Le grotte della concordia
India
Diario di viaggio
Ancora una volta l’India incrocia il mio cammino di
esplorazione del mondo e ancora una volta ne rimango stupito. Questo e’ un
paese che non finisci mai di vedere e, un po’ come l’Italia, ogni volta che
ci torno decido una nuova meta ma, nonostante questo, mi accorgo che il mio
elenco di luoghi e’ sempre tanto lungo.
L’India e’ difficile che deluda, se ti immagini come
possa essere un posto, cosi’ ti appare appena lo vedi e non ti trovi a gestire
la disillusione, gran brutta bestia da affrontare. Spesso, infatti, mi sono
creato delle immagini nella mia mente e altrettanto spesso la realta’ e’
stata molto diversa da quella astratta e sono rimasto cosi’ con quell’amaro
in bocca che solo le aspettative mancate sanno lasciare.
L’India pero’ no, non mi ha mai lasciato nessun amaro in
bocca se non grazie a qualcuno dei suoi cibi speziati che cosi’ poco apprezzo
o per i quali ho addirittura un rifiuto. Qui non vorrei aprire una parentesi
culinaria ma nonostante i numerosi viaggi non mi sono mai abituato al cibo
indiano, proprio non mi piace per non dire peggio, questo puo’ essere
considerato forse un mio limite o forse e’ un mio limite che pero’ rimbalzo
volentieri sull’India. Amo tutto di questo paese … tranne il cibo.
Un pomeriggio dei primi di Gennaio ero sul divano a leggere
per cercare una meta nel mio prossimo viaggio indiano del mese successivo e
casualmente era accesa la televisione con le solite immagini di scontri a Gaza e
in tutta la Cisgiordania. Mi ricordo che pensai a come la miccia religiosa possa
innescare continue violenze e soprattutto intolleranze in Israele come in molte
parti del mondo. La religione e’ il mezzo piu’ usato per rivendicare gli
egoismi o il desiderio innato dell’uomo di sopraffazione sul suo simile;
sfogliavo un libro sui patrimoni Unesco e mi fermai alla pagina riguardante le
Grotte di Ajanta ed Ellora “… un luogo dove vissero pacificamente in contemporanea tre religioni
diverse come il Buddismo, l’Induismo e il Jainismo”.
Forse la televisione per una volta mi e’ stata di aiuto e
mi ha suggerito un luogo che ha fatto della tolleranza religiosa e del reciproco
rispetto il principale scopo del vivere comune … deciso … ci andro’ … Ma
?? Dove si trovano esattamente ? Devo capire bene come arrivarci visto che come
al solito, per lavoro, saro’ vicino a Delhi.
L’alternativa possibile era visitare il tempio del sole a
Konark affacciato sul golfo del Bengala nello stato dell’Orissa, esattamente
all’opposto geografico rispetto alle grotte, relativamente vicine a Bombay o
Mumbay sul mar Arabico nella regione del Deccan. L’effetto TV e gli orari
aerei favorevoli mi hanno indotto a scegliere la visita alle grotte. Il tragitto
comunque non sara’ una passeggiata e sfruttiamo le compagnie low cost indiane,
da Delhi a Mumbay con Air Deccan il venerdi sera; da Mumbay a Auraghabad con Jet
Airways (la citta’ con aeroporto piu’ vicina alle grotte) il sabato mattina;
da Auranghabad a Delhi con Indian Airlines la domenica sera. Il totale di circa
250Euro non e’ proprio “Low” ma comunque e’ anche un bel tragitto in
termini di distanza, in piu’ solo la prima compagnia (Air Deccan) e’ una
vera Low cost che abbiamo pagato grazie ad un collega indiano perche’ dal sito
non accettano carte di credito internazionali.
Al mio viaggio si sono aggiunti anche due colleghi di lavoro,
all’inizio ero piuttosto scettico in quanto sono abituato ad andare in giro da
solo o con persone che conosco bene e adatte ai miei ritmi, in realta’ invece
si sono dimostrati di grande compagnia e di ottimo spirito di adattamento e
ripensandoci ora sono veramente contento di aver fatto questa esperienza con
loro.
All’uscita degli arrivi Nazionali dell’aeroporto di
Mumbay ci attende il solito caos indiano con clacson strombazzanti ed una fila
interminabile di tuk tuk e di clienti in attesa di un taxi. In teoria doveva
esserci l’addetto dell’Airport Hotel (ben 70 Euro per camera) ad attenderci,
in pratica non vediamo nessuno e ci mettiamo in coda per salire su un tuk tuk.
E’ gia’ buio nonostante non siano ancora le 5 di pomeriggio ed abbiamo
scelto un hotel vicino all’aeroporto visto che domani il volo per Auranghabad
e’ nella prima mattinata (8:00).
Ci si avvicina un tizio baffuto un po’ furtivo che chiede
se vogliamo salire sul suo taxi parcheggiato dall’altra parte della strada e
che la coda per i tuk tuk durera’ almeno un’ora. All’hotel ci porta con
300Rp, gli dico di andarsene che l’hotel e’ a meno di 3Km da qui e piuttosto
aspettiamo un’ora in coda … invece … in 10minuti siamo gia’ a bordo di
un mezzo e con 100Rp il ‘driver’ci porta in Hotel… le solite piccole
furbizie indiane un po’ ingenue e mal celate, in questo credo debbano fare un
corso in Italia, diventerebbero ricchi. Ho dei ricordi anche della Thailandia
dove la continua ricerca di fregare il turista con sotterfugi poco furbi e molto
ingenui era piu’ motivo di stress che di effettivo pericolo. Situazione
diversa invece l’ho incontrata nel latino-america dove, in quanto a trucchi e
furbizie, non sono secondi a nessuno o forse solo a noi italiani.
Ci impieghiamo un po’ a trovare l’albergo sia perche’
e’ un po’ imboscato in una vietta dietro l’aeroporto sia perche’
l’autista mastica pochissimo inglese e facciamo fatica a capirci (il nome
“airport” dell’hotel non aiuta certo).
Lasciamo le valigie in camera e ci ritroviamo in strada alla
ricerca di un taxi per un giro serale della citta’. Siamo alla ricerca di una
“Ambassador” che prontamente si ferma e da cui esce uno spilungone con una
tunica bianca e barba lunga; ci accordiamo con 500Rp per un giro della citta’.
Bombay ti entra subito in gola con il suo inquinamento, la
sua bolgia infinita di auto un cielo che sembra nero dalla polvere che
un’urbanizzazione insensata e anarchica ha prodotto nel corso degli ultimi
anni. Dieci, dodici chi dice sedici milioni di persone vivono qui in questo
sterminato agglomerato urbano e sub-urbano fuori da ogni controllo. Eppure
questa e’ la patria dei ricchi indiani di quella classe industriale che come
la Tata fattura centinaia di milioni di dollari l’anno; eppure questa e’
anche la patria di attori e attrici di Bolliwood che vanta una produzione
cinematografica di molto superiore alla controparte americana con quei film
lunghi e melensi e un po’ tutti uguali che agli indiani piacciono tanto.
Questo un tempo era il porto tra i piu’ importanti dell’Impero britannico
che aveva fatto dell’India la sua colonia per definizione. In nessun posto
forse come Mumbay vedi i contrasti di questo immenso paese, tra i vecchi ricchi
con generazioni di industrie alle spalle e i nuovi, emergenti dal cinema e dalla
new economy; e poi lo sterminato formicaio dei poveri in attesa di
un’occasione per emergere dalla buca in cui vivono o semplicemente dalla
speranza che qualcuno noti la loro esistenza. Bombay e’ anche una citta’ di
giovani con code infinite davanti ai cinema in attesa di vedere un nuovo film e
i propri beniamini di celluloide, con magari la segreta speranza, ma neanche
troppo, di emularli … un giorno.
Respiro male e la saliva nerastra denota la cappa tremenda di
smog che si forma ad ogni ingorgo cittadino, vogliamo raggiungere il mare ma ho
la sensazione di non arrivarci mai, che il traffico sia infinito e che una
qualunque direzione non porti a nulla se non in un nuovo ingorgo, in una nuova
bolgia chiassosa di auto.
Qualcuno diceva che raccontare Mumbay non ha senso perche’
rischi di cadere in una continua contraddizione fatta di lode e infamia di
speranza e di miseria. Eppure qui hai la sensazione che non tutto e’ perduto
che qui puoi trovare anche l’America e vivere secondo canoni e schemi mai
pensati prima, fuori dal ghetto di lamiere e di capanne in cui magari la tua
miseria ti confina.
Forse e’ per questo che Mumbay continua a vivere alla
grande nutrendosi, in gran parte, solo delle proprie contraddizioni.
Finalmente il mare, siamo lungo la Marine Drive, facciamo
parcheggiare l’auto e scendiamo tra un bagliore infinito di luci giallo,
rosso, blu e verde, un groviglio di tubi luminescenti, come quelli che noi
usiamo a Natale, che circonda decine di banchetti alimentari e qualche giostra
ai margini della spiaggia. Togliamo le scarpe e ci facciamo largo tra la gente
che qui ci ignora non fa caso che siamo gli unici stranieri e forse questo fa
parte del carattere cosmopolita di questa citta’. La spiaggia e’ larghissima
in questo punto e descrive una mezzaluna che si perde all’infinito a destra e
a sinistra in una miriade di luci costiere e probabilmente Bombay non finisce
certo la’ dove il mio sguardo coglie l’ultima luce distante non so quanto.
Camminiamo senza meta tra qualche rifiuto e ragazzini che si rincorrono,
cercando magari di fare qualche foto; svogliatamente arriviamo presso un bidone
che di spazzatura ne accoglie poca, ma in compenso e’ in una posizione
strategica a meta’ della battigia tra le luci accecanti della strada e il buio
della notte vicino al mare. In questo momento ti sembra ti poter abbracciare la
citta’ che si perde all’infinito davanti a noi.
E’ tempo di tornare alla macchina.
Tempo fa avevo visto un film, di quelli da poco impegno
mentale, in cui una delle solite ‘bellone’ Holliwoodiane faceva un bagno
immersa nella schiuma di una stanza di un hotel a Bombay e dal cui balconcino
privato si vedeva una magnifica vista sul mar Arabico e parte della citta’.
Quel hotel e’ il Taj Mahal magnifico e lussuoso al tempo
stesso con un’architettura che ricorda i palazzi dei maraja ed elementi
decorativi comuni anche con i nostri edifici rinascimentali.
Costruito nel 1903 vicino al “Gate of India”, gode di una
delle posizioni piu’ spettacolari che si possa immaginare affacciato sul mare
Arabico e sulle mille luci della baia di Munbay.
Ha ospitato tutte le piu’ grandi personalita’ in visita
qui, primi ministri, capi di stato, attori e anche gente comune attirata dal
richiamo di un hotel che costituisce un pezzo di storia dell’impero britannico
prima e dell’India adesso. Camminiamo con il naso all’insù per ammirare le
splendide architetture dell’Hotel immerse nell’illuminazione serale e quasi
non ci accorgiamo della silenziosa presenza ai nostri piedi di decine di grossi
scarafaggi che corrono all’impazzata alla ricerca di un rifugio fra le fessure
del marciapiede o in qualche buco di fogna per evitare di essere calpestati o
schiacciati da un’auto.
Ci fermiamo qualche minuto anche al ‘Gate Of India ‘ e
poi ci riavviamo alla macchina con direzione per la famosa Victoria Station.
Dichiarata patrimonio dell’Unesco e costruita a partire dal 1888 in stile
gotico-vittoriano, questa stazione dei treni e’ attualmente una delle piu’
grandi dell’India e di sicuro la piu’ bella e impressionante.
La modernizzazione, anche attraverso un notevole sviluppo
ferroviario, fu una delle eredita’ piu’ positive lasciate dall’impero
britannico all’India che fino ad allora si muoveva lentamente attraverso poche
strade praticabili e improbabili mezzi di trasporto. Lo scopo principale non era
certo etico, infatti, i treni erano usati per velocizzare lo spostamento delle
truppe, ma comunque la fitta ragnatela ferroviaria e’ rimasta come e’
rimasta questa splendida stazione. Non ho mai amato visitare luoghi in orari
notturni se non altro perche’ le foto non vengono mai come vorrei, ma sia qui
che l’hotel Taj Mahal sono veramente suggestivi e forse di notte esprimono il
meglio con la loro incredibile illuminazione. Per arrivare a vedere l’interno
della stazione dobbiamo scavalcare una miriade di senzatetto gia’ avvolti
nelle loro coperte in previsione della notte e dello sbalzo termico che in
questa stagione si fa sentire anche qui a Mumbai.
Mi sembra di vedere un film ambientato nell’ottocento
modello Phileas Fogg nel giro del mondo in ottanta giorni. Le varie impalcature
di ferro battuto, i vecchi treni fermi in stazione e gli orologi tondi appesi ne
sono una bella testimonianza.
Ritorniamo verso l’albergo in cerca di un posto dove
mangiare, purtroppo la nostra breve esplorazione di Mumbai finisce qui, ci
vorrebbe piu’ tempo ed mi resta il rimpianto di non essere andato all’isola
di Elephanta ma forse e’ giusto cosi’ almeno mi rimane la voglia di tornarci
un giorno, magari neanche troppo lontano nel futuro.
Non pensavo Fabio mangiasse cosi’ tanto, soprattutto che
mangiasse con gusto questa poltiglia indiana, eppure mi stupisce e ride di gusto
guardando il mio involucro intonso e neanche aperto. Glielo tirerei in testa, ma
poi desisto da tutte le cattive intenzioni e mi concentro sulla giornata di
oggi. Il volo verso Aurangabad e’ breve e all’arrivo contrattiamo con un
autista per portarci subito alle grotte di Ajanta distanti piu’ di 100Km.
Cercheremo al ritorno una sistemazione per la notte. Con circa 1200Rp prendiamo
una macchina senza Aria condizionata tanto il caldo secco non e’ fastidioso.
In India c’e’ un ricarico pazzesco se l’auto su cui viaggi e’ dotata di
aria condizionata o meno. Probabilmente sono abituati con turisti iper
sofferenti al caldo e il condizionamento e’ un sollievo, anche se spesso e’
esagerato e rischioso per la salute. Noi forse siamo abituati a climi peggiori,
in ‘Padania’ d’estate c’e’ una tale umidita’ che qualsiasi
temperatura ti rende faticoso qualunque movimento. In India nella stagione secca
le temperature sono sicuramente piu’ elevate, ma il basso grado di umidita’
rende il clima tollerabile se non piacevole … almeno per noi.
La strada e’ una striscia di asfalto in mezzo al niente ed
ogni tanto incrociamo qualche paese o qualche altro mezzo nel senso opposto. La
piacevole frescura del mattino presto lascia posto ad un caldo mai troppo
opprimente ed il tempo trascorre piacevolmente tra una sosta e due chiacchiere
scambiate tra noi. Ci vogliono comunque piu’ di due ore per arrivare a
destinazione e qualche sorpasso azzardato di troppo ci impedisce un rilassamento
completo dopo la levataccia di stamattina.
La voglia e la continua curiosita’ per il paesaggio
circostante comunque non mi permetterebbe lo stesso di dormire in piu’ il
continuo via vai di mezzi stracarichi di merci, persone sul ciglio della strada
a far nulla o in attesa di chissa’ chi e l’attraversamento di bestiame sono
sicuramente svaghi visivi nella noia del percorso.
L’ampio parcheggio in lontananza ci indica che la meta si
avvicina sempre piu’ e l’autista ci scarica nell’ampio piazzale dove a
piedi ci dirigiamo verso un bus che per poche rupie ci portera’ verso
l’ingresso.
L'ambiente che fa da cornice al complesso è assolutamente
unico. Le grotte sono state infatti ricavate nell'ansa a ferro di cavallo
scavata nei millenni dalle acque di un fiume ormai prosciugato tra il II sec.
A.C. e il VII sec. D.C. nel periodo Gupta.
Le grotte sono state nascoste per secoli dalle fitte maglie della giungle che un
tempo copriva l'altopiano, fino a quando una spedizione inglese durante una
caccia alla solita tigre le portò alla luce nel 1819. Uno dei templi porta
ancora oggi le firme incise sulle pareti dai membri del gruppo di scopritori.
Il complesso di Ajanta conta una trentina di grotte, la
maggior parte caratterizzate da pitture su intonaco molto raffinate. Le più
importanti sono quelle buddiste, capaci di ospitare in tempi remoti fino a
duecento monaci e altrettanti artigiani.
Ogni grotta, infatti, e’ decorata con affreschi o sculture
e alcune avevano anche gli ambienti per ospitare i monaci come le celle per
dormire o ambienti comuni piu’ grandi.
Nella grotta numero 1 troviamo un gruppo di turisti con una
guida alla quale ci accodiamo anche noi nella speranza di carpire una serie di
dettagli che i libri non possono certo dare e tantomeno rendere l’idea visiva
nella descrizione.
L’ingresso ad ogni tempio/grotta prevede il solito rituale
in cui le scarpe vengono lasciate all’esterno e qualche volta la temperatura
della pietra provoca saltelli veloci nelle persone o corse per arrivare
all’ombra.
Le composizioni sono complesse e a volte macchinose ma sempre
accortamente controllate, o almeno non mi danno un’idea di casualita’; tutta
la superficie disponibile è occupata dalla pittura, pochissimi sono gli spazi
lasciati liberi tra figura e figura.
In questo ammasso di dettagli
si fa fatica a distinguere, a prima vista,
una linea conduttrice, ma la guida cerca di tracciare la storia di ogni immagine
e cosi’ il tutto ci appare un po’ piu’ coerente, dipanando un filo logico
tra il groviglio di personaggi presenti in ogni affresco.
A volte mi rendo conto della mia ignoranza
e di quante cose non conosco, amo la storia un po’ meno l’arte, ma ho
comunque dei buchi culturali impressionanti e affronto spesso situazioni come
queste con scarse informazioni che poco aiutano nella comprensione del luogo.
Un po’ quindi la guida e un po’ la mia
immancabile Lonely Planet ci aiutano in ogni grotta a configurare gli eventi
affrescati in cui spesso ed immancabile viene ricostruita la vita terrena del
Buddha.
Apprendiamo anche che i monaci non sarebbero mai stati in
grado finanziare tutte queste opere ai migliori artigiani e artisti del luogo se
non ci fosse stato il patrocinio dei re o raja locali che benevolmente
infondevano i quattrini necessari, nè può sorprendere, allo stesso tempo, che opere di così profana bellezza
(ci sono anche alcune scene erotiche e/o di violenza) adornino le pareti di
ambienti religiosi: è il risultato dell'alleanza tra la classe dei
ricchi mercanti , particolarmente forte nelle regioni occidentali
dell'India con la comunità buddista e con la corte. Una corte fortemente legata
alla sua ortodossia braminica (percio’ indu’) ma che certamente non
lesinava il suo appoggio all'ordine monastico, che era ancora l'espressione
della classe egemone, soprattutto in quel periodo di regno della dinastia Gupta.
Sebbene sotto la dinastia Gupta la
religione ufficiale fosse l’induismo, essi si dimostrarono molto tolleranti e
benevoli verso le altre religioni, in particolare il buddismo ed Ajanta ne fu un
esempio nonostante una posizione geografica ai margini meridionali
dell’impero.
Arriviamo cosi’ all’ultima
grotta inclusa nella visita guidata ed iniziamo a questo puntoun nostro percorso
abbastanza casuale tra quelle rimanenti in cui troviamo diverse sculture
raffiguranti il Buddha in varie posizioni. Molte grotte hanno la
particolarita’ di un soffitto scavato ad arco con in rilievo un lunga linea
centrale e dei segmenti arcuati laterali, sembra una colonna vertebrale con le
relative costole o lo scheletro rovesciato di una nave.
Il caldo si fa sentire e a volte
ci attira piu’ la frescura delle grotte che il loro contenuto; decidiamo
comunque di scendere verso il basso fino a dove il fiume descrive un’ansa,
attraversare il ponte e arrampicarci sull’altra parete di questa specie di
canyon, per godere cosi’ di una splendida visuale sulla cima opposta alle
grotte. Ci riposiamo qualche minuto e poi cominciamo la discesa che ci riporta
verso il fiume e poi lentamente verso l’uscita. Incontriamo diversi turisti
stranieri come noi, ma la gran parte sono tanti turisti indiani che vengono a
scoprire le ricchezze del loro paese, dopo decenni di buio in cui importava
certo di piu’ arrivare a fine giornata avendo mangiato qualcosa. In quei
tempi, il pensiero era ben lontano (almeno per gran parte di loro) dal
riscoprire i luoghi che raccolgono le spoglie del loro lontano passato. Una
buona parte di questo turismo indiano e’ rappresentato dalle scolaresche,
sempre presenti in tutti i luoghi che ho visitato in questi anni in India; la
riscoperta delle tradizioni e della cultura parte proprio dal basso e forma una
nuova base di giovani consapevoli del proprio passato e piu’ preparato alle
sfide che l’India sta raccogliendo nell’ambito dell’economia mondiale.
Gia’ adesso e’ un pease che
corre sulle ali della “new economy”e la consapevolezza del proprio passato
e’ comunque una ricchezza che non dovrebbe isolarti nella tua tradizione e
chiudere le porte verso il nuovo o il diverso, ma che ti mette al riparo dagli
errori di ieri e accumula esperienza storica. Questo in India lo sanno bene e
forse dovremmo impararlo anche noi italiani. Non per niente e’ l’unico paese
con passato coloniale a non avere rivendicazioni di carattere economico o morale
verso l’occupante. L’India non piange il proprio recente passato ed e’
stata in grado di voltare pagina senza rancori o “sindromi di calimero”
riconoscendo addirittura anche cio’ che di buono c’e’ stato
nell’occupazione. Questo pero’ senza cancellare il ricordo ma semplicemente
usarlo a proprio favore per andare avanti.
Il passato di queste grotte non
e’ certo recente, ma molto remoto nel tempo, e’ pero’ uno stimolo per la
propria identita’ e diversificazione nel rispetto delle altre culture o altre
religioni.
Che fame !!!
Il tempo vola quando mi perdo in
queste riflessioni e tutto sommato mi rendo conto di non essere di ottima
compagnia ma non ce la faccio, e’ piu’ forte di me, specie quando visito un
sito archeologico tendo a perdermi e non a visitarlo.
Ci fermiamo nel bar vicino
all’ingresso dove aprire il menu’ e’ un’impresa visto che le pagine
collose e unte restano spesso appiccicate tra loro.
I residui di cibo lasciati nei
piatti da altre persone si riempiono subito di mosche e noi tre al momento
dell’ordinazione ci mettiamo a ridere per non pensare a cosa manderemo giu’.
Ripercorriamo a ritroso il percorso fatto fino
all’auto e poi ci riavviamo sulla strada del ritorno verso Aurangabad
. Le solite due ore di strada asfaltata ma anche molto polverosa, il caldo della
giornata incide significativamente sulla nostra stanchezza, ma siamo tutti e tre
soddisfatti della visita, semmai pensiamo adesso a dove alloggiare. Soluzione
che sembra semplice a vedere la guida data la presenza di alberghi di buona
categoria in citta’.
Non mi sembra il caso per due giorni di viaggio di scegliere
i soliti miei alberghi super-economici e poi spesso qui in India l’economicita’
non va molto d’accordo con la pulizia. Siamo anche in tre e non vorrei certo
imporre scelte magari mal condivise, forse anche da me stesso.
Facciamo una pausa durante il tragitto e ci fermiamo ad un
banchetto che vende banane, per 10 Rupie ce ne danno tante, forse troppe, ma
visto il lauto pasto di oggi sono veramente ben accette.
E’ ora di sfogliare la Lonely
Planet in cerca di un alloggio; il primo da cui passiamo e’ completo e ci
suggeriscono un altro della medesima categoria: il President Park.
Questo hotel deve aver visto tempi
migliori, la piscina, la grande hall ne testimoniano un passato di ottima
categoria, ma adesso e’ un po’ invecchiato.
Qualche crepa nei muri,
imbiancatura che sa di molto antica, arredo degli anni ’70 e camere che
profumano di vecchio. Ad ogni modo la pulizia c’e’ ed il posto e’
complessivamente buono, anche se la cifra (63 Euro) mi sembra un tantino
esagerata visto che siamo in India.
La doccia ci toglie la polvere di
dosso, ma non lava via il prezioso ricordo di questa giornata e forse neanche
l’insegnamento di pacifica convivenza che le grotte sono ancora li a
testimoniare .. basta saperlo cogliere.
Ieri sera non abbiamo mangiato
male, mi capita talmente di rado qui in India che la cena di ieri e’ stata una
di quelle che non dimentichero’ facilmente. Questo non vuol dire che e’
stata una squisitezza, ma che tutte le pietanze erano commestibili anche per me
… e non e’ poco. Merito forse di ricette derivate dalla regione del Punjab e
quindi piu’ vicine alla tradizione araba, merito forse di una scelta oculata
tra il menu’, merito forse anche del caso, resta il fatto che sono andato a
letto con la pancia piena. Al solito i due Fabi (i miei colleghi) non hanno
avuto problemi di sorta a ripulire il piatto e ammetto che un po’ li invidio
da questo punto di vista … il mio corpo pero’, rifiuta tassativamente la
cucina indiana.
Facciamo una veloce colazione in
albergo e con le valigie chiamiamo un taxi per andare ad Ellora. Questa volta il
tragitto e’ piu’ veloce, infatti, la distanza da percorrere e’ di una
trentina di Km.
Ellora e’ un insieme di grotte e
templi scavati nella roccia ed allo stesso tempo e’ un centro di
pellegrinaggio di tre religioni diverse che rappresentano il vero tessuto della
cultura indiana: il buddismo, l’induismo e il giainismo. E’ esattamente
anche questo l’ordine con cui si sono alternate e/o sovrapposte nella
costruzione dell’intero complesso, in particolare il buddismo dal 200 A.C. al
600 D.C., l’induismo dal 500 D.C. al 900 D.C. ed infine il giainismo tra
l’800 D.C. al 1000 D.C.
I periodi di sovrapposizione sono
sempre stati caratterizzati da pacifica convivenza e comunque di tolleranza
verso tutto cio’ che era preesistente.
Sicuramente un esempio da seguire,
a differenza delle piu’ grandi religioni monoteiste che tendenzialmente
distruggevano cio’ che esisteva per poi costruirci sopra un proprio centro di
culto. Ne sono un esempio Tenochitlan e Cholula in Messico o le innumerevoli
moschee in India costruite sopra templi indu’ e che ancora oggi sono la causa
principale di tensioni inter-religiose.
Ci sono circa 34 siti numerati di
cui i primi 12 sono di costruzione buddista, dal 13 al 29 sono induisti (tra
questi l’incredibile Kailasanatha) e gli ultimi 5 sono giainisti.
Se Ajanta e’ famosa per le
pitture, Ellora e’ piu’ nota per le sculture e l’immenso lavoro svolto per
scavare templi e raffigurazioni direttamente nella roccia.
In particolare il Kailasanatha
e’ qualcosa di indescrivibile, scavato in un unico immenso blocco di centinaia
di metri per lato e raffigura il monte Kailasa dimora di Shiva.
Entriamo nel tempio, non prima di
aver trascorso decine di minuti sul perimetro esterno all’ingresso in cui
figure di Shiva, di alcune divinita’ e demoni del pantheon indu’ sembrano
rincorrersi tra loro in un unico vortice scenografico. Alcuni bassorilievi sono
alti piu’ di 3 metri e mi devo posizionare piuttosto lontano per includerli
completamente nell’obiettivo della macchina fotografica. Delle colonne di
pietra indicano l’ingresso che si apre su un cortile interno in cui un unico
blocco di roccia al centro e’ stato modellato con infiniti bassorilievi e
statue, mentre la cima ospita il tempio vero e proprio al quale si accede
tramite una scalinata.
I lati del cortile sono
completamente formati da colonnati che costituiscono la parte piu’ esterna di
gallerie scavate nella roccia; anche qui i bassorilievi sono innumerevoli ed
esistono piu’ livelli di colonnati. Accedendo al piano superiore si ha una
splendida vista su buona parte del complesso. Quello che piu’ mi impressiona
sono le decine di statue di elefanti alla base del tempio-montagna centrale e i
numerosi e minuscoli bassorilievi, ricchi di tali dettagli da sembrarmi
impossibile che qualcuno possa aver scolpito in quelle dimensioni
miniaturizzate. Scene di guerra, di vita quotidiana, religiose in cui le persone
non sono piu’ grandi del mio mignolo eppure ognuno di loro costituisce un
dettaglio importante nell’immensa distesa di figure. Qui, nel Kailasanatha, il
grande e il piccolo si confondono in un tutt’uno dando vita ad un luogo unico,
in vita mia nessun posto mi ha impressionato come questo eppure di templi e
piramidi ne ho viste … Egitto, Messico, Cambogia, Peru’ non trovo un
paragone.
Non so quanto tempo siamo rimasti
lì dentro, resta il fatto che quando siamo usciti e’ stato come un risveglio,
dentro mi sentivo perso e vagavo nel cortile interno in maniera vorticosa, come
l’acqua che scende nello scarico di un lavandino, e il vortice aveva come fine
il tempio centrale, la montagna.
Sotto un sole terribile, ci
avviamo a visitare le prime grotte nell’ordine, quelle buddiste, che hanno una
stretta parentela e somiglianza con Ajanta.
Turisti stranieri non ce ne sono
molti, ma le scolaresche indiane sono veramente numerose e danno vita ad un
bellissimo quadro di colori, specie se paragonato alla nuda roccia di sfondo,
splendida nei suoi capolavori ma grigia e priva di tonalita’.
Ciondoliamo da un luogo al
successivo seguendo il semplice ordine numerico fino ad arrivare in fondo alle
grotte giainiste anch’esse ricche di decorazioni e bassorilievi ma nulla ci
appare seppur lontanamente paragonabile al Kailasanatha.
La strada del ritorno ci appare
lunga piu’ del dovuto anche a causa di una luce accecante e del sentiero
polveroso tipico di zone semi desertiche. Ci fermiamo in un baracchino
all’ingresso per bere qualcosa prima di tornare verso Aurangabad, guardiamo
fuori ed in fondo si staglia l’imponente profilo della catena rocciosa cosi’
ricca di storia e di tolleranza. Qui c’e’ un esempio da seguire, ma il resto
del mondo sembra non accorgersene ed il messaggio che porta si perde sotto
questo sole terribile e resta lì come un miraggio nel deserto.
Andrea