Ritorno a Goa

India

Diario di viaggio

di Andrea Veggetti

 

PREFAZIONE:

Ho un bel ricordo di quegli anni in cui, poco piu’ che bambino, mi sedevo sulle scale esterne di casa mia che, dalla balconata, portavano a piano terra. Quante volte facevo su e’ giu’ per quelle scale con il pallone in mano per scendere in cortile a giocare finche’ non sentivo l’urlo di mia madre per salire a fare i compiti o perche’ il pranzo o la cena erano pronti. La scala era condivisa con un altro appartamento che aveva la balconata comune con il mio, come se fosse una piccola casa di corte.

Spesso incrociavo il figlio dei miei vicini di casa un po’ piu’ grande di me, anzi decisamente piu’ grande di me e allora mi piaceva sedermi e stare li’ ad ascoltare i suoi racconti dei suoi viaggi incredibilmente avventurosi e fatti con pochi mezzi e due soldi in tasca. Quelle lunghe traversate del medio oriente con Renault 4 o Citroen 2Cv o addirittura in autostop, attraverso la Turchia, la Siria, l’Iraq (allora sicuro), l’Iran e la tanto agognata meta dell’Afganistan all’epoca paese tranquillo e moderato, vivace nei suoi mercati e nelle bellezze incontaminate delle sue montagne irraggiungibili e dei suoi laghi alpini, azzurri come i turchesi che produceva.

Questa era una tappa, poi si riprendeva il cammino attraverso il Pakistan e L’India fino a fermarsi a Goa e da li’ preparare il ritorno sempre che  non si prendeva la decisione di fermarsi un giorno, un mese in piu’ o per sempre. Non c’erano aerei che ti aspettavano, ci si muoveva solo con mezzi di fortuna alla ricerca poi di chissa’ che, questo sinceramente non lo capivo. Spesso si dice che non e’ importante l’emozione che provi quando arrivi alla meta, ma quella che hai provato mentre viaggiavi per raggiungerla e mai come in questi casi credo sia vera.

Lui e’ un figlio di una generazione, quella del 68, che intraprendeva questi viaggi anche alla ricerca dello sballo dell’ultimo ritrovato psichedelico tanto di moda in quegli anni e, l’hashish dell’Afganistan, era un richiamo irresistibile come la tolleranza di Goa verso gli stupefacenti. Per molti di loro e’ stata una strada senza uscita sfociata nell’eroina di inizio anni ottanta quando io, allora poco piu’ che bambino, mi sedevo su quelle scale a sentire i suoi racconti. Ero affascinato dal viaggio, dal percorso, dai luoghi e dalle genti incontrate, era meglio che leggere un qualunque sussidiario scolastico, io le droghe non sapevo neanche cosa fossero, ma per viaggiare con la fantasia, bhe’ ero molto bravo e non avevo bisogno di additivi chimici, mi bastava ascoltare e immaginare le montagne afgane o le palme delle spiagge incontaminate di Goa  pensando che un giorno magari ci sarei andato anch’io.

 

GIORNO 1:

Ancora una volta in India per lavoro e ancora una volta mi sono ritrovato a pensare dove trascorrere il weekend. In realta’ questo giro di dubbi ne ho avuti pochi, ho prenotato un volo con una compagnia low cost indiana verso Goa; 2 giorni nulla piu’ ma probabilmente sufficienti per farmi un’idea del posto che immaginavo quasi 30 anni fa. La situazione e’ sicuramente molto cambiata da allora, ma resta il fascino di un luogo isolato dal resto dell’India (fu colonia portoghese fino agli anni ’60), una regione di maggioranza cattolica e stracolma di chiese, tanto che sembra di tornare in qualche citta’ coloniale dell’America Latina o del Brasile.

Scendo dall’aereo che e’ gia’ buio pesto e, vista l’ora, cerco un taxi che mi porti verso sud, piu’ precisamente alla spiaggia di Palolem a 70Km da qui. Fortunatamente esiste una piccola agenzia con tariffe pre-pagate per i taxi, evito cosi’ di perdermi in estenuanti trattative ed in fondo le 900 rupie mi sembrano piu’ che ragionevoli.

Dopo un breve rettilineo la strada si biforca in due dirigendosi da una parte verso la capitale Panjim dall’altra verso Margao e il sud, la mia direzione. In pochi Km la strada diventa scarsamente illuminata e la vegetazione e’ rigogliosissima, tanto che ai lati ingloba ogni visione; mi sembra di essere fuori luogo, i nomi portoghesi e soprattutto il caldo mi fanno venire voglia di una caipirina piu’ che di una fresca Kingfisher.

L’autista guida come un pazzo nell’oscurita’ piu’ totale e in alcuni momenti penso veramente che questo e’ il mio ultimo viaggio; chissa’ poi perche’ proprio in quei momenti pensi o ti vengono in mente le cose piu’ assurde del tipo “Cazzo, devo fermarmi a prelevare !!!” … Gia’ prelevare … ma dove ???

Grazie al cielo arriviamo a Margao che e’ circa a meta’ strada verso Palolem e mi dedico alla ricerca di uno sportello VISA e ad un breve messaggio a mia moglie Paola evitando la descrizione del pilota di rally che ho trovato.

Eccolo la’ finalmente, ben illuminato uno sportello automatico che fa al caso mio, peccato che tutte le indicazioni una volta inserita la tessera siano in Indy ! Non ci capisco una fava e vado un po’ ad intuito (ma quale poi ...), fortunatamente le cifre sono in caratteri occidentale e con la speranza di non aver fatto chissa’ quale altra transazione ottengo i miei soldi.

Ricomincia il rally nel buio piu’ assoluto, ogni tanto si incontra qualche villaggio e qualche casa poco illuminata ma nulla piu’. Chiedo mille volte di rallentare un po’ con l’effetto di tornare a velocita’ ragionevoli per qualche minuto per poi pero’ correre di nuovo. Fortunatamente la strada si fa piu’ bella poco prima di Palolem dove arriviamo verso le 21.

In realta’ il taxista non sa neanche dove sia il Cozy Nook (ma che razza di nome e’ ???) e mi lascia alla fine di una strada sterrata tentando di convincermi ad andare in un hotel che lui conosce bene, molto economico, pulitissimo, bla bla bla … Ho letto sulla Lonely Planet di questi bungalows sulla spiaggia e voglio provarli, il Cozy e’ situato alla fine della lunga spiaggia di Palolem, nell’estremita’ settentrionale.

Pago 10 Rupie ad un ragazzino per accompagnarmi e, data la numerosita’ di costruzioni sulla battigia e il buio, rischierei di perdermi e non ho certo voglia di girare troppo a lungo con lo zaino in spalla.

Il percorso e’ abbastanza breve e arriviamo in un luogo che mi sembra la scenografia del famoso film “paradise”.

Il cielo stellato e la luna piena creano un’atmosfera magica intorno a queste vecchie costruzioni immerse nelle palme, non si vede in giro nessuno se non la proprietaria che, insonnolita, mi da la chiave per il mio bungalow, non prima di aver pagato le 800 Rupie richieste.

In realta’ l’interno della costruzione si rivela per quello che e’: una baracca diroccata, con un letto umido e non proprio pulito e il bagno ... bhe’ meglio tralasciare i particolari. Appoggio il mio zaino di fianco al letto ed esco immediatamente alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma non faccio molta strada. La spiaggia e’cosparsa di locali ed entro nel primo che mi ispira di piu’. Ho una sedia e un tavolo sulla sabbia e il tutto viene illuminato da poche luci e molte candele .. peccato in questa circostanza essere da solo.

Ordino un tonno e una birra ma quando dopo piu’ di un’ora non arriva nulla,  a parte la birra, inzio a scocciarmi e a chiedere ma la risposta e’ sempre la stessa … “Sorry Sir the tuna requires a lot of time to be well cooked” .

Mah ! 

A me il trancio di tonno piace poco cotto altrimenti risulta troppo legnoso e ci si mette pochi minuti per cucinarlo.

Ordino un’altra birra ed ecco finalmente arriva la mia pietanza e … rimango impietrito.

Mi hanno portato un tonno intero cotto alla brace !!!!!!!

Saranno almeno 7 o 8 Kg … inizio a mangiare scartando coda e testa, quasi non ci credo e mi metto a ridere da solo. Non tarda ad arrivare compagnia e un cane da sotto il tavolo mi guarda con occhi languidi e bolle alla bocca … bhe’ diciamo che ho trovato qualcuno con cui dividere gli avanzi.

Ovviamente non finisco il tutto, anche se ne mangio buona parte, anzi ne mangiamo buona parte, alla fine siamo esausti e il mio cane di compagnia e’ stravolto a pancia all’aria.

Il conto ?? 400 Rupie (8 Euro) di cui la meta’ per la birra, in Italia una cena del genere mi sarebbe costata centinaia di euro. Anche questa e’ l’India e mi riavvio lungo la battigia nel buio piu’ totale con la pancia piena e qualche senso di colpa verso chi muore ancora di fame in questo incredibile paese.

Guardo il mio bungalow, che mi sembra molto una capanna viste le condizioni, ma non importa il luogo e’ magnifico e sono stanco, mi addormento ancora vestito sotto la zanzariera.

 

GIORNO 2:

La luce del giorno filtra fastidiosa tra le assi mal unite del bungalow e mi sveglia dopo una notte non proprio tranquilla.

Mi ritrovo le ossa scricchiolanti e una faccia che sembra pesta, guardo l’ora …  “Cavolo non sono nemmeno le 6 !”.

Mi lavo la faccia in una specie di tinozza nel bagno che dovrebbe fungere da lavandino e poi esco. Il sole e’ ancora basso sull’orizzonte e illumina di sfumature rosate la sabbia e il mare ne fa da contorno turchese.

Resto per qualche minuto seduto su uno scheletro di una vecchia barca ad osservare, godendomi l’insolita quiete e la leggera brezza marina che scuote la foresta di palme alle mie spalle. Sembra proprio un paradiso, anche se ben presto la spiaggia verra’ pacificamente invasa da una moltitudine di persone al lavoro, in cerca di relax o a fare due chiacchiere, in India la solitudine sembra una parola sconosciuta.

Ritorno lentamente verso la mia capanna e mi sdraio sul letto in attesa di un’ora piu’ consona per cercare di fare colazione .. leggo e mi addormento ancora per un’ora.

Ci sono piu’ locali  e piccoli ristoranti sulla spiaggia che persone, in effetti il turismo ha invaso anche queste zone portando benessere ma anche  scempio edilizio e maggiore disuguaglianza sociale sempre che in India possa ancora peggiorare.

Mi fermo su un terrazzino con una spremuta di frutta e una crepe dolce e in attesa di decidere cosa fare, mi godo il via vai di persone e la frenesia dei pescatori intenti a caricare piccoli furgoni con il frutto del loro lavoro.

Decido di non decidere nulla e non fare nulla se non camminare …

La spiaggia e’ lunga e descrive una splendida mezzaluna di sabbia, tempo ne ho, quindi senza fretta mi avvio nella direzione opposta rispetto a dove sono arrivato.

Guardare in India vuol dire perdersi, cadere in uno stato sub cosciente in cui noti i dettagli delle infinite diversita’ tra i volti della gente, tra i colori dei vestiti e della natura, tra gli odori delle spezie e quelli di improbabili profumi, guardare vuol dire osservare la vita scorrere come se il tempo si contraesse in un solo punto: quello del tuo sguardo.

Anche in altri luoghi mi e’ capitato di perdermi e guardare la gente e la vita scorrere vicino a me senza accorgermi del trascorrere del tempo, come quella volta a Chichicastenago in Guatemala dove passai piu’ di due ore seduto sui gradini di una chiesa, ma qui e’ diverso, qui mi capita piu’ spesso.

Riprendo coscienza che avro’ percorso gia’ qualche Km sulla battigia, appena in tempo per evitare una coppia di mucche scheletriche impegnate a dormire sotto un sole caldissimo; appena mi avvicino una delle due apre un occhio per vedere chi sia lo scocciatore e poi riprende nella sua attivita’ di nullafacenza. “Va bhe’ ho capito .. me ne vado !!”.

Poco piu’ avanti decido che e’ venuta l’ora di fare il mio primo bagno nell’Oceano Indiano che sulla costa occidentale dell’India assume il nome di Mare arabico, penso comunque stia meglio dire “Ho fatto un bagno nell’Oceano Indiano, o no ??” ecco ogni tanto mi perdo via in queste stupidate, chissa’ poi perche’ …

Resta pero’ il risultato, un’acqua cristallina ad una temperatura piu’ che gradevole, insomma confermo la mia prima impressione di essere in un angolo, non troppo nascosto purtroppo, del paradiso.

Mi allontano con qualche bracciata finche’ non vedo bene tutto l’orizzonte di questa mezzaluna di palme e immagino questo posto come doveva essere piu’ di 30 anni fa, quando probabilmente non c’era nulla piu’ che un piccolo villaggio di pescatori.

Esco mal volentieri dalla frescura dell’acqua, e mi stendo qualche minuto su un foulard gigante che ho acquistato prima in una bancarella e che adesso uso come salvietta da spiaggia.

Difficile quantificare il tempo quando non fai nulla, forse secondi forse ore, resta il fatto che mi desto dalla mia vita da spiaggia solo quando sento lo stomaco brontolare. Torno volentieri al piccolo ristorante sulla spiaggia di ieri sera, ma, per oggi evito il tonno!

Passo il resto del pomeriggio a girovagare senza meta e a dedicarmi alla mia macchina fotografica, in fondo qui a Palolem non c’e’ molto da fare e il paesino si riassume in poche case e molti banchetti di artigianato locale. Il tempo vola come al solito e in men che non si dica mi ritrovo a pensare a dove cenare e a trovare un’auto che mi porti a Panjim domani.

Ho sempre dichiarato di non essere contrario a provare ristoranti italiani all’estero, anzi, la considero un’esperienza culinaria spesso positiva. In aggiunta oggi ho due motivazioni in piu’: la prima e’ che Palolem ospita una dei migliori ristoranti italiani del Goa e la seconda e’ la mia ben nota avversione alla cucina indiana (amo tutto dell’India tranne il cibo !).

I prezzi abbastanza ‘indiani’ fanno il resto e in un amen ho gia’ le gambe sotto il tavolo.

Il proprietario e’ un toscano che vive qui da anni, anche se non disdegna fare avanti e indietro dall’Italia e visto che sono l’unico italiano del locale si siede con me e inizia a chiacchierare.

Oltre alla sua vita, mi racconta anche della nuova situazione politico-sociale di Goa e di come i nuovi ricchi russi stiano colonizzando il nord, la zona della famosa spiaggia di Vagator per intenderci.

Io dico poco o nulla, mangio e annuisco e quando faccio per intervenire lui continua nel suo discorso infinito; insomma e’ parecchio che non parla in Italiano e si deve sfogare con il malcapitato di turno che poi sono io.

Esco con un leggero stordimento ma con la pancia soddisfatta e trovo anche un taxi per domani disposto a portarmi a Panjim, la capitale di Goa (900 Rupie). Volevo andare come mio solito con i mezzi ma questo giro ho veramente poco tempo …so che lo rimpiangero’ ma il taxi mi permette di risparmiare diverse ore.

Sembra Natale, le luci colorate illuminano i locali sulla spiaggia e percorro non so quanto nella penombra del bagnasciuga, divertendomi ad osservare il via vai dai bar e i chiassosi ritrovi “rave” dei ragazzi del posto, alla ricerca forse di un qualche tipo di sballo. La luna fa da contraltare a questo ambiente strafottente ma spensierato dove ogni preoccupazione annega nei decibel della musica e nell’alcool della birra.

Mi fermo in un bar dove un gruppo di inglesi sta guardando una partita del Manchester United; e’ molto semplice restare coinvolti nel loro tifo e nella loro simpatia, a fine partita dopo non so quante birre ci avviamo lungo la spiaggia ognuno in una direzione diversa verso il proprio bungalow, solo che nella condizione un po’ alticcia in cui siamo la strada sembra non finire mai. Ogni tanto mi giro e la luna continua a guardarmi come a rimproverarmi di aver accusato di strafottenza quel mondo e poi averne fatto parte questa notte!

“Grazie Luna” per avermelo ricordato ma … io non sono mai stato un esempio di coerenza, soprattutto verso me stesso.

 

GIORNO 3:

E’ tempo di alzarmi, la luce filtrante ancora una volta mi perseguita e i buchi nella zanzariera sembrano quasi amplificarla.

Poco male, me ne devo andare.

Lascio questo splendido tugurio, mi carico lo zaino in spalla e quando chiudo quella specie di porta alle mie spalle provo quasi una sensazione di malinconia che mi accompagna costantemente ogni volta che lascio un luogo.

Ripercorro lentamente la spiaggia lasciandomi trasportare un po’ dai pensieri, un po’ dal peso dello zaino e la temperatura mite del mattino non fa altro che cullare questa mia andatura curvilinea.

Le solite mucche mi guardano un po’ assonnate, faccio giusto in tempo ad accarezzarne una che spunta il taxista con cui ho appuntamento e mi accompagna alla sua macchina … macchina Oddio chiamarla macchina …

Ho quasi schifo a buttare il mio zaino nel bagagliaio … e il mio zaino e’ parecchio sporco !

Mi siedo dietro e cerco di dormicchiare un po’ anche se alla fine ricado nella mia solita modalita’ di viaggio : osservo il mondo fuori dal finestrino. Appena cado in un leggero sonno ci pensa una buca e le relative imprecazioni dell’autista a riportarmi al mondo reale. Mi viene da ridere non so come possano essere le imprecazioni in India, ma qui siamo a Goa che e’ fortemente cattolica e lui ha un piccolo crocifisso appeso allo specchietto retrovisore. Bhe’ allora le imprecazioni posso gia’ immaginarle di piu’ …

Rifacciamo a ritroso il percorso dell’andata alla luce del sole questa volta con l’ulteriore differenza che il “driver” non si sente un pilota di formula 1 mancato e quindi l’andatura e’ piu’ rilassata.

Ripassiamo dopo poco piu’ di un’ora l’incrocio dell’aeroporto e dopo ulteriori 40 minuti siamo a Panjim la nuova capitale del Goa.

Mi faccio lasciare vicino ad un piccolo hotel il Mayfair, che per 735 Rupie mi affitta uno stanzino piccolo e spartano ma in ordine e abbastanza pulito.

Dopo mezz’ora di svacco sul letto decido di uscire per mangiare qualcosa e cercare un autobus che mi porti ad OLD Goa la vecchia capitale, ricca di chiese coloniali portoghesi.

Le vie hanno tutti nomi portoghesi, sembra di essere a Lisbona o Salvador De Bahia in piu’, quando arrivo sulla scalinata della chiesa di Our Lady Of Immaculate Conception, vedo una sposa vestita con il classico abito bianco con la differenza che lei e’ indiana !!! Rimango interi minuti a guardare, mi fa specie vedere un matrimonio in rito cattolico in un paese con quasi un miliardo di Indu’, sembra felice e quando mi passa vicino accenno un sorriso subito ricambiato.

Mi perdo, come sempre quando cammino con il naso per aria, tra chiesette bianche, balconi fioriti e casupole basse tipiche piu’ di regioni mediterranee.

Trovo un baracchino che vende la frutta e mi compro delle banane e una specie di limone dolce che non saprei neanche definire, approfitto per chiedere informazioni per la stazione dei bus ma le indicazioni sono vaghe e in un misto di anglo-portoghese.

Mi arrangio con la cartina della Lonely e qualche sporadica indicazione, alla fine arrivo, facendo probabilmente un giro enorme.

Faccio il biglietto di poche rupie e mi siedo sul solito, immancabile scassatissimo autobus indiano; per fortuna che il tragitto e’ relativamente breve altrimenti le mie chiappe si sarebbero tumefatte dalle continue botte che prendo. Ogni buca e’ come ricevere un calcio nel culo senza preavviso.

Inizio la visita con la chiesa di San Francesco d’Assisi costruita nei primi anni del 1500 da frati francescani ( e chi senno’ con questo nome) e poi entro nella Se Cathedral poco piu’ tarda voluta dal governatore Dom Sebastiao. Entrambe contengono interessanti dipinti e raffigurazioni lignee, tra le quali l’altare, ma nulla che mi entusiasma cosi’ tanto da fermarmi piu’ di qualche minuto. In realta’ il mio interesse va dall’altra parte della strada dove si intravede un’infinita distesa di rovine, frutto della devastazione dell’inquisizione spagnola. Per ora continuo la mia visita su questo lato e mi dirigo verso la chiesa di San Cajetan (una San Pietro in piccolo) e verso il molo del Mondovi River. Mi fermo parecchio alla frescura della boscaglia ad osservare il via vai di gente e le barche passare. Un cucciolo di scimmia si avvicina e gli regalo una delle banane che avevo comprato; passo il tempo cosi’ nella nullafacenza totale a guardare il mondo che si muove davanti, per una volta non lo seguo e mi siedo in disparte.

Sono altrove con la testa e mi accorgo che e’ tempo di muovermi solo quando la scimmia si avvicina di nuovo in cerca di cibo e mi scuote dal torpore in cui sono precipitato.

Il caldo si fa di nuovo opprimente una volta fuori dall’ombra della boscaglia e impiego quella che mi sembra un’eternita’ ad arrivare alla basilica di Bom Jesus che contiene le spoglie di Francesco Saverio evangelizzatore delle colonie portoghesi in Oriente.

Esco presto anche da questa chiesa e mi dirigo verso le rovine della chiesa di St Augustine, costruita nel 1600 da frati Agostiniani e poi abbandonata e caduta in rovina 2 secoli piu’ tardi quando il governo portoghese decise di espellere alcuni ordini religiosi da Goa.

Al solito amo aggirarmi tra le rovine, colonne, archi in pietra, parti di altari  e torri diroccate. Ci perdo piu’ di mezz’ora prima di visitare il vicino convento di Santa Monica e riavviarmi sulla polverosa strada del ritorno.

Autobus non se ne vedono e mi siedo su un marciapiedi all’ombra di una pianta immensa, prima o poi arrivera’ …

E infatti dopo piu’ di mezz’ora eccolo, all’orizzonte, stracolmo di gente, non entra nemmeno un moscerino e cosi’ mi appendo alla scala esterna visto che il tetto e’ gia’ pieno. E’ incredibile come il bigliettaio riesce a raggiungermi pure li per pagare le poche rupie richieste. In fondo la sistemazione non e’ neanche malaccio e il vento attenua la pesante calura pomeridiana. Ad ogni buca temo per il mio zaino con la macchina fotografica ma in fondo l’andatura e’ abbastanza tranquilla ed evita a tutti forti scossoni.

Arrivo alla stazione di Panjim con un braccio informicolato e i vestiti ricoperti di polvere. Avrei probabilmente bisogno di una doccia ma e’ relativamente presto e mi avvio a fare un itinerario a piedi di circa un’ora che attraversa i quartieri di Fontainhas e Altinho da dove si gode una splendida vista sulla citta’ e dintorni essendo un quartiere di ricchi posizionato su una collina .. un po’ come Beverly Hills. Ho il tempo di visitare anche il Maruti Temple consacrato al dio scimmia Indu’ Hanuman anche se devo sloggiare velocemente per l’incombenza di una cerimonia, nessuno mi dice nulla ma voglio evitare spiacevoli inconvenienti. Sinceramente non saprei bene nemmeno come comportarmi e magari la semplice mia presenza potrebbe infastidire qualcuno anche se trovo generalmente l’India un paese molto tollerante con tutti. Non serve ricordare i sanguinosi scontri tra Indu’ e Musulmani ma questo e’ un altro discorso.

Arrivo all’albergo che ormai e’ tardo pomeriggio e prima della stra-necessaria doccia mi cerco un taxi che domattina presto mi riporti in aeroporto; 500 Rupie mi sembra un furto ma qui sembra che tutti siano concordi a chiedere le medesime tariffe senza margine di contratto e va bhe’ in fondo chissenefrega.

La via del ritorno e’ buia e poco illuminata e ogni tanto qualche lampione getta luce nell’oscurita’ serale; noto la mia immagine nella vetrina di un negozio e mi vedo stanco della lunga giornata, impolverato e con lo zaino in condizioni pietose; mi rivedo cosi’ ragazzino quando tornavo in casa pieno di terra del cortile dove giocavo e mi fermavo su quelle famose scale a sentire i racconti di Goa, con la sola differenza che allora non avevo uno zaino in mano ma il pallone di calcio.

 

 

Andrea

atahualpa70@gmail.com

 

 

 

 

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