Viaggio in PERÚ
Diario di viaggio 2001

di Massimo Musetti

 

Domenica 7 gennaio 2001, arrivo a Lima dopo un viaggio estenuante di circa 18 ore, compreso lo scalo di tre ore ad Amsterdam. Mi lascio alle spalle la famiglia, la ragazza ed i 12 mesi (dall’ultimo viaggio Brasile) di lavoro senza soste. All’aeroporto divento subito una preda per tassisti, agenti alberghieri, promotori turistici ……. Uno di loro, una ragazza, si avvicina e mi chiede se ho bisogno d’aiuto, il suo modo di fare “professionale” mi trasmette fiducia,  quindi decido di seguirla. Cerca subito di convincermi a scegliere un albergo, diverso da quello nel quale volevo pernottare, ma le rispondo che ho già pagato in anticipo la prenotazione della camera – bugia -, quindi se vuole, può solo accompagnarmi  all’albergo da me prescelto. A questo punto mi lascia perdere, « meglio così » penso, sicuramente lavorava per altri hotel, dai quali prendeva la percentuale sui clienti accompagnati.

 

Il primo impatto con il Perù non è dei migliori, dopo aver trascorso molti viaggi in compagnia di altra gente, ora mi ritrovo ad essere per la prima volta da solo, quindi accuso subito “il colpo”. Cerco un sostegno, un’ idea, un consiglio da un compagno di viaggio che non ho: « mi devo arrangiare da solo! » ripeto più volte, infatti devo valutare, decidere ed affrontare la nuova realtà senza l’aiuto di nessuno. Decido di muovermi con decisione e di buttarmi in quel manicomio: l’aeroporto, che si “imbestialisce” quando ci sono gli arrivi internazionali: « Tu quanto vuoi per portarmi al mio Hotel? 15 $? Troppi!!… e tu quanto, 13 $?  Niente da fare!! », ad un certo punto, compare una donna, é vestita bene e porta un cartellino di riconoscimento attaccato alla giacca, sembra anche lei un’agente turistico, mi afferra per un braccio e mi trascina in un angolo. Dice che mi ha sentito poco prima, contrattare animatamente con dei tassisti, e mi offre un passaggio al mio albergo con il pullman della sua agenzia per 6$. Non ci sto a pensare su neanche 10 secondi, accetto e partiamo…….  

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Nel pulmino con me ci sono alcuni turisti italiani, anche loro appena arrivati da qualche minuto. Decido di rimanere in silenzio, anzi,  mi diverto ad ascoltare quello che dicono. Faccio l’indifferente per non far capire di essere un “paisà” e penso tra di me  « sono appena arrivato, quindi, per un po’ di tempo, basta Italia ed italiani!! ».

Il tragitto che l’autobus percorre per raggiungere il mio albergo,  non é dei migliori. Attraversiamo l’intera città, passiamo in mezzo a quartieri poveri, inoltre, l’orario ed il buio della notte, sicuramente, non mi aiutano ad ambientarmi. Ascolto dietro di me, i commenti del gruppetto d’italiani, per il momento, non sembrano molto soddisfatti del posto.

Più avanti, arriverò alla conclusione che, Lima, a mio parere, non è una bella città, d'altra parte una metropoli con otto milioni di abitanti, sviluppata e moderna, con delle sovrapposizioni etniche, difficilmente mantiene legate a sé tradizioni, usi e costumi del suo popolo. « Non è il Perù che cerco » penso tra me e me,  « ma dove sono i suoi caratteristici abitanti, gli abiti coloratissimi, i lama? », non trovo le tradizioni, la storia, l’archeologia e tutto quello che, di questo paese, mi ha sempre affascinato.

 « Devo scappare da qua, subito!, se riesco anche domani mattina col primo pullman, magari diretto verso Nazca ».

 

Lunedì 8 gennaio, dopo essermi svegliato di buon ora ed aver fatto una buona colazione, esco dall’albergo e decido di fare un giro nel centro città, per cercare di orientarmi. Percorro 200 metri e mi accorgo che, fortunatamente, ho pernottato in un posto non molto distante dal terminal della compagnia di trasporti che cercavo: la Cruz del Sur. Ritorno subito all’albergo per prendere lo zaino, pago il conto e mi avvio velocemente al terminal. Arrivo giusto in tempo per acquistare il biglietto dell’autobus che, con un interminabile viaggio di 9 ore, mi porterà nella città di Nazca.

All’interno del terminal, mentre aspetto l’imbarco, cerco di non perdere di vista il mio bagaglio e mi assicuro che sia caricato nel pullman giusto: «  Ok quello zaino è proprio il mio, così bravo portalo da questa parte, ok! ora caricalo nel pullman e chiudi il portellone… », a questo punto salgo e mi accomodo nel posto che mi è stato assegnato. Vicino a me ci sono intere famiglie stracariche di sacchetti e borse, vecchi e qualche gringos che, con carta e penna, scrivono pensieri ed appunti di viaggio. Alle 11:00 partiamo, siamo in perfetto orario e sicuramente non sarà un viaggio rilassante, anche lo stesso autobus non mi sembra dei più comodi, però, a me va bene così, perché sto viaggiando con “loro”, la gente comune, gli Indios: discriminati e  poveri; quelli ai quali gli spagnoli nei secoli passati, guidati dall’avventuriero Francisco Pizarro, hanno rubato ori e ricchezze, hanno mutato le sorti del paese e, con la terribile inquisizione, hanno torturato ed ucciso la loro gente.

 

La Panamericana, costeggia ad ovest l’Oceano Pacifico mentre ad est il deserto, ogni tanto attraversiamo zone ricche di vegetazione, sono delle oasi nel bel mezzo del deserto bianco e sabbioso. In alcuni tratti troviamo l’immancabile garùa, ovvero umidità sprigionata dalle correnti del Pacifico che, con il calore si muta in nebbia. Le spiagge, che  riesco a intravedere (nebbia permettendo) dal finestrino del pullman, sono quasi tutte deserte.  « Mi piace questa garùa », per me Toscano è pur sempre una cosa insolita,  « sembra di essere sulla scena di un film, la nebbia ed il mare insieme creano un’atmosfera quasi irreale, che strano……».

Arrivo a Nazca in serata, sono stanco ed ho fame. Ho appena fatto un lungo viaggio in pullman, ma la fatica è stata ripagata dalla bellezza del paesaggio.

Sceso dall’autobus, un gruppetto di persone mi osservano, alcuni si avvicinano e si propongono per accompagnarmi all’albergo per il quale lavorano, altri mi girano intorno, forse aspettano una mia minima distrazione per approfittarne, oppure la loro potrebbe essere solamente pura curiosità chissà…… comunque cerco di stare all’erta ed infilo sulle spalle il mio zaino. Mi avvio con passo sostenuto verso l’albergo che ho scelto sulla mia guida, carino e abbastanza frequentato da persone giovani, ci sono molti avventurieri con zaino e guida alla mano, un gruppetto di americani sono venuti addirittura con le loro moto, stracariche di bagagli e tutte impolverate.

Nazca è la città delle misteriose “Linee”, enormi ed intriganti disegni geometrici tracciati sul deserto e visibili solo dall’alto, famosissimi in tutto il mondo. Una studiosa tedesca, Maria Reiche, ha dedicato tutta la sua vita a studiare queste Linee e ha ritenuto che, siano state fatte dalla cultura Paracas e di Nazca, nel periodo che va dal 900 a.C. e il 600 d.C., questa donna è morta qualche anno fa all’età di 95 anni e ho saputo che la sua abitazione è stata trasformata in un museo.

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Il mattino seguente, mi sveglio di buon ora e dopo aver fatto colazione in albergo, esco e mi metto alla ricerca di un’agenzia che mi permetta di fare l’escursione alle “Linee”. Dopo averne interpellate alcune, scelgo quella che più mi soddisfa, sia come programma dell’itinerario, sia come costo totale del tuor. Alle 9:00 in punto, per 30$, decolliamo con l’ultraleggero e ci dirigiamo verso il deserto di Nazca, a 20 chilometri dalla città, per vedere queste famose “Linee”. Il volo, purtroppo, mi rivoluziona lo stomaco, la colazione “sostanziosa” ed il caldo all’interno della cabina di pilotaggio, mi fanno fare…… una frittata, nel vero senso della parola:  « Però ne valeva la pena », dico al pilota che mi guarda e sorride divertito.

I disegni nel deserto sono bellissimi, si possono ammirare diverse figure geometriche, animali, tra i quali risaltano per la loro particolare bellezza e precisione il Ragno, il Colibrì, la Balena, la Scimmia. Negli anni passati, sono state formulate diverse ipotesi sul significato di questi disegni, la più credibile, sembrerebbe quella che identifica le “Linee” in un calendario astronomico usato per favorire l’agricoltura. Purtroppo dall’alto, si intravedono anche i segni che, alcuni irresponsabili, hanno fatto con i loro fuoristrada.

Il tour prosegue e nella tarda mattinata visitiamo  un interessante sito Inca. Si tratta del cimitero di Chauchilla, distante circa 30 chilometri da Nazca. Vediamo mummie, frammenti di stoffe e di ceramiche risalenti ad un periodo compreso tra il 900 e il 1300 d.c. . Le mummie ed i frammenti, sono custoditi in tombe sotto la superficie del suolo, ma la cosa che più stupisce é che basta spostare la terra, per far venire alla luce altri piccoli frammenti di ossa, e anche qualche pezzo di stoffa.

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cimitero di Chauchilla

Mercoledì 10 gennaio, decido di cambiare città e mi dirigo, affrontando altre 8 ore di autobus, verso Arequipa. La “città bianca”, come la chiamano i peruviani, é ricca di monumenti ed edifici coloniali bellissimi. Un classico esempio sono, il Monastero di Santa Catalina e Plaza de Armas da dove si può ammirare in lontananza il vulcano El Misti, che con la sua vetta (5822m) si erge maestosamente dietro i monumenti. Plaza de Armas è la zona più bella della città, il punto di ritrovo di migliaia di persone ed un luogo dove poter trovare interessanti prodotti d’artigianato ed invitanti ristoranti.

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Nell’aria si inizia a percepire l’anima di questo paese. Negli edifici sono rimaste indelebili le impronte lasciate dagli spagnoli, balconate di chiara origine coloniale si affacciano sulle stradine strette del centro. Sicuramente Arequipa, é la città più bella che ho incontrato fino a questo punto, in quanto può offrire molti servizi al turista. Difatti, dopo aver vagato per una giornata intera alla scoperta della  città, la mattina seguente (giovedì 11 gennaio), decido di andare con qualche ora di pullman al Canyon del Colca, uno tra i più profondi del mondo. Raggiungo il punto panoramico chiamato Cruz del Condor, otre i 4000 metri d’altitudine, e riesco a vedere, con un po’ di fortuna, il Condor delle Ande.

La notte la trascorro nel piccolo paesino di Chivay, ma, prima, nel pomeriggio, capito fortunatamente nel bel mezzo di un coloratissimo mercato, dove, la cosa che più mi sorprende, sono le persone del posto. Ad Arequipa come a Chivay, trovo gente bellissima, disponibile, umile, addirittura, quando entro nei loro negozi o nei mercatini, mi accorgo che queste persone provano timidezza nel rivolgermi la parola. Rimango sbalordito da questo aspetto, sono abituato ad altri posti del Sud America, dove si viene letteralmente “stressati” dall’insistenza di qualsiasi venditore.  E’ difficile per me, qua in Perù, non comprare un braccialetto, una collana, di fronte alla richiesta di una ragazzina, o un  qualsiasi piccolo oggetto d’artigianato che mi viene proposto da un altro bambino. Per non parlare delle  “donnine” e delle “vecchiette”: sono spettacolari. Le incontro negli angoli delle strade, la maggior parte di loro arrivano dagli altipiani andini, soprattutto da Puno sul lago Titicaca, sono vestite con maglioni in lana di alpaca tessuti a mano e cappelli caratteristici, vendono oggetti d’artigianato: Poncho, strumenti musicali come la Quenas, flauto fatto di bambù od il Charango una minuscola chitarra derivata originariamente dagli spagnoli e totalmente modificata dagli abitanti degli altipiani. Alcune di loro si lasciano fotografare tranquillamente, mentre altre, soprattutto le più anziane, non vogliono. Ne ho incontrata una che, di fronte all’obbiettivo è addirittura scappata, mi hanno poi spiegato che alcune persone anziane, non hanno simpatia per questo “oggetto strano” che gli viene puntato contro, pensano che  gli venga mandata qualche maledizione o malanno.

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Chivay

Trascorro in totale tre giorni ad Arequipa, tra escursioni giornaliere e stupende cene alla sera accompagnate dall’immancabile musica Folklòrica e in compagnia di tre viaggiatori conosciuti durante il percorso.

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Ollatayambo 

Sabato 13 decido di spostarmi in direzione Puno, sul lago Titicaca. Il treno (tanto atteso) parte il mattino ed il programma prevede 12 ore circa di viaggio, si salirà di quota: dagli attuali 2325m di Arequipa ai 3820m del lago Titicaca, situato sulla cordigliera delle Ande (montagne considerate dai suoi abitanti, sacre e viventi).

Durante il viaggio, attraversiamo altipiani deserti, zone di particolare bellezza ed incontriamo qualche paesino sperduto fra i monti. Ogni tanto, il treno, fa delle soste in stazioni ferroviarie fatiscenti per permettere ai passeggeri di scendere, quindi, ne approfitto per scattare alcune foto, mi colpiscono soprattutto le famiglie che aspettano sedute sulle panchine con il loro “bagagli”, formati quasi sempre, da sacchi contenenti frutta ed ortaggi da vendere o da usare come merce di scambio nei mercatini locali.

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I bambini, ma anche i più grandi, quando vedono passare il treno, salutano incuriositi i passeggeri, sembrano addirittura divertiti nel vedere questo treno delle Ande che, due o tre volte alla settimana, stracarico di gente, sale sempre più sù e sparisce dietro le montagne.

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Il viaggio é lungo e sembra di non arrivare mai,  tengono compagnia un gruppetto di giovani suore, dirette in Bolivia, che con le loro chitarre, intonano musiche e canzoni da “colonie estive”.  Riescono addirittura a coinvolgere ed a far cantare altri passeggeri stranieri e alla fine diventa tutto una festa.

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Dopo circa 10 ore di viaggio, incontriamo la città di Juliaca. Con il treno, attraversiamo l’interno della città, tagliamo in due un mercato sfiorando le tende delle baracche, passiamo a pochi metri dalle porte delle case e dei bar, fino ad arrivare nella poco distante  Puno, capolinea del nostro viaggio.

La città di Puno è il luogo nel quale pernottare per poi imbarcarsi in direzione del lago Titicaca. La città non ha grandi cose da  visitare, se non la piacevole Avenida Lima, srada pedonale che si anima durante sera di gente e di musica. A questo punto, è inevitabile non percepire la fatica per la differenza d’altitudine, le stesse scale dell’albergo sono degli ostacoli, e senza farlo apposta, la mia camera è all’ultimo piano!! La serata la trascorro in compagnia di altri viaggiatori, e insieme, aspettiamo il nuovo giorno passeggiando in Avenida Lima, dove troviamo tantissimi ristoranti che lasciano al turista l’imbarazzo della scelta, non sappiamo quale scegliere e alla fine ci lasciamo convincere da un cameriere che, in strada con il listino, ci promette tanta musica ed una cena con i fiocchi…

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Domenica 14, dopo aver prenotato per l’escursione sul lago, partiamo nella prima mattinata, con un’imbarcazione che lascia un pò a desiderare per quanto riguarda le misure di sicurezza e comodità: « non sono venuto in Perù per fare un viaggio di comodità!! », penso per rincuorarmi. Con altri turisti proseguiamo l’escursione, visitiamo per prime le famose isole Uros, completamente artificiali, costruite con delle canne che crescono nei bassi fondali del lago. Le isole in se, sono molto particolari ed “uniche” per il loro genere, forse un po’ troppo sfruttate commercialmente dal turismo. Viene da pensare che chi vi abita lo fa solamente per un aspetto commerciale, ossia poter vendere prodotti d’artigianato al turista che arriva da Puno. Sicuramente non è una scelta di vita, al contrario di come fecero anticamente gli Indios Uros, tra l’altro oramai estinti. Facciamo una piccola sosta di 30 minuti sulle isole artificiali, il tempo di acquistare qualche souvenir e si riprende il viaggio in direzione dell’isola di Amantaní, dove resteremo per una notte, ospiti di alcune famiglie di Indios Aymara.

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Amantaní è un’isola tranquillissima e allo stesso tempo molto particolare, dove la televisione, le macchine, i taxi, i telefoni non hanno ancora fatto la loro comparsa, anzi, penso che, l’assenza di questa tecnologie moderne del XXI secolo, siano state censurate volutamente dalla popolazione. Nell’isola, regna una tranquillità ed un’armonia fra la gente direi quasi “incredibile”, tutti gli abitanti si conoscono tra loro e tutti partecipano al lavoro quotidiano nei campi. Si nota la mentalità e lo spirito di “comunità” che le persone hanno « sembra quasi un luogo incantato, un paradiso terrestre dove il tempo si é fermato……».

La famiglia che ci ospita, ci mette a disposizione una camera per la notte ed i pasti completi, ci viene offerto da bere anche un buonissimo infuso alla Mugna, un’ erba caratteristica dell’isola. Insomma, veniamo trattati nel miglior modo possibile, con gentilezza e cortesia, come  vengono trattati gli ospiti d’onore.

 

Il giorno successivo, si cambia, ci trasferiamo nella poco distante isola di Taquile, simile come fauna e vegetazione all’isola di Amantaní, ma diversa per i colori e costumi tipici dei suoi abitanti.

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Sbarchiamo nel piccolo porticciolo dell’isola e ci incamminiamo su per un sentiero, per circa un chilometro. Anche sull’isola di Amantaní abbiamo percorso chilometri sui sentieri, ed ora, eccomi qua a dover rifare un’altra sfaticata:  « Io che non ho molta simpatia per il trekking…… » penso. Dopo circa 40 minuti di marcia, e dopo aver visto dei paesaggi molto belli, arriviamo nella piazza del paese e rimango sorpreso da quello che vedo: la piazza é movimentata da un via vai di uomini e donne con abiti colorati, le donne, indossano vestiti molto belli, portano gonne a più veli e camicette ricamate  minuziosamente, mentre, gli uomini indossano un berretto che assomiglia a quello da notte. In un secondo momento, la guida del posto ci riferisce che gli uomini con il berretto rosso sono sposati, mentre quelli con il berretto rosso e bianco non lo sono.

I bambini che giocano nel piazzale completano lo scenario, «é molto bello e rilassante»  mi dice un turista americano che sta facendo l’escursione con me. Infatti, anche nell’isola di Taquile, al pari di Amantaní, regna una tranquillità fuori dal normale, c’é solo da sperare che il flusso continuo di turisti, non rovini tutta l’armonia che c’é in questi posti.

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Di solito nei miei itinerari, passo da una città all’altra dopo due, al massimo tre giorni. Nell’isola di Taquile, se ne avessi avuto il tempo mi sarei fermato anche una settimana, lontano dallo stress, dalla confusione e dai ritmi che, la nostra società, ci impone nella vita di tutti i giorni.

 

Qualche giorno dopo, mi trasferisco a Cuzco, decido di farlo con l’autobus, in questo modo posso recuperare un giorno dal mio itinerario, poiché il treno che da Puno conduce a Cuzco non parte tutte le mattine. La compagnia dei trasporti che scelgo si chiama Libertad e i suoi autobus sembrano sicuri e partono sempre di buon ora. Risolvo comunque il problema “sicurezza bagaglio”, portandomi lo zaino sopra l’autobus con me.

Cuzco mi accoglie con le sue bellezze: i monumenti, le costruzioni in stile coloniale, la magnifica ed immancabile Plaza de Armas. E’ sicuramente la città con più reperti archeologici e la più antica di tutto il sud America, molte costruzioni hanno come base, dei massicci muri di pietra, costruiti nei secoli passati dagli Incas, e tuttora funzionano da possenti fondamenta alle costruzioni elevatesi in un secondo momento sopra di loro. Le persone, a differenza delle altre città, sono (commercialmente parlando) più aggressive, é facile vedere anche bambini che nei dintorni della Plaza de Armas, fanno l’elemosina. Questo fatto, deriva dalla presenza continua, per tutto l’anno, del turista.

Da Cuzco, parto nei giorni seguenti per diverse escursioni: le rovine di Sacsayhuman dove gli spagnoli persero una battaglia; visito diverse piccole rovine Inca come Tambo Machy e Puca Picara; dedico una giornata intera per visitare Machu Picchu, imponente e magnifica città Inca (non ci sono aggettivi che possano renderne l’idea).

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Sacsayhuman

 

 

 

Machu Picchu

 

 

Machu Picchu

Domenica 21 gennaio, mi sveglio di mattina presto e vado alla ricerca di un tassista che sia disponibile a farmi da guida per tutta la giornata; ho intenzione di recarmi a Pisac, visitare il suo mercato e le rovine Inca, per poi proseguire per la Valle Sacra dell’Urubamba. Arrivo in Plaza de Armas e noto da lontano un tassista fermo sulla sua auto.  Mi avvicino e gli chiedo: « quanto vuoi per portarmi tutto il giorno fuori città ? voglio visitare il mercatino di Pisac e la Valle Sacra dell’Urubamba », mi risponde « 30$ », accetto e insieme ad altri due turisti, parto.

 

La prima tappa quindi, é Pisac, che con il caratteristico mercatino della domenica, attira tantissima gente della zona e anche turisti. Arriviamo in mattinata, il paese è già affollato di mercanti arrivati, con la loro mercanzia, da tutto il distretto di Cuzco. Hanno già iniziato, con i banchetti stracarichi di merce, a contrattare e a vendere fra di loro.  Nella piazzetta principale, le donne stendono per terra stracci e coperte nei quali posare i prodotti: mais, patate, ortaggi vari, frutta e cereali. Vengono vendute anche pannocchie di Gran Turco bollite e servite con un pezzettino di formaggio, buonissime e gustose!! 

Ci sono contadini e commercianti arrivati dall’intero distretto, che cercano di vendere la propria merce, di concretizzare la fatica consumata durante tutta la settimana a lavorare nei campi.

La domenica, il centro del commercio dell’intera zona, diventa Pisac. Tra le donne che vendono nel mercato, si sente parlare una lingua diversa dallo spagnolo, « é il quequa » mi dice una vecchia, la lingua degli Incas.

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In un angolo, un gruppetto di persone attira la mia attenzione, mi avvicino e mi si presenta davanti una scena che mi lascia di stucco: uno sciamano, vestito in maniera suggestiva, con collane e pendoli vari, sta presentando alla folla il suo infuso miracoloso, dice che é una bevanda curativa contro alcune malattie, riesco a capire “impotenza”, “disturbi di stomaco” ed altre parole. La gente riunita attorno a lui, sembra coinvolta da quello che, questo “stregone” predica, poi, viene fatta girare una sostanza da bere, di colore rosso, con schiuma che fuoriesce a flotti come nei migliori laboratori chimici. Le persone, a turno, bevono un sorso dal solito bicchiere e poi lo passano a chi gli sta vicino. E’ una scena bellissima, vista e rivista moltissime volte nei film e nei documentari ed ora non mi sembra vero esserne spettatore…dal vivo.

In alcuni villaggi sperduti (ma anche in altre zone dell’America Latina), ritroviamo usanze religiose e mediche che, nella maggior parte delle città sono scomparse, il Perù nonostante sia un paese cattolico s’intravedono ancora, credenze e pratiche indigene.

 

Cuzco è la città dove mi fermo per più giorni e a Cuzco rimango fino al mattino dell’ultimo giorno del mio viaggio in Perù, in quanto preferisco evitare il più possibile il caldo afoso e la confusione di Lima.

 

Il giorno della partenza, prendo a malincuore il primo volo alle ore 08:00, rischio addirittura di non partire e perdere la coincidenza per l’Italia, causa il mal tempo, però riesco ugualmente ad arrivare nella capitale un’ora dopo.

Arrivo così alla fine del mio viaggio, ma, poiché l’aereo per il rientro in Italia partirà alle ore 22:00, mi rimane ancora a disposizione un’ intera giornata da trascorrere a Lima. Decido di visitare, nella mattinata, il quartiere turistico di Miraflores, carino e molto tranquillo per il turista, passeggio fra i negozi e i ristoranti, mi fermo ad osservare la vicina spiaggia dove, alcuni ragazzi, si divertono a fare surf fra le onde dell’oceano, mentre lascio per il pomeriggio la parte migliore di Lima, uno dei pochi aspetti che può giustificare la permanenza in questa città, l’ultima emozione che mi riserva  il Perù: il Museo Inca dell’Oro.

 

Massimo Musetti

maxim970@tiscali.it          massimomusetti@hotmail.com 

 

 

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