con la finestra che si affaccia sulla strada principale, sembra incredibile, è mezza notte passata, ma c’è in continuazione gente che va e che viene: sta passando anche una donna completamente coperta da capo a piedi! Ma almeno lei non dovrebbe essere a casa?

Dovremmo chiudere la finestra per sentire meno rumore, ma fa davvero caldo, proviamo a resistere, pur di dormire un pò.

L’idea di andare a dormire in terrazza ci sfiora, ma temiamo che faccia ancora più rumore.

 

10° giorno

Sveglia ad un’ora decente, colazione al pian terreno con thé alla menta, pane, burro e marmellate.

Andiamo a visitare il palazzo  mi te so

Tornando indietro ci fermiamo nei pressi di una zona piena di negozietti con laboratorio annesso, vendono oggetti di artigianato fatto in vetro, ferro battuto e simili, molto carine certe cose. Nei pressi c’è un chiosco dove alcuni bambini, quattro o cinque stanno giocando con noci, pare essere qual gioco che si faceva da piccoli e che consiste nel tirare le noci e prenderle col dorso delle mani, poi con una mano sola e sempre in numero maggiore. È divertente vederli giocare, Giorgio prova ad inserirsi nella combricola, mentre a me viene in mente di avere ancora nello zaino alcune caramelle. Le tiro fuori e cerco di distribuirle in modo equi fra i bambini che sono lì, senza accorgermi che nel giro di pochi secondi i bambini si moltiplicano, si triplicano, quadruplicano, ce li ho tutti in torno, mi tirano, mettono le mani dentro la borsa, aprono le cerniere, è un’unica piovra con mille tentacoli e urlano. Un signora si avvicina, cerca di allontanarli quasi volesse difendermi, poi mi dice: “…ils sont des voleurs…” che sono dei ladri, devo stare attenta, andare via…Le caramelle sono finite…non l’avessi mai tirate fuori! mi hanno messo un po’ di agitazione….

Pranzo in un bar pizzeria con terrazza all’ultimo piano della piazza degli impiccati. Dall’altro è sempre suggestiva, anche di giorno. Si trova poco lontano dal minareto, alto più o meno come noi! E il muezzin canta!

Nel pomeriggio ci sbizzarriamo nel suk, si deve contrattare alla grande. E se vuoi chiedere solo per curiosità qualcosa, o solo per parlare, quasi diventano scortesi, la conversazione è finalizzata all’esclusivo scopo di contrattare e vendere.

I vicoli del suk sono a volte quasi al buio, perché sono sovrastati da teli o specie di stuoie che riparano dal sole. Ovunque tutti ci invitano a comprare, a vedere la loro merce, ma a volte noi siamo attratti solo dai mille colori, profumi e suoni. A volte ci allontaniamo solo per non rimanere intrappolati dai tizi che ci invitano.

Ci allontaniamo un po’ dal centro del suk e ci inoltriamo in una via comunque piena di botteghe, e laboratori di artigiani. C’è un tipo che lavora i copertoni delle ruote, ci fa di tutto, sedie, portafoto, cuscini, poltrone, targhe, secchi, borse…, poi ci sono i cuoiai e ancora fabbri. Senza accorgercene arriva il tramonto e la piazza torna ad animarsi di attrazioni, saltimbanchi e delle luci delle lampade ad olio.

Arriva anche l’ora di cena nella terrazza all’ultimo piano del nostro albergo con vista sulla piazza.

 

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11° giorno

Sveglia e partenza per Essaouira. Sono ca. 170km in direzione della costa, il nostro è un giro ad anello e piano, piano si ritorna a Casablanca costeggiando l’oceano.

Essaouira è un paesino sull’oceano, in passato avamposto portoghese, bellissimo, basse case intonacate di bianco e qualche colore qua e là, tappeti appesi, tende, porte azzurre..., mura che la circondano e cannoni puntati verso l’oceano.

Ci dirigiamo verso il porto dove in fila, uno dietro l’altro si trovano i banchetti dei pescatori che vendono il pesce fresco. E non solo: te lo cucinano anche!

Aziz ci aveva consigliato di contrattare sul prezzo prima anche in questo caso, per non avere brutte sorprese.

Sono così ben organizzati che hanno sistemato griglie per cucinare, sedie e tavolini, piatti e posate, pane, insalata e una quantità incredibile di pesce. A nostra scelta ci cucinano quanto ne vogliamo.

Dopo pranzo ci si dirige al mare, o meglio, all’oceano, in spiaggia qualcuno pensa di prendere il sole, ma il vento è così forte che non è possibile stare sdraiati senza essere sferzati dal vento e ricoperti nel giro di pochi minuti dalla sabbia.

Essaouira è un paese che pare essere famoso soprattutto per praticare gli sport acquatici, visto il vento a quanto pare sempre presente.

Io e Danilo decidiamo di andare ad esplorare in giro, si cammina, si cammina sul bagnasciuga, fino a incontrare dune simili a quelle del deserto e cammelli con strani gingilli di stoffa multicolor appesi in testa e sulla sella, ci guardano imperturbabili.

Ogni tanto passa anche un tizio al galoppo su un cavallo, vestito stile cow boy che offre passeggiate sulla spiaggia.

Si ritorna dai compagni di viaggio che, assopiti, si sono ricoperti di sabbia ed ora decidono di fare il bagno nell’oceano. Io passo, fa quasi freddo.

Nel pomeriggio ci aggiriamo un po’ nel paesello, c’è anche qui una specie di medina, con molti negozi, ma decisamente molto turistica, tutto molto ordinato, pulito, sempre colorato, ma niente a che fare con le medine che abbiamo visto nei giorni passati.

Cena in un ristorante del paese dove, tanto per cambiare, ci si riabbuffa di pesce (ma quello del pranzo era decisamente meglio). Vista la zona turistica, per la prima volta in tutto il viaggio è possibile accompagnare la cena con del vino.

 

12°giorno

In prima mattinata abbiamo ancora un po’ di tempo per visitare la fortezza, per una parte si può anche camminare sulle mura.

Il vento, i gabbiani tipici dei posti di mare, le onde e la vista sull’oceano danno un’idea della suo potenza.

Si parte in direzione Oualidia, la strada si snoda lungo la costa, prima sul livello del mare, poi più in alto, sempre più in alto. Vediamo la costa a picco sull’oceano,in basso, in lontananza spiagge lunghe, dai colori che vanno dal rosa deserto al panna.

Raggiungiamo Oualidia, piccolo centro abitato, appena in collina, ma poco distante dal mare. che pare non avere nulla di speciale. Per di più alloggiamo in un albergo che anche se si trova sulla costa, pare frequentato per lo più da turisti.

Ci sono solo alberghi e bar.

Ci sistemiamo nelle stanze, carine, così come l’albergo, molto occidentale, a parte la televisione sintonizzata su Al Jazira.

Il retro dell’albergo si affaccia direttamente sulla spiaggia, dove decidiamo di passare il pomeriggio.

La sabbia pare la stessa del deserto, il tempo non è granché, è un pò grigio, e fa anche un po’ fresco.

Nonostante tutto c’è gente in spiaggia, qualcuno sdraiato, altri giocano a pallone.

Mentre gli altri sono sdraiati, mezzi addormentati sugli asciugamani, io decido di andare a far un giro per la spiaggia.

Mi avvicino all’acqua che non è proprio calma e non pare neppure calda.

C’è qualcuna che si avventura ance in acqua.

Nel mio girovagare mi imbatto in un gruppetto di bambini, direi dai tre ai dieci anni, che giocano con la sabbi. A fianco, poco lontano ci sono alcune donne, saranno le madri.

Ricordo di avere in borsa ancora qualche caramella rimasta dall’assalto subito a Marakesh, così, sotto l’occhio attento delle madri che scrutano i miei movimenti, mi avvicino per regalargliene alcune. Senza timore le prendono, ma poi corrono verso la famiglia a far vedere, a raccontare, a gustarsele al sicuro.

Poi ritorno al mio posto e tirato fuori dallo zaino il mio libro, inizio a leggere. Ma, forse è un trucco per mostrare apparente indifferenza, infatti ho già attirato troppo l’attenzione. Le donne, fra cui ci sono quelle che presumo essere le madri dei bambini, mi osservano, senza neppure troppa discrezione. Mi guardano, poi si rigirano e fra loro borbottano qualcosa.

Mi chiedo, cosa si diranno e cosa penseranno di questa tizia occidentale, sola nella spiaggia. Ai loro occhi potrebbe essere una cosa incomprensibile.

Penso: se non sono riuscita a relazionami in modo soddisfacente con gli uomini marocchini che hanno ogni volta frainteso i miei tentativi di avvicinamento e di conoscere la loro realtà, forse con le donne potrà essere diverso.

Chiudo il libro e mi avvicino a queste donne a cui decido di regalare quel che rimane del sacchetto di caramelle.

Ma, a sorpresa, scopro che il mio francese non basta, non è praticamente possibile alcun tipo di comunicazione: queste donne non si esprimono che in arabo. Cerchiamo di comunicare comunque qualcosa, non so cosa capisco da loro, né cosa loro capiscono da me.

Solo una spiccica appena qualche parola in francese, ma è la più silenziosa. Ce n’è un’altra invece che anche se parla solo arabo, è la più spigliata, la più comunicativa. A volte ride come una matta, è divertita dei miei tentativi di parlare con loro, di comunicare a gesti.

Chiedo se posso fotografare il gruppo per ricordarmi di loro in Italia, con la promessa che invierà anche a loro la foto.

Capisco che mi invitano a prendere un thè alla menta, dietro di loro mi indicano infatti la tenda che hanno montato e dove tengono le loro cose.

Ci dirigiamo verso questa tenda da qui esce oltre al fornello con tutta l’attrezzatura per preparare il thè anche ogni altro ben di Dio di dolci preparati da loro.

La comunicazione è sempre difficile, ma incredibilmente ci capiamo e loro sono molto accoglienti.

A sorpresa si avvicinano due uomini, dai quali inizialmente sono un po’ intimorita. Capisco che dal loro punto di vista, anche se sono anch’io una donna, potrei essere una minaccia alle loro….”chissà che idee potrei mettere in testa alle loro donne”. Uno dei due pare prendere in mano la situazione.

Sorridendo mi presento e chiedo scusa per il disturbo, per fortuna parla francese e dopo un pare subito tranquillizzato, evidentemente avrà pensato che sono innocua per le donne della sua famiglia, soprattutto perché non riusciamo a comunicare che a gesti.

Il tizio, baffuto e dall’aria austera, mi spiega che lui e la sua famiglia hanno deciso di trascorrere una giornata al mare insieme alla famiglia di sua sorella che vive poco lontano, a Safia.

Mi invita a non fare complimenti, ad assaggiare tutti i dolci e il pane preparato dalle loro donne.

Fa un po’ da interprete e mi dice che una di loro, la stessa di prima, è molto divertita dalla mia conoscenza. Infatti continua a comunicare con me senza usare il tramite del capofamiglia, il quale ad un certo punto pare stancarsi di tradurre dall’arabo al francese e viceversa e, tranquillizzato dal fatto che non devo essere pericolosa, mi dice che lui e il cognato tornano a fare un giro in paese.

E così, mentre i bambini sono tornati a giocare con la sabbia,gli uomini sono tornati a zonzo, rimango nuovamente sola con queste donne, tentando di comunicare, tra gesti, qualche parola francese e qualche verso strano per imparare per esempio qualcuna delle loro parole o anche solo i loro nomi.

Prometto loro che una volta arrivata a casa invierà la fotografia e un dolce della mia regione.

Non molto dopo i mariti ritornano, è ora di tornare a casa, ed anche per me è ora di raggiungere il gruppo. Sono entusiasta dell’esperienza, semplice ma gratificante, perché sono riuscita a entrare in relazione con queste donne così diverse e così simili a me, condividendo con loro del tempo, non so quanto, una forse due ore, so solo che è volato.

 

 

Chi l’avrebbe detto che delle semplici caramelle mi avrebbero tanto aiutato a mettermi in relazione con queste donne.

Pienamente soddisfatta dell’esperienza mi allontano mentre le due famiglia smontano il piccolo accampamento di un giorno.

Nel raggiungere gli altri ripercorro in senso inverso la spiaggia: mi accorgo che il mare è come se si fosse ritirato, e ha lasciato spazio a nuove dune giallo-rosa.

Prima di cena decidiamo di fare un salto in paese per un the alla mant!

C’è movimenti in giro, solite bottegucce, ma forse un po’ più turistiche.

La sera si cena in albergo, ovviamente pesce e, nonostante normalmente lo apprezzi, ormai non ne posso più. È chiaro che ci troviamo in una località turistica visto che ci propongono addirittura una bottiglia di vino, mai successo prima d’ora!

 

13°giorno

Partenza da Oualidia in direzione Casablanca, domani c’è, haimé, l’aereo per il ritorno!!!

Durante il viaggio ci fermiamo ancora a El Jadida, anche questa cittadina fu un tempo portoghese. È infatti uno dei migliori esempi di architettura militare portoghese in Marocco.

Visitiamo l’attrazione della città: la famosa Cisterne Portugaise (Cisterna Portoghese), costruita per la raccolta dell'acqua piovana. Un soffitto a volte, sorretto da venticinque colonne, che specchiandosi sull'acqua (quando c’è) crea degli effetti suggestivi. Pare scelta da Orson Welles per il film Otello.

Proseguiamo la visita alla città con una passeggiata lungo gli antichi bastioni, godendo della vista del mare e della città dall'alto, prima di proseguire il viaggio verso l'ultima meta della giornata, per la città di Casablanca.

Guardando in basso, in mare, o meglio in oceano, in un tratto lungo le mura dove l’acqua, non proprio pulita, anzi, si insinua all’interno formando una specie di canale, vediamo un tizio che, a nuoto, trascina una barca! Ci soffermiamo un po’ a guardarlo, fin dove la porta? ….che cose strane succedono qui.

Partenza per Casablanca.

Aziz si ferma poco prima di entrare nella città, in un punto panoramico sulla costa da dove si può godere la vista della grande moschea.

Leggiamo sulle guide che è l’unica Moschea in Marocco visitabile al suo interno anche dai non mussulmani, ma non il venerdì perché è giorno di preghiera…e, incredibile, noi arriviamo proprio di venerdì!

Visita all’esterno della Moschea di Hassan II: costruita proprio slle coste dell’oceano, è enorme. È il terzo monumento religioso più grande al mondo ed è stata fatta costruire su volere del sultano Hassan II, padre dell'attuale Mohammed VI.

Lo spazio fuori della moschea è immenso e intonato all’imponenza del monumento, c’è una marea di gente che cammina, seduta sui gradini a parlare, è evidente che il venerdì è un giorno di festa.

Resto un per un po’ incantata, fuori dall’ingresso principale della moschea, a guardare le persone che entrano: uomini e bambini, composti, si tolgono le scarpe ed si dirigono a pregare. Da fuori si intravedono nello spazio interno le persone sparse qua e là, inginocchiate sui tappeti.

Non vedo donne, né entrare, né dentro la grande sala.

Cerco e scopro che loro entrano da un altro ingresso, un’entrata, diciamo secondaria, più piccola, non si capisce neppure che porta dentro la moschea, è una scalinata curva che si addentra nell’edificio, e, immagino, le conduca fino a una sala solo per loro.

Non mi capacito di ciò, mi sale un sentimento misto a impotenza e rabbia, per l’identificazione con queste donne che sento emarginate all’interno della loro stessa comunità.

Rientriamo in albergo, è anche ora d preparare gli zaini.

Per la cena chiediamo ad Aziz di stare con noi e di consigliarci lui un locale.

Ci conduce così nella Casablanca notturna, affollata del venerdì sera. I locali che ci propone offrono, come al solito, per lo più carne, ma anche pesce.

Facciamo l’ultima abbuffata marocchina con the alla ment finale.

La tristezza che già si era fatta sentire negli ultimi giorni per l’avvicinarsi della partenza si fa sempre più presente.

La partenza è prevista per l’alba, perché l’aereo è previsto per le 7.00 di mattina, perciò ci diamo appuntamento con Aziz alle 5.00.

 

14°rientro in Italia

Aziz ha dormito nel suo pulmino. Praticamente lo andiamo a svegliare noi. È stato morso dalle zanzare…gli regalo una crema contro il prurito.

 

 

 

 

Valeria Colombera

vali.c@inwind.it 

 

 

 

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