Marocco

Una tavolozza di colori pastello

Diario di Viaggio 2004

di Maurizio Fortunato

 

www.mfortunato.it

 

 

"Dio, tè alla menta, non c'è problema", ovvero, se Dio vuole anche oggi avremo il nostro tè alla menta, che problema c'è. La sintesi perfetta della filosofia di vita di questo popolo, ciò che più d'ogni altra cosa unisce e fonde le due anime di questa terra, la cultura araba e la cultura berbera, perché tutto accade se Dio lo vuole e qualunque problema può essere risolto davanti ad una tazza fumante di tè alla menta. Non lo troverete scritto da nessuna parte, al contrario del motto ufficiale "Dio, Patria, Re" dipinto a caratteri cubitali lungo le principali vie di comunicazione, ma credetemi, non se ne potrebbe coniare uno più vero di questo dopo aver trascorso due settimane in questa magnifica terra, che sa regalare ad ogni angolo contrasti stupefacenti. Immersi in un caleidoscopio di immagini e sensazioni colorate, con il giallo dorato del deserto che si fonde nel verde smeraldo dei palmeti, l’ocra delle kasbah che rifulge sui profili argentei di cime ammantate di neve, dove mille sfumature porpora ondeggiano tra le pieghe di un caffettano mosso da una leggera brezza, e dove il bianco candido delle antiche medine intonacate a calce si riflette negli spicchi di blu cobalto che appena si intravedono tra i tetti delle case. E quel caliginoso silenzio, così grave di echi remoti, che d'un tratto prende vita ed inizia ad animarsi, nelle frasi bisbigliate dietro una finestra socchiusa, nei grani d'un rosario che scorrono preghiera dopo preghiera, nel lento strascicare d'un vecchio che ti soppesa da lontano, e mentre cresce si fa armonia fino a esplodere nelle voci d’un mercato, nei rumori delle botteghe, qui il ritmico andare di un telaio, la il tonfo sordo del martello che incontra il metallo, li il leggero ticchettio dello scalpello che incide la pietra. In uno spazio che non esiste e di cui tu stesso sei parte vitale, mentre tutto appare e svanisce lentamente, ora al passaggio d'un carretto trainato da un somarello, ora a inseguire una frotta di ragazzini che si rincorrono vociando, ora nella fila disordinata dei turisti che procedono a fatica tra i banchi della via. Questo è il Marocco, un connubio di antico e moderno che sono parte dello stesso modo di sentire la vita, in un alternarsi di opposti, di bianco e di colore, di spazi sconfinati e di vicoli affollati, di cime vertiginose e di pianure assolate, di sapori dolci e di gusti agri,  in uno scivolare di percezioni che si accavallano e si rincorrono lasciandoti senza fiato.  Sono riuscito a darvi appena un'idea di quello che potete aspettarvi arrivando qui ? e allora, lasciatevi guidare... 

 

21 Marzo 2004     Genova - Bologna - Marrakech

Si parte.  Con un po’ di fortuna, o come si dice per una serie di circostanze legate al caso, riesco a staccare l'ultimo biglietto aereo disponibile per Marrakech, per partecipare insieme ad altri compagni di ventura al Gran Tour del Marocco di Francorosso. Uno dei giri più completi che si possano trovare in merito ( a meno di organizzarselo da soli ), due settimane di full immersion in lungo e in largo per il paese. E il caso stavolta mi ha assegnato l'aeroporto di Bologna, poco male da li non sono mai partito, lo annovererò tra le esperienze del viaggio. E' mattina presto, quando in treno mi lascio alle spalle i silenziosi vicoli di Genova, una città il cui centro storico non sfigurerebbe al confronto della più affollata medina marocchina. La città di Bologna non smentisce la sua fama d’efficienza ed in men che non si dica, anche di domenica, traghetto in bus dalla stazione ferroviaria al check-in dell'aeroporto di Borgo Panigale, in attesa del volo della Royal Air Maroc che ci porterà in meno di quattro ore a Marrakech, un nome che da solo è in grado di evocare racconti da mille e una notte, ed infatti sull'aereo scopro che ci sono persone partite per trascorrere li anche solo due o tre giorni.  All'arrivo ci attende una temperatura quasi freddina ( ma chi l'ha detto che in Marocco si muore sempre di caldo, l'inverno c'è anche qui e non scherza affatto ), la solita sfoltita al gregge e via ai pullman Gran Turismo assegnati per i vari tipi di tour in partenza. Ora vorrei chiarire, una volta per tutte, che il termine Gran Turismo assume significati e connotazioni differenti secondo la  nazionalità dei passeggeri trasportati, infatti, se questi sono italiani inizia a colorarsi di mille sfumature fino a comprendere un qualcosa che è una via di mezzo tra un pullman turistico di vetusta età  e un "ma che ce ne frega, tanto noi ci adattiamo a tutto", che poi in parte questo è anche vero, forse perché in noi "il senso del viaggio" porta in maniera naturale a cercare d’essere un po' più viaggiatori che semplici turisti. E ai piedi della scaletta del famigerato mezzo ci attende la nostra guida marocchina, il mitico Saâd, guida nazionale diplomata ed accompagnatore in varie lingue tra cui l'italiano, nonché la controfigura del bravo Tomas Milian quando recitava nei panni dell’ispettore di polizia Nico Giraldi, il famoso er Monnezza. Eh…non c'è niente da fare, penso sia una cosa insita nel modo di fare arabo, quel mix di simpatia e cortesia che alla fine ti lascia sempre in dubbio su tutto. Ti hanno guidato dove volevi andare o sei arrivato lì perché faceva comodo a loro, …è vero che non abbiamo più tempo e che dobbiamo correre, ...ma è proprio quello il miglior prezzo che potevo spuntare, …e lì, è davvero il caso di non avventurarsi da soli, e..., ma d'altra parte se hai una guida devi lasciarti guidare e tutto il resto diventa parte del viaggio, dopo tutto per il nostro Saâd il compito più importante era quello di farci arrivare sani e salvi sulla scaletta dell'aereo che ci avrebbe riportato in Italia da li a due settimane. Ciao Saâd, buona fortuna (a proposito del libro che ci hai consigliato di comprare per approfondire la conoscenza della cultura berbera "La Stella verde" di Mark Parentis, edito dalla Fabbri di Milano, nessuno ne ha mai sentito parlare, ho perfino chiamato la Fabbri stessa, ma forse è meglio così, non esistono libri che possono spiegarti ciò che comunque non riusciresti mai a comprendere fino in fondo). E' ormai pomeriggio inoltrato quando arriviamo in albergo, il moderno Atlas in ave de France nella ville nouvelle di Marrakech, sulle montagne che stringono d'attorno la città la neve non si è ancora sciolta e l'aria che si respira non lascia presagire l'imminente arrivo della primavera. Siamo in anticipo sul top della stagione turistica, ma abbiamo dalla nostra un clima migliore per girare ed un minor numero di comitive da dover incrociare, sperando solo che Giove pluvio abbia esaurito tutte le sue riserve d'acqua.

 

22 Marzo 2004     Marrakech - Essaouira

Primo giorno di tour e subito in cammino verso la costa atlantica, lasciamo Marrakech che ritroveremo al termine della seconda settimana come la classica ciliegina sulla torta. Fuori della hall ci attende il nostro bus, inutile sperare che nella notte sia stato sottoposto ad un restyling straordinario, tutti a bordo con un tempismo quasi perfetto e via con il tradizionale rituale della conta dei presenti, tante volte qualcuno fosse salito su uno di quei super deluxe con cui girano francesi e  tedeschi, tentando di bleffare invano sulle origini altoatesine del suo cognome. Ok, ci siamo tutti. Cosa facile a dirsi, meno facile a doversi stabilire per il povero aiutante di Saâd ( un simpatico ragazzo marocchino che ci accompagnerà durante tutto il viaggio e che come scopriremo più avanti vivrà per due settimane in perfetta simbiosi con il mezzo meccanico, custodendolo, pulendolo e dormendoci dentro a scanso di equivoci ), che in ogni occasione eseguirà questo compito con uno scrupolo assoluto, passando a contare e a  ricontare, avanti e indietro per il corridoio, almeno una decina di volte. Probabilmente sempre con un risultato diverso, perché al fine solo con un grande sforzo di auto convincimento riusciva a dare il via per la partenza. Questo aneddoto mi dà lo spunto per introdurre uno dei più grandi misteri di cui non siamo riusciti a venire a capo al termine delle due settimane, il funzionamento del sistema scolastico marocchino. E non perché ci sia motivo di metterne in dubbio la validità, ma perché in qualunque parte del paese fossimo, ad una qualunque delle ore del giorno ( mattina presto, mezza mattinata, mezzogiorno, primo pomeriggio, pomeriggio inoltrato, sera tardi ), non mancava mai di incontrare frotte di bambini di tutte le età andare e venire dalla scuola, in un festoso happening di corse e scherzi. Siamo perfino arrivati a pensare che avessero regolato il suono delle campanelle con l'orario dei nostri passaggi, o che magari avessero organizzato delle staffette volanti per avvisare del nostro imminente arrivo, mah... A parte gli scherzi siamo arrivati alla nostra prima sosta, una visita fuori programma che si rivelerà molto interessante. Ci fermiamo nel paesino di Sidi Moktar, sulla provinciale P10, per visitare un autentico mercato berbero che si tiene una volta la settimana e che per nostra fortuna ( o meglio per la volontà di qualcuno in alto, come ci ricorda il buon Saâd ) si svolge proprio oggi.  Siamo l'unico pullman turistico insieme con una miriade di carrettini trainati da piccoli somarelli, il mezzo più popolare tra la gente del posto, custoditi in un apposito parcheggio. Ci accodiamo al nostro Saâd ed entriamo nel recinto del mercato, compiendo al contempo un bel balzo indietro nel tempo, a contatto con tradizioni e modi radicati da chissà quante generazioni. Il mercato si tiene all'aperto ed ognuno espone la sua mercanzia direttamente per terra, disposta alla bell'e meglio su sacchi di iuta, spezie, ortaggi, frutta, oggetti e articoli per la casa, vestiti, scarpe e quant'altro, ci sono anche dei banchi fissi in muratura utilizzati per esporre e vendere vari tipi di carne che nugoli di mosche s’incaricano di assaggiare in anticipo, mentre leggermente in disparte si trovano enormi pentoloni fumanti in cui vengono immersi i polli per essere spiumati. Passiamo attraverso la folla neanche fossimo invisibili, e così abbiamo modo di osservare la reale natura del luogo senza ulteriori sovrapposizioni per turisti. Ognuno sembra interpretare un personaggio ed alcuni fanno parte di quelle rappresentazioni classiche che ci si potrebbe aspettare di vedere in una piazza del medioevo, come il cantastorie e l'incantatore di serpenti, versione moderna degli antichi giullari, o come il venditore d'acqua, che gira bardato nel suo costume caratteristico portando a tracolla l’orcio di pelle di pecora, testimone d’un mestiere completamente scomparso. Ed è un continuo salutarsi e stringersi le mani, in un evento in cui fare la spesa ( attività che vede quasi del tutto assenti le donne, come se qui andare al mercato fosse una prerogativa esclusivamente maschile ) sembra solo il pretesto per incontrarsi e tenersi aggiornati sulle ultime notizie del circondario. Ma quando il discorso scivola verso qualcosa di più intimo e personale, ecco che allora fanno ricorso ad un antico linguaggio muto, un metodo secolare escogitato dai berberi e che attraverso il contatto fisico delle mani è in grado di esprimere in maniera silenziosa quello che altri non devono sentire, per questo non meravigliatevi, se venendo da queste parti vi capiterà di vedere uomini che camminano tenendosi per mano, perché in realtà si stanno parlando. Ripartiamo poco dopo alla volta di Essaouira, con la soddisfazione di essere riusciti ad intrufolarci, anche solo per poco, in una realtà veramente autentica. Attraversiamo ora una zona con estese coltivazioni di olivi ed agrumi, mentre sui bordi della strada pascolano tranquilli greggi di capre, prima che il caldo e la mancanza d'acqua le costringano a cercare nutrimento, abili arrampicatrici, sulla cima delle basse piante di argan ( una pianta officinale largamente utilizzata in erboristeria ) per cibarsi delle foglie più tenere. Ogni tanto il profilo della pianura è interrotto dalla presenza di qualche piccolo gruppo di case, ingegnoso il modo che hanno di realizzare i covoni di fieno, fatti a forma di casa con il tetto spiovente e ricoperti interamente di argilla per proteggerli dall'acqua piovana. Arriviamo cosi sulla costa atlantica, a questa latitudine particolarmente battuta dal vento. Siamo a Essaouira, cittadina che deve la sua fama, come ci ricorda Saâd, oltre che alla sua bella e lunga spiaggia di sabbia anche alla rinomata e apprezzata lavorazione artigianale del legno, in particolare quello della Tuia, un albero della famiglia delle cupressaceae che fornisce una materia prima leggera e resistente. Tutto ciò le conferirebbe anche il titolo, sempre a detta di Saâd, di posto meno caro dove acquistare oggetti ed artigiano in legno, sarà anche vero, ma se iniziamo a comprare già adesso alla fine delle due settimane occorrerà acquistare anche una valigia supplementare ( cosa che poi accadrà puntualmente ) per portare a casa tutti i souvenir. A mio avviso Essaouira è soprattutto un ottimo punto di partenza per iniziare a visitare il Marocco, perché offre, pur nel pieno rispetto del suo essere araba, un impatto più soft che altrove. La medina, con i souq, i vicoli contorti, le botteghe degli artigiani ( in cui è possibile fermarsi ad ammirare l'abilità delle tecniche di lavorazione ), ha un aspetto tranquillo e non molto affollato, ed è possibile gironzolare qua e la senza l'assillo di dover continuamente porre un cortese diniego alle offerte di acquisto. La parte vecchia della città è chiusa verso il mare dai possenti bastioni della fortezza portoghese, testimone dell'antica dominazione, su cui si può salire per godere di un bel panorama della costa, mentre rabbiose onde s’infrangono sugli scogli sottostanti.  Proseguendo lungo le mura, attraverso uno stretto vicolo, si arriva nella grande Piazza Moulay Hassan animata da numerosi e simpatici localini, ancora pochi passi e si arriva al mercato del pesce rinomato per la sua quotidiana vivacità, nei pressi piccoli ristoranti ambulanti servono invitanti grigliate di pesce, crostacei e granchi enormi, mentre alle loro spalle nugoli di gabbiani volteggiano bassi attirati dall’incessante lavorio degli uomini intenti a pulire il pescato che da lì a poco passerà direttamente sulla griglia. Questo è anche uno dei punti migliori per ammirare il profilo della città vecchia, una chiazza di bianco, sospesa tra l’azzurro del cielo e del mare. Attiguo al mercato del pesce si apre il piccolo porto, dove ancora oggi abili artigiani costruiscono le tipiche imbarcazioni di legno utilizzate per la pesca.  E' passato da poco il primo pomeriggio, quando ci avviamo verso l’albergo. Contrariamente al programma originale, che prevedeva di arrivare nella giornata fino a Safi, ci fermiamo a dormire a Essaouira, perché, come ci informa Saâd, l'albergo previsto dal tour è in fase di ristrutturazione ed è meglio evitare di andare incontro a inutili problemi. Una combinazione del caso? La volontà di qualcuno in alto di riservarci per domani i 130 Km previsti per oggi? Un improvviso overbooking alberghiero in una città, Safi, di mezzo milione di abitanti? Ma d'altra parte, non siamo soliti dire anche noi che le vie del Signore sono imperscrutabili, e poi così il viaggio si uniforma di più al modo di pensare arabo, se Dio vuole .......... chissà cosa ci riserverà il domani. 

 

23 Marzo 2004    Essaouira - Safi - El Jadida – Casablanca

Lasciamo Essaouira e sulla vecchia provinciale che costeggia il litorale iniziamo a risalire la costa atlantica meridionale, chilometri di sabbia scura punteggiata da piccole dune che a stento sembrano riuscire ad arginare un mare rabbioso e ribollente. Il panorama scorre fuori del finestrino lasciandosi alle spalle piccoli appezzamenti, ricavati così a ridosso del mare che paiono dover essere inghiottiti da un momento all'altro. Qui viene coltivato un tipo di cipolla che per la composizione chimica del suolo e la vicinanza dell'acqua salata assume un gusto particolarmente apprezzato in cucina. La zona è scarsamente abitata e la presenza di vita si divide tra sparuti gruppi di case e greggi di pecore e capre che brucano indisturbati. Siamo quasi in vista di Safi, quando in prossimità del paesino di Souira Kedima, una località che si sta rapidamente sviluppando come centro balneare, ci ritroviamo la strada improvvisamente sbarrata da un mercato, ma nel senso letterale del termine in cui la normale carreggiata può prestarsi a diventare temporaneamente una via pedonale tra due file di banchi e bar allestiti sotto le tipiche tende berbere. E' un mercato locale settimanale, ci spiega Saâd, che normalmente si tiene in un altro giorno, ma che in via eccezionale è stato anticipato per la concomitante giornata dedicata alla festa dei bambini, in cui si è soliti regalare caramelle e dolciumi ai più piccoli. Allora è questo lo spettacolo che ci ha preparato la sorte, rimandano ad oggi i chilometri del giorno prima, una ventina di minuti abbondanti a passo di formica, incollati al finestrino a guardare quello che avviene fuori, con quelli di fuori intenti ad osservare noi che per una volta assurgiamo al ruolo di osservati da quello di osservatori. In effetti, bisognerebbe meditare sul fatto che quando andiamo in giro per il mondo a curiosare in casa d'altri, sia da viaggiatori indipendenti che con un tour organizzato, in fondo andiamo sempre un po’ a rompere i "maroni". Finalmente riprendiamo il viaggio arrivando poco dopo a Safi, una città dall’impronta moderna dedita principalmente alla pesca e alla produzione di fosfati di cui è ricco il sottosuolo. Il primo impatto non è dei più piacevoli ed arrivando da sud la città ci accoglie con il suo grande complesso industriale, eredità dello sviluppo avviato agli inizi degli anni '60 da Enrico Mattei, dove alte volute di fumo biancastro che sbuffano verso il cielo azzurro, per fortuna, a detta di Saâd, sembra che il complesso sarà presto trasferito in una zona più idonea, ammesso che ne esistano per tali mostri. Il luogo era già conosciuto all'epoca dei fenici e dei romani, ma la fondazione della città vera e propria avviene nel XII secolo per volere della dinastia dei sultani almohadi. Uno dei principali motivi di interesse è la ceramica, apprezzata e conosciuta come una delle migliori di tutto il Marocco, e la cui produzione avviene ancora oggi all’interno di antichi forni che senza dubbio meritano una visita. Sul lungomare della città si staglia l'antica fortezza portoghese di Qasr al-Bahr,  costruita nel 1508 a protezione del porto, appena dietro ha inizio la medina con i suoi souq colorati. Uscendo dalla porta settentrionale della medina stessa, Bab Chaba, si arriva a piedi d’una bassa collina, qui, arrampicandosi sulle strette viuzze, si può curiosare tranquillamente nei laboratori tra gli artigiani al lavoro, osservando le antiche tecniche di cottura della terracotta rimaste immutate da secoli. Lasciamo Safi e riprendiamo il viaggio lungo il litorale atlantico, il panorama si fa via, via più aspro e la costa sabbiosa si alterna a lunghi tratti rocciosi con alte falesie stratificate. Passiamo accanto a piccoli campi di grano dorato, separati dal mare solo da sottili strisce di sabbia rossa incessantemente sferzate dalle onde del mare, e poi a file ininterrotte di serre, non ci sono dubbi su come hanno saputo sfruttare al meglio la poca terra coltivabile di questa zona. Ci fermiamo per il pranzo a Oualidia, nota località balneare stretta tra il mare e una laguna in cui nidificano varie specie di volatili. Dopo il pranzo riprendiamo la strada verso la nostra prossima meta, la città di El Jadida, mentre la costa cambia ancora e per un lungo tratto il nastro d’asfalto lucido sfila accanto a una laguna interna sfruttata per ricavarne delle saline. Arriviamo a El Jadida che è ormai pomeriggio inoltrato. La città fondata nel 1513 con il nome di Mazagan è uno dei migliori esempi di architettura militare portoghese in Marocco, anche se in parte fu distrutta nel 1769 durante l'assedio del sultano Sidi Mohammed ben Abdallah, quando i difensori stessi ne fecero saltare gran parte dei bastioni, prima di abbandonarla al suo destino. Una delle principali attrazioni è la famosa Citerne Portugaise ( Cisterna Portoghese ), costruita nel 1541 per la raccolta dell'acqua piovana si trova all'interno della vecchia cittadella in Rue Mohammed Ahchemi Bahbai. Un soffitto a volte, sorretto da venticinque colonne, che specchiandosi sull'acqua crea un insieme di effetti suggestivi, immortalati da Orson Welles nel famoso film Otello, peccato che durante la nostra visita la cisterna fosse vuota e gli effetti in parte sfumati. Terminiamo la visita di El Jadida  con una passeggiata lungo gli antichi bastioni, godendo della vista del mare e della città dall'alto, prima di proseguire il viaggio verso l'ultima meta della giornata, la città di Casablanca. Mentre raggiungiamo il nostro albergo passiamo accanto al luogo dove nel 2003 è avvenuto il tragico attentato che è costato la vita a numerose persone, la hall e l'ingresso sono ancora presidiati da un nutrito numero di poliziotti e militari, si stringe il cuore al pensiero di quei tragici eventi che hanno trasformato un momento di piacere in una tragedia. Sono sempre più convinto che viaggiare sia anche un modo per avvicinarsi a culture diverse, per una pacifica convivenza su questo piccolo pianeta chiamato Terra.  Dopo cena uscita fuori programma per ammirare Casablanca sotto una luce diversa, in particolare la grande moschea di Hassan II che deserta e con l'illuminazione notturna assume un fascino tutto particolare, e per finire la serata cosa c'è di meglio che bere un drink nel bar dell’Hotel Hyatt, quello del film famoso di Humphery Bogart, dove c’è sempre un Sam di turno che suona l'ultima canzone.

 

24 Marzo 2004     Casablanca – Rabat

Dedichiamo la mattina alla visita di Casablanca, Anfa in arabo,  la città più grande del Marocco e quella in cui si avverte maggiormente l'influenza dell'occupazione francese, con uno stile di vita più vicino ai gusti occidentali. L'architettura coloniale dei palazzi, l'eleganza dei viali e dei parchi, la rendono nell'aspetto simile a una metropoli europea dall'aria un po’ rètro. Iniziamo il giro da Piazza Mohammed V, il fulcro della ville nouvelle di Casablanca. Qui si possono ammirare alcuni dei più bei palazzi in stile moresco risalenti al periodo coloniale, come il palazzo della Posta, il Tribunale, l'Ancienne Prefecture ed il Consolato Francese. Dopo una breve visita ad un mercato coperto, ricco di vita e colori, riusciamo ad intrufolarci, grazie ai buoni uffici della nostra guida Saâd, in un palazzo governativo per ammirare la stupenda architettura araba dei suoi ambienti e dei suoi patii, proiettati in un attimo dal caos cittadino all'interno di un'oasi di pace e tranquillità. Proseguiamo la visita della città ammirando dall'esterno il Palazzo Reale di Casablanca. Il sultano ne possiede uno in ogni principale città del paese, purtroppo non sono visitabili all’interno, anche se sembra, a detta di Saâd, che prossimamente alcuni saranno aperti al pubblico, il potere del ritorno economico del turismo. Successivamente visitiamo la moderna chiesa cattolica di Notre Dame de Lourdes, al cui all'interno si possono apprezzare delle belle vetrate artistiche, terminando la mattinata con la spettacolare Moschea  di Hassan II, proiettata con la sua mole imponente direttamente sull'oceano. Costruita per volere del sultano Hassan II, padre dell'attuale Mohammed VI, la moschea  è il terzo monumento religioso più grande al mondo. Il progetto dell'architetto francese Michel Pinseau fu portato a termine nel 1993 dopo più di cinque anni di lavoro, per una spesa complessiva che si vocifera si sia aggirata sui 600 milioni di dollari, elargiti per lo più dalle casse pubbliche. Certamente, dopo aver visitato il Marocco, qualcuno sarà portato a chiedersi se tutta quella montagna di dollari non potesse essere impiegata meglio, ma d'altra parte, quando costruirono San Pietro credete non ci fosse qualcos’altro di più urgente da realizzare? La moschea è comunque un gioiello di tecnologia, con il minareto di 210 mt. d’altezza, le porte elettriche ed il tetto che si può aprire completamente. Per poterne visitare l'interno, è una delle poche moschee aperte agli stranieri, è obbligatorio partecipare ad una delle visite guidate che partono ad orari prefissati. Purtroppo ho dovuto rinunciarvi a malincuore, sia perché non previsto dal programma originale Francorosso e sia perché la nostra buona guida Saâd sembrava quasi sconsigliarlo, facendo così propendere la maggioranza del gruppo verso un'esplicita rinuncia, peccato! Dopo il pranzo in uno dei ristoranti del famoso lungomare di Casablanca, il boulevard de la Corniche una delle zone più "in" della città, riprendiamo il viaggio verso la nostra prossima meta, la capitale Rabat.  Attraversiamo la degradata periferia di Casablanca e lungo la strada costiera percorriamo i 100 Km scarsi che ci separano da Rabat, dove arriviamo nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per fare un giro nell’antica medina del XVII sec. Il contrasto con il traffico e i rumori di Casablanca è cosi stupefacente che ci permette di apprezzare ancora di più la passeggiata tra le antiche case intonacate a calce. Eleganti portoni di legno intarsiato, graziose fontane decorate con piccole maioliche, rari passanti nei loro colorati caffettani, tutto contribuisce a fare di questo intricato dedalo di vicoli un luogo dall’atmosfera tranquilla e rilassata. Cui si aggiunge un tocco di mistero con quelle piccole finestre di legno a mezzaluna completamente chiuse tranne che per un piccolo foro centrale. Osservatorio privilegiato che permetteva anticamente, in un tempo in cui le donne non erano solite uscire molto spesso di casa, di poter scrutare, senza esser visti, ciò che avveniva di fuori. Chissà, forse proprio in questo momento qualcuno sta spiando da dietro il nostro passaggio. Mentre continuiamo a seguire un invisibile percorso, sostando ad osservare l'alacre lavoro degli artigiani indaffarati nelle loro piccole botteghe, piano, piano il vociare e l'animarsi della via aumentano. E’ il segnale che stiamo arrivando nella più viva della medina, con la grande moschea ed il mercato, che per certi versi sembra essersi fermato agli inizi del secolo, come nell’angolo dove operano gli scrivani, sui cui tavoli fanno bella mostra polverose macchine per scrivere Olivetti che da noi troverebbero posto solo in museo della tecnologia.  La visita della medina di Rabat, in cui si può tranquillamente girare senza venir assediati da venditori d’ogni specie, è uno dei ricordi più piacevoli del viaggio e anche se è tenuta in minor considerazione, rispetto ad altre più grandi ed antiche, merita senza dubbio una visita.   

25 Marzo 2004     Rabat – Fès

Oggi il cielo è plumbeo, anche se fortunatamente la pioggia sembra rimanersene appesa lassù in alto. Trascorriamo la mattina nella visita di Rabat, capitale del Marocco dal periodo coloniale francese, iniziando dal complesso del Palazzo Reale situato all'interno di una vasta area cinta da mura. Accediamo dall'ingresso nei pressi della porta Bab ar-Rouah ( porta dei venti ), una delle porte della città rimaste dal tempo della dinastia almohade. Del complesso fa parte, oltre al palazzo vero e proprio, anche la moschea di Ahl-al Fas che ne chiude un lato sulla grande piazza d'armi, non è possibile accedere all'interno degli edifici e bisogna accontentarsi di ammirarli dall'esterno, immaginando solo quali bellezze possono racchiudere. Riprendiamo il pullman per fare un'escursione fuori delle mura della città, dove nella zona sud si possono ammirare i resti dell'antica colonia romana di Sala Colonia, inseriti all'interno della necropoli di Chellah, costruita nel XIII sec. dalla dinastia dei merinidi. All'ingresso del complesso ci attendono due suonatori in costume che alla nostra vista iniziano ad eseguire una danza rituale, superata la massiccia porta principale un breve sentiero conduce ad una piattaforma panoramica da cui si può godere una vista d'insieme del sito archeologico, prima di scendere direttamente tra quello che resta dell'antica città romana, in cui non è facile distinguere i vari ambienti e la loro funzione originale. Completando il giro si arriva all'interno del complesso della necropoli islamica, in cui numerose coppie di cicogne hanno trovato l'ambiente ideale per mettere su casa. Anticamente si trovavano qui una moschea, un minareto e una scuola coranica che doveva ospitare diversi studenti, dietro i resti della moschea si trovano alcune tombe della dinastia merinide. Dopo la visita della necropoli rientriamo all'interno delle mura e ci rechiamo a visitare la torre di Hassan ed il Mausoleo di Mohammed V. La costruzione della torre di Hassan, divenuta nel tempo uno dei simboli della città, fu iniziata nel 1195 per volere del sultano almohade Yacoub al-Mansour, ma alla morte di questi nel 1199 i lavori furono definitivamente interrotti all'attuale altezza di 44 mt., contro i 60 previsti dal progetto originale. Neanche la moschea attigua, di cui la torre fungeva da minareto, ebbe sorte migliore, perché nel 1755 venne completamente distrutta da un terremoto, oggi se ne può solo intuire la struttura da alcuni pilastri parzialmente ricostruiti. Di epoca più recente è il grande Mausoleo di Mohammed V, edificato dal sultano Hassan II, quello della grande moschea di Casablanca. Il mausoleo, in stile marocchino e riccamente decorato, ospita in una camera sotterranea le spoglie del nonno e del padre, lo stesso Hassan II, dell'attuale sultano. Completiamo il giro di Rabat con la visita della Kasbah des Oudaias, passando attraverso la porta che conduce ai giardini andalusi. Da questi, salendo attraverso strette viuzze con le tipiche case nei colori bianco ed azzurro, arriviamo nella via principale, rue Jamaa. Al termine di questa, in direzione sud, sorge il belvedere chiamato la Plateforme du Sémaphore, da cui si può godere una bella vista panoramica della foce del fiume che separa Rabat dalla vicina cittadina di Sale. Dopo il pranzo, in un ristorante su una nave ancorata lungo la banchina del fiume, un breve giro nella medina di Sale, e la mancata visita di un'importante medersa, chiusa per restauri, riprendiamo il nostro viaggio.  Lasciamo la costa atlantica verso l'interno, percorrendo la statale S311 in direzione della nostra prossima meta, la città di Fès. Attraversiamo la foresta di Mamora, ricca di piante di eucalipto e querce da sughero, passando accanto ad una maestosa tenuta in stile ranch californiano, è la residenza di una delle principesse, sorella dell’attuale sultano. Superiamo quindi la città di Meknes, che visiteremo l'indomani, mentre gradualmente le grandi pianure coltivate iniziano a lasciare il posto a dolci colline. La catena del Medio Atlante si profila all'orizzonte, iniziando a divenire cosi, un’abituale compagna di viaggio. In breve arriviamo a Fès e dopo cena abbiamo il tempo per fare un primo giro in città, assistendo in un locale ad uno spettacolo folcloristico di danze e acrobazie.

 

26 Marzo 2004     Fès  - Volubilis - Moulay Idriss – Meknes - Fès

Ci svegliamo sotto una leggera pioggerellina che ci accompagnerà durante tutta la giornata, fenomeno non raro in questo periodo dell'anno. Oggi non sono in cantiere molti chilometri ed il programma prevede un giro che parte e ritorna a Fès, includendo durante la giornata alcune mete molto interessanti. Effettuiamo la prima visita all’insediamento dove sorgeva l'antica città romana di Volubilis, il sito archeologico, dichiarato dall'Unesco nel ‘97 patrimonio mondiale dell'umanità, che si trova a circa 30 Km a nord della città di Meknes. E’ uno dei più importanti insediamenti romani del Nord Africa che è giunto fino a noi in un ottimo stato, ma è anche vero per quello che ho potuto constatare, che se non si pone un sollecito avvio ad importanti opere di restauro e conservazione rischia di rimanerlo ancora per poco. In tutti i miei viaggi non mi era mai capitato di vedere dei mosaici romani cosi belli direttamente sul loro sito originale, a decorare i pavimenti delle case dei nobili patrizi della città. Purtroppo devo aggiungere che mi sembrano in uno stato di semi abbandono e senza quelle adeguate protezioni, dagli agenti atmosferici e non, che ne possono facilitare un rapido deterioramento. Mi auguro che si ponga al più presto rimedio, perché come si può vedere dalle foto i mosaici sono veramente di notevole pregio artistico. La città era uno degli avamposti più remoti dell'impero romano ed oltre ad una funzione di prima difesa, rivestiva anche un ruolo di primaria importanza nell'approvvigionamento di derrate alimentari per la capitale. Il periodo più fiorente risale al II e III sec. d.C., ma la lontananza dalla madrepatria ed il riaffermarsi delle tribù berbere, mai completamente domate, costrinsero ben presto i romani ad abbandonare Volubilis al suo destino. Nonostante tutto, la città cosmopolita continuò a sopravvivere tra alterne fortune fino al XVIII sec. Il sito archeologico non è stato ancora completamente esplorato ed in futuro sarà certo fonte di nuove scoperte. Ad est si individua l'Arco di Trionfo, restaurato negli anni ’30, dal quale parte un lungo viale cerimoniale, il Decumanus Maximus, costruito nel 217 d.C. in onore dell'imperatore Caracalla e di sua madre Giulia Domna. Lungo il suo tracciato si trovano le residenze con i mosaici meglio conservati e di maggior pregio artistico. Come la Casa delle Colonne, con un portico che circondava completamente il patio interno abbellito da mosaici con disegni geometrici, la Casa del Cavaliere, con un mosaico dedicato a Bacco ed Arianna, la Casa di Venere, con uno stupendo mosaico dove la dea è ritratta insieme alle sue ancelle durante il bagno, la Casa di Ercole, con un mosaico che ritrae le famose fatiche del semidio ed altre ancora tutte originariamente abbellite da artistici mosaici.  Nei pressi dell'Arco di Trionfo si trova la Casa dell'Acrobata, con un mosaico che ritrae un esercizio di destrezza in sella ad un cavallo, subito dietro l’area che ospitava il Foro con i resti della Basilica e del Campidoglio, il tempio dedicato alla triade divina romana, risalente al 218 d.C. Proseguendo verso l'uscita si incontra la Casa di Orfeo, appartenuta probabilmente ad uno dei più ricchi mercanti della città, con un bel mosaico dove il personaggio mitologico è ritratto mentre suona la lira. Dopo Volubilis il programma della giornata prosegue con la visita di Moulay Idriss, adagiata sul declivio della collina che domina il sito archeologico, una cittadina fondata da un pronipote di Maometto in fuga dalla Mecca sul finire dell'VIII sec. A lui si deve l'istituzione della prima dinastia imperiale del Marocco e la conversione degli abitanti del luogo alla nuova fede. Le sue spoglie riposano nel santuario che fu edificato alla sua morte nel punto più alto della città. Ai non credenti non è permessa la visita del luogo, che con gli anni è divenuto una delle mete di pellegrinaggio più gettonate, così come Moulay Idriss stesso è oggi uno dei santi più venerati del Marocco. Curiosamente è ancora in vigore anche l’antico divieto che proibisce ai non islamici di passare la notte in città. Partendo dalla piazza principale si imbocca un vicolo sulla sinistra accanto ad un bar molto frequentato e dopo aver attraversato un mercato coperto, seguendo le indicazioni, si giunge all'ingresso del mausoleo dedicato al santo, fino al punto in cui una sbarra di legno ne blocca l'ingresso. Tutt’attorno è una cornice di stradine con piccole botteghe artigianali, se vi sarà possibile non mancate di visitare uno dei forni pubblici, dove ancora oggi le famiglie portano a cuocere il pane preparato in casa, lasciandone una parte come compenso del fornaio. Cotto a legna e gustato appena sfornato è veramente una delizia, croccante fuori e soffice dentro. Completiamo il programma della giornata con la visita di Meknès, una città dall'impronta architettonica francese, che in passato gli è valso l’appellativo di Versaille del Marocco. Capitale del sultanato alawita di Moulay Ismail, che contemporaneo del re sole Luigi XIV cercava di imitarne i fasti. La città imperiale si estendeva di fronte all'antica medina, separate unicamente dalla porta monumentale di Bab el-Mansour, oggi chiusa e trasformata in una galleria d'arte. Dietro la porta si trovava la grande piazza d'armi, oggi place Lalla Aouda, nei cui pressi si può vedere il mausoleo dedicato al sultano Moulay Ismail, che scelse Meknès come capitale del suo regno, uno dei più begli esempi di architettura araba e marocchina. L'accesso è consentito anche ai non musulmani fatta eccezione per la stanza dove è collocata la tomba del sultano, al cui interno si alternano dei muezzin in preghiera. A sud del mausoleo si trovano gli immensi granai fatti costruire dal sultano, gli Heri es-Souani, che servivano per immagazzinare grano e fieno per i cavalli del suo esercito, alloggiati nelle scuderie attigue. All'interno dei granai si respira un'atmosfera suggestiva, quasi surreale, che spesso è stata utilizzata anche come ambientazione cinematografica, come per il film "L'ultima tentazione di Cristo" di Martin Scorsese. Terminata la visita di Meknès rientriamo a Fès per la notte. 

27 Marzo 2004     Fès

Il programma odierno non prevede spostamenti e tutta la giornata è dedicata alla visita della città di Fès, una full-immersion nel più autentico spirito marocchino, in una realtà che nessuna fantasia riuscirebbe a descrivere con forza più vivida. Una miscellanea di sensazioni che non mancherà di lasciarvi stupefatti, all’interno di un ambiente magico in cui si è riusciti a trovare la giusta equazione per fermare il tempo. Colori, profumi, suoni, in un incessante brulicare di vita attorno ad antichi mestieri artigianali che sembravano scomparsi da secoli.  Certo una sola giornata è veramente tirata, ma come si sa in questi tipi di tour il tempo è sempre tiranno e a voler tirare la coperta da una parte... Fès è una delle più antiche città imperiali del Marocco, fondata poco dopo l'inizio dell'espansione araba nel nord Africa ne conserva intatta l'originale identità, qui l'integrazione con le autoctone popolazioni berbere, diversamente che altrove, si è realizzata in minima parte. Se non avete molto tempo a disposizione concentratevi sulle due zone più importanti e caratteristiche, Fès el-Bali, la parte più antica che comprende la medina, e Fès el-Jdid, la parte più moderna chiamata anche nuova Fès, dove si trova il Palazzo Reale  ed il mellah, il quartiere ebraico. Considerando la vastità del giro e l'elevato numero di cose da vedere è consigliabile affidarsi ad una guida del luogo, accantonando un attimo la sicurezza da esperti backpackers e ricordando che qui, più che altrove, è importante prestare un minimo di attenzione in più al problema della sicurezza, avendo cura di non girare con borse a tracollo che penzolano allegramente di lato o peggio con zaini lasciati incustoditi sulle spalle, se non volete ritrovarvi anche voi a dover compilare moduli su moduli in un commissariato di polizia, come purtroppo è accaduto ad un nostro compagno d'avventura un po' sprovveduto. Credo che come esperienza vi possa bastare quella d’attraversare vicoli così affollati, pigiati l'uno all'altro, che il famoso detto "si è trasportati dalla folla", passa da un piano puramente letterale ad una dimensione che più terrena non potrebbe essere. Potete contattare una guida autorizzata tramite l'ufficio del turismo o presso uno dei grandi alberghi, mentre all'interno della medina troverete molte persone che vi si offriranno come tali pur non essendolo. Sebbene in linea di massima siano persone affidabili, il governo ha però deciso da tempo, per evitare  problemi, di proibire tale consuetudine, introducendo norme molto severe che prevedono anche la carcerazione per esercita senza autorizzazione. Noi ovviamente oltre al fidato Saâd eravamo accompagnanti da un’altra guida locale specializzata nella città. Prima di immergervi in quel caravanserraglio umano che è la medina provate ad osservarla dall'alto, vi troverete di fronte ad una città che sembra essere stata abbandonata, immobile e silenziosa, così una volta dentro lo stupore sarà ancora maggiore. Anche la nostra visita non può che iniziare da Fès el-Bali, la zona senza dubbio più caratteristica di tutta la città. Mi è veramente difficile ricordare l'esatto tragitto che abbiamo percorso, perché il labirinto di vicoli attraversato, girando ora a destra ora a sinistra, sembra l'opera di un enigmatico matematico che ha voluto lasciare traccia indelebile dei suoi tortuosi meccanismi mentali. In effetti, non è poi neanche così importante come la capacità di lasciarsi coinvolgere dall'atmosfera, scoprendo angolo dopo angolo qualcosa di interessante da vedere o da gustare,  con l'orecchio, però, sempre pronto a ravvisare l'approssimarsi d’un pericolo imminente. "Balak, Balak", non è forse il termine esatto, ma suona pressappoco così, il grido che richiama l'attenzione al passaggio d’un somarello, stracarico della più svariata mercanzia, che s'appressa faticosamente verso di voi, in un vicolo che all'occorrenza sembra stringersi ancora di più, tanto da farvi trattenere il fiato e spingere in dentro i chili di troppo. Iniziamo ad esplorare la medina ammirando dall'esterno una delle porte della grande moschea di Kairaouine, uno dei centri teologici più importanti del mondo mussulmano, infilandoci poi nella vicina medersa di el-Attarine, costruita da Abu Said nel 1325 nello stile della dinastia mérinide.  Basta attraversare una porta per essere catapultati in un attimo da una frenesia estrema ad una tranquillità assoluta, come all’interno di quest’antica scuola coranica, che ancora oggi nelle sue piccole stanze ospita molti studenti. Siamo nel quartiere dove si lavorano i metalli, almeno a giudicare dal gran numero di botteghe dove abili artigiani e giovani apprendisti si affaccendano in un concerto di tintinnii e tonfi sordi. Oggetti in oro, argento, rame, dai metalli più preziosi a quelli più poveri, qui potete trovare di tutto, perfino botteghe stracolme di cuccume e pentoloni di tutte le fogge e dimensioni, in vendita o a noleggio, come quelle enormi utilizzate per preparare banchetti di nozze cui poi è invitato tutto il quartiere. E accanto a questo, sovrapponendosi ed alternandosi, si sviluppa l'intricato mosaico delle corporazioni in cui è divisa la medina di Fès, come negli antichi centri medievali, ognuna con i suoi spazi e i suoi luoghi comuni ben delimitati. Dopo la medersa ed un altra serie di giri nel labirinto visitiamo in un bel palazzo seicentesco il museo Belghazi, che al suo interno ospita una ricca collezione di tappeti, gioielli, armi e oggetti di uso comune. Un tè alla menta, dieci minuti di meritato riposo e ci rituffiamo nel traffico congestionato della medina verso la zona delle concerie con il souq dei tintori, probabilmente la zona di Fès ancestralmente più caratteristica e senza dubbio quella più immortalata nelle foto ricordo. L'arte della lavorazione della pelle affonda le sue origini in tempi antichissimi ed ancora oggi è praticata con metodi che risalgono al periodo medievale, con gli uomini che si immergono fino alla cintola dentro alle vasche di tintura, costruite ancora con mattoni di fango e piastrelle di ceramica. E' uno spettacolo veramente unico e a vederlo dall'alto crea l'effetto d’una tavolozza con tutte le tinte e le sfumature possibili, come se l'artista si fosse dimenticati aperti tutti i tubetti di colore. A rendere tutto ancora più indimenticabile contribuisce anche il forte odore che si respira e di cui tutta l'aria è impregnata.  Dopo il pranzo, gustato in uno degli eleganti palazzi-ristoranti di cui è piena la medina, riprendiamo il nostro giro visitando prima un'altra medersa e successivamente una bottega artigianale dove si producono ancora stoffe utilizzando ancora i vecchi telai di legno spinti dal ritmico movimento avanti e indietro delle gambe. Continuiamo la visita con la zona di produzione delle ceramiche, seguendo in un laboratorio scuola tutte le fasi della lavorazione, dalla creazione dell'oggetto al tornio a pedale, alla cottura nei forni, per finire con la decorazione eseguita a mano da giovani ragazze. Al termine lasciamo la zona di Fès el-Bali e riprendiamo per un breve tragitto il pullman per spostarci nella zona di Fès el-Jdid di più recente costruzione. In questa parte della città si trovano il Palazzo Reale, visibile solo dall'esterno, ed il quartiere ebraico, il Mellah. Sembra che questo termine, che in arabo significa "sale", sia stato utilizzato qui per la prima volta, prima che diventasse d’uso comune nel mondo arabo, per indicare la zona destinata ad ospitare la popolazione di origine ebraica, infatti la zona era in origine una palude salmastra. Il quartiere, abitato oggi quasi esclusivamente da arabi, dato che la maggioranza degli israeliti è emigrata negli ultimi decenni, ha una fisionomia più aperta rispetto alla medina, con piccole case a due o tre piani ornate da graziosi e caratteristici balconcini di legno. Qui si trovano varie sinagoghe, tra queste merita una visita quella di Ibn Danan, restaurata di recente grazie ad un contributo dell'Unesco. All'interno si possono ammirare arredi sacri e cultuali, tra cui una copia della Torah custodita in una nicchia nel muro in fondo alla sala, mentre scendendo per una stretta scala si accede ad una piccola sala sotterranea dove è situato un mikveh, una piscina in cui sono effettuate le abluzioni rituali prima delle cerimonie più importanti. Terminiamo la visita della città di Fès uscendo dalla porta di Bab Dekkaken, chiamata anche la porta blu dal colore delle piastrelle di ceramica con cui è decorata, il nostro pullman è lì ad attenderci per riportarci in albergo, insieme ai ricordi indelebili di questa stupefacente città.

 

28 Marzo 2004     Fès - Ifrane - la Valle dello Ziz – Erfoud

Riprendiamo il viaggio lasciandoci alle spalle la fantastica Fès, una città che sembra piombata dai confini del tempo fino ai nostri giorni, come uno squarcio di medioevo saltato fuori all’improvviso da un buco nero, per farci rivivere con le sue ancestrali atmosfere attimi e sensazioni di una vita passata. Abbandoniamo cosi quella parte di Marocco, che è con le città imperiali la metà araba della sua anima, per ritrovarla poi alla fine del viaggio splendidamente conservata in un'altra città da favola, Marrakech.  Ci aspettano le montagne, con le catene del Medio e dell'Alto Atlante, una terra aspra e dura quasi ai confini della sopravvivenza, che ha saputo custodire gelosamente l'altra metà dell'anima di questo paese, quella berbera. Un'anima le cui tradizioni non sono mai venute meno e che ha saputo fondersi con i conquistatori arabi senza mai perdere la sua specifica identità. Scendiamo verso sud, abbagliati dai toni e dall'intensità dei colori, in un'aria limpida che ne esalta i contrasti. Usciamo da Fès sulla statale P24, mentre una leggera pioggia saluta la nostra partenza. Il paesaggio che ci scorre accanto cambia rapidamente e mentre il profilo delle montagne si avvicina sempre di più i paesi iniziano ad assumere un aspetto vagamente familiare, con i tetti delle case che si fanno d'improvviso aguzzi e spioventi, sembra quasi d’essere entrati in una valle alpina circondata da cime ammantate di neve candida. Attraversiamo il paese di Imouzzer fermandoci poco dopo, per una breve sosta, a Ifrane che in lingua berbera significa zona arida e fredda, una piccola località di villeggiatura fondata dai francesi negli anni '30 a 1650 mt. di altitudine, al riparo dalle calure estive delle pianure e delle città costiere. Ci accoglie un'atmosfera tranquillità e rilassata che ha in sé qualcosa di irreale, un senso dell'ordine e della pulizia che lascia ancor più stupefatti se paragonato a quello che abbiamo appena lasciato, quasi che un pezzetto di Svizzera sia stato trapianto qui nel cuore del Marocco, all’interno di una foresta di lecci e cedri. Ed è buffo vedere le persone aggirarsi nelle stradine del paese avvolte nei tradizionali caffettani arabi. Qui ha sede l'università più esclusiva del paese, Al-Akhawayn, fondata nel 1995 dal sultano Hassan II e dal re Fahd dell'Arabia Saudita e frequentata dai figli dell'elite di tutto il mondo arabo. Non manca poi anche una residenza reale, un castello vero e proprio, che fa bella mostra di se dall'alto di una collina e che come tutte le altre è preclusa alle visite. Lungo la strada, appena fuori del paese, una grande scultura leonina sembra vegliare sorniona sul campus universitario di fronte, tappa obbligata per le foto ricordo dei turisti locali cui subito ci accodiamo anche noi. Prima di riprendere il viaggio facciamo una breve deviazione su una strada secondaria, inoltrandoci cosi per un tratto all'interno della foresta, nell’intento di avvicinare le piccole scimmie di Barberia che popolano queste montagne e che a detta della nostra guida Saâd si avvicinano volentieri per prendere da mangiare direttamente dalle mani. Purtroppo, nonostante i chiassosi richiami in cui ci prodighiamo, delle bestiole non si vede traccia. Ad Azrou, tranquilla cittadina berbera, lasciamo la statale P24 immettendoci sulla P21, maestosi altopiani si sostituiscono alla foresta di pini e cedri, mentre sul profilo dell'orizzonte che si apre terso alla nostra vista si stagliano le cime innevate del Medio Atlante. Ci si sente improvvisamente piccoli di fronte a tanta bellezza, persi ad ammirare il panorama in questo splendido isolamento. Attraversiamo Timahdite e successivamente Zaïda, piccoli paesi la cui economia è sostenuta principalmente dall'estrazione del ferro e del cobalto dalle miniere a cielo aperto che colorano il paesaggio di un nero e un verde intenso. Lungo la strada osserviamo numerose steli, che ricordano ognuna il luogo dove è caduto un ufficiale francese, come ci spiega la nostra guida Saâd, morto durante la guerra d'indipendenza e divenuto ormai, insieme con tutti gli altri morti nobili o plebei, un pugno di sabbia di questa terra arsa. Quasi senza accorgercene siamo arrivati a più di 2000 mt. di altitudine e dopo la sosta per il pranzo, a Midelt, riprendiamo la strada continuando a salire ancora fino al valico del passo della Cammella sulla catena dell'Alto Atlante, una serie di cime spettacolari che attraversano in senso longitudinale questo stupendo paese. Il tempo si è fatto nuovamente cupo e piove leggermente, mentre ci lasciamo alle spalle piccoli villaggi con le case costruite come le antiche kasbah. Iniziamo a scendere verso il paese di Rich situato nei pressi di una piccola oasi, da qui ha inizio la valle dello Ziz, dal nome dal fiume omonimo, l'Oued Ziz, che l’attraversa, inserita nella cosiddetta zona del Tafilat dai contorni paesaggistici incantevoli. Le tribù della zona furono tra le ultime a sottomettersi alla dominazione francese ed anche in epoca più remota primeggiarono per potenza e ricchezza con le altre etnie del paese, l'attuale dinasta degli alawiti è originaria di questa zona. Siamo sulla soglia del Marocco più intimo, pronti ad inebriarci di quello spirito che aleggia silenzioso all'ombra di una palma e che lontano dai clamori e dalla frenesia delle grandi città ne fa il vero cuore africano del paese. Come ad ubbidire ad una sapiente regia, che non sembra paga di stupirci con i suoi effetti, il tempo cambia ancora e torna di nuovo il sole, siamo ormai nei pressi del Tunnel du Légionaire costruito dai francesi per superare le asperità della natura, qui il letto del fiume si apre a disegnare un’ansa che in un lungo respiro supera le gole prima di tuffarsi verso l'altopiano.  Attraversato il tunnel continuiamo a risalire il fiume costeggiando le  Gole dello Ziz  prima di arrivare nei pressi della cittadina di  Er-Rachidia, importante  crocevia  sull'asse  nord-sud del paese.  Per un tratto il fiume scompare dalla nostra vista, riaffiorando più avanti fino al punto in cui sembra tuffarsi nel mare verde del grande palmento di Aufouss. Un serpente silenzioso che si snoda tra le pareti di roccia del canyon, modellato dal lento fluire dell’acqua e del tempo.  Intanto all'orizzonte si sta profilando una tempesta di sabbia e l'aria è satura di polvere in sospensione, cosi i piccoli villaggi che incontriamo lungo la strada sembrano assumere un'atmosfera ancor più spettrale ed abbandonata. Arriviamo ad Erfoud, tappa finale della nostra giornata, con la tempesta che sembra non essersi ancora placata e così l'escursione prevista per ammirare il tramonto sul deserto si trasforma in un'attesa per l'alba del giorno dopo.

 

29 Marzo 2004     Erfoud - Merzouga - la Valle del Dràa – Zagora

Sveglia nel cuore della notte per assistere al sorgere del sole sulle grandi dune di sabbia dell'unico vero Erg sahariano del Marocco, l'Erg Chebbi. E' uno spettacolo unico e vale certo qualche ora di sonno persa. Saliamo a bordo delle Land Rover 4x4 e formata la colonna partiamo alla volta di Merzouga, circa 50 km a sud di Erfoud, ben presto l’asfalto lascia il posto allo sterrato, mentre i fari delle macchine fendono il nulla, attraverso un deserto roccioso in cui la pista si distingue a malapena tra segni e tracce di mille passaggi. E’ una corsa contro il tempo, con l'orizzonte che si fa via, via sempre più chiaro, presagio dell'evento ormai prossimo. Finalmente arriviamo in vista dell'Erg, come novelli marinai che in balia di un panorama solo blu approdano felici su un piccolo pezzo di terra, non resta che compiere l'ultimo sforzo e cosi ci addentriamo, chi a piedi, chi a dorso di dromedario dietro lauto compenso, sulla sabbia soffice e impalpabile alla conquista della duna migliore. Ancora pochi minuti e i raggi del Sole iniziano a fendere l'aria, ammantando tutto con mille sfumature di colore, dall’ocra alla porpora, in un continuo rincorrersi di luci ed ombre che disegnano sulle grandi dune un gioco d’immagini che si ripete dalla notte dei tempi. E' difficile doversene staccare, ma il viaggio deve proseguire e a malincuore riprendiamo la via del ritorno. Sulla strada che ci riporta a Erfoud ci imbattiamo in una tenda berbera isolata e cosi ci fermiamo ad osservare più da vicino la loro vita. Istintivamente come gli altri mi abbasso a guardare dentro, nella tenda ci sono solo donne e bambini, probabilmente gli uomini si sono allontanati in cerca di pascoli per le greggi. I bambini ci guardano con un misto di cuiosità e timore, mentre la madre si copre il volto con il velo, ringraziando con un cenno del capo, quando qualcuno si avvicina per metterle in mano una moneta. In disparte c'è un'altra ragazza, ha degli occhi stupendi ed un’espressione forse un po' triste, non si capisce se è la figlia maggiore od una seconda e più giovane moglie. Tutto avviene in un attimo e non posso che ritrarmi subito, con la colpevole sensazione d’aver violato la loro intimità, per seguire la mia stupida curiosità. Provo un sentimento di doloroso rincrescimento, devo appiopparmi una nota di demerito e con me tutto il resto del gruppo che si sofferma in stupidi commenti.  Recuperato il nostro pullman riprendiamo il viaggio verso sud, alla volta della città di Zagora, la nostra meta giornaliera. All'altezza del paese di Rissani lasciamo la valle dello Ziz, entrando nella zona arida del deserto di Hammada. Attraversiamo un panorama roccioso dove basse colline sono punteggiate da sparuti alberi, solo ogni tanto oasi e piccoli appezzamenti di terra coltivati a grano rivelano nelle vicinanze la presenza dell'acqua.  Ci fermiamo per il pranzo nel piccolo villaggio di Asnif, situato nel bacino di Mader, una zona ricca di giacimenti fossili. Successivamente attraversiamo i villaggi di Tazzarine e di N'Kob, dove c'è un bel palmeto. Da qui e fino a Zagora si estende la valle del Dràa, che oggi percorreremo nella direzione nord-sud, una delle valli più belle del sud del Marocco, in un susseguirsi di palmeti, villaggi berberi e tipiche kasbah. Lungo la strada ci fermiamo a visitare un palmeto chiamato della kasbah dell'Arabo, mentre camminiamo, lungo i sentieri che corrono parallelamente ai piccoli canali di irrigazione, veniamo indottrinati sulla vita delle palme, ognuna delle quali risulta essere una preziosa proprietà privata. E’ particolarmente interessante la descrizione della delicata fase dell'impollinazione, che qui come altrove è facilitata dall’intervento dell'uomo, il quale a tempo debito preleva la punta della palma maschio e di corsa, nel volgere di pochi minuti, sale sulla palma femmina, l’unica che produca i frutti, per fecondarla. Devo aggiungere però, una volta assaggiati, che i datteri di questa zona non mi sembrano particolarmente pregiati, anche se dicono che siano normalmente destinati all'esportazione. Arriviamo infine a Zagora, una cittadina fondata durante il periodo coloniale francese, caratterizzata da una forte presenza militare per via della posizione strategica al confine con l'Algeria. Mentre entriamo in città Saâd ci fa notare una fila di case con delle piccole finestre al primo piano, appena dietro si intravedono visi di donne senza velo, mentre scrutano i passanti sulla strada. Sembra che siano dedite ad esercitare quello che si definisce il mestiere più antico del mondo, un'anomalia quasi unica nei paesi islamici, tollerata solo per via dell'alta concentrazione di militari. La città di Zagora è situata in una grande oasi e di fronte al nostro albergo si estende un bel palmeto, c’è ancora il tempo per fare un giretto fuori, ma siamo scoraggiati ad uscire da soli, per via di alcuni episodi di violenza accaduti in passato ai turisti. E’ sempre difficile stabilire quanto ci sia di vero o quanto riportato tra le guide diventi una leggenda cui tutti finiscono per credere, ma a scanso di equivoci preferiamo desistere...

 

30 Marzo 2004     Zagora - la Valle del Dràa – Ouarzazate

Ripartiamo da Zagora invertendo la rotta in direzione di Ouarzazate, inizia così la lenta risalita del nostro viaggio verso nord-ovest, accompagnati dai verdi palmeti e dalle belle kasbah del versante occidentale della valle del Dràa, ma prima ci spingiamo ancora per alcuni chilometri verso il confine algerino, fino a toccare il punto estremo a sud del nostro tour, Tamegroute. Al centro del paese, considerato una volta un importante sito religioso, si trovano un'antica biblioteca con annessa medersa ed una zawiya, una confraternita religiosa che sorge nei pressi di un marabutto, dove sono conservate le spoglie di un importante santo islamico che ha operato nella zona. La biblioteca contiene manoscritti e libri di natura religiosa e scientifica, i più antichi e preziosi risalgono al  XIII sec., alcuni in particolare sono scritti su pelle di gazzella. Non si può accedere all'interno della biblioteca se non accompagnati dal suo vecchio guardiano, un personaggio che sembra uscito da un racconto epico, geloso e attento custode delle opere e delle loro fantastiche storie, che sarà ben felice d’illustrarvi in un italiano stentato appreso chissà dove, mentre al contempo vi catechizzerà sull'assoluto divieto di scattare fotografie, anche in assenza dell’uso del flash. Poco lontano si trova il marabutto con la tomba del santo, qui i visitatori stranieri non sono ammessi e si può accedere unicamente al cortile esterno, insieme ai numerosi pellegrini venuti a chiedere la grazia al santo, particolarmente richiesta per la guarigione da malattie di natura psichica. Pellegrini che nell’attesa di un segno sostano anche per mesi, accampandosi alla bell’e meglio sotto le volte dell'ampio colonnato che gira tutt’intorno. Prima di lasciare definitivamente Zagora ci fermiamo a scattare una foto al famoso cartello che riporta la distanza di 52 giorni a dorso di cammello dalla mitica Timbuctù, e ora via sulla statale P31 verso Ouarzazate. Risaliamo la valle del Draà attraversata dal fiume omonimo, che nasce nell'Alto Atlante per andare a sfociare, ma solo quando c'è molta acqua, nell'oceano atlantico. Lungo la strada ci fermiamo per una sosta a Agzd dove c'è una kasbah del XIII sec chiamata El Kissane, come il nome della montagna, il Jebel Kissane, il cui profilo si può ammirare dal paese. Nel bar dove ci ristoriamo c'è un simpatico e giovane dromedario a cui qualcuno ha insegnato a bere direttamente dalla bottiglia, è diventato ormai un'attrazione per tutti i turisti di passaggio. Dopo Agzd la strada inizia a salire disegnando lungo il percorso sinuosi tornanti, attraversiamo le gole di Asedi Assouin, mentre il panorama che ci circonda, abbandonati i toni consueti, si colora di scuro, come se la terra e la roccia fossero state arse in passato da un fuoco ardente. Mentre scendiamo sull'altro versante la vista si apre all’improvviso sul magnifico sull'altopiano di Ouarzazate, arriviamo giusto per l'ora di pranzo e subito dopo ci rechiamo a visitare la grande kasbah di Taourit. Fino a poco tempo fa la kasbah era ancora utilizzata come abitazione privata, solo recentemente, grazie all'interessamento dell'Unesco, alcuni ambienti sono stati restaurati ed aperti al pubblico. La visita permette di ammirare e comprendere meglio come fosse organizzata la struttura interna di un edificio di questo tipo. Il piano terra si apre direttamente sul cortile interno ed era utilizzato principalmente come ambiente di lavoro, salendo si trovano prima i piani occupati dalle numerose mogli, ognuna aveva a disposizione un appartamento privato per lei e i suoi figli più piccoli, i piani per gli uomini adulti della famiglia, e in cima a tutto il piano riservato agli usi conviviali, di volta in volta sala da pranzo o di lettura. Vista dall'esterno la kasbah ha un aspetto imponente, con torri, sbalzi merlati e piccoli balconi chiusi, mentre al suo interno si frammenta in una serie di ambienti irregolari, ricchi di stanze, corridoi, nicchie, passaggi, finestre, che si aprono uno dentro l'altro come scatole cinesi. Penso che questo tipo di architettura rifletta in parte anche specifiche esigenze militari, probabilmente nell’intento di creare un campo di battaglia che consentisse ai difensori di muoversi più agevolmente, solido e compatto verso l’esterno, intricato e tortuoso all’interno. Le stanze più importanti e d’uso comune sono rifinite elegantemente con porte intarsiate, soffitti di legno a cassettoni decorati con motivi geometrici, e piccole maioliche colorate alle pareti e sopra le finestre.  La kasbah di Taourit è senza dubbio uno dei luoghi più interessanti visitati in Marocco, peccato che dell'arredamento originale non sia rimasto pressoché nulla. Terminata la visita della kasbah riprendiamo il pullman per una breve escursione, è ormai pomeriggio inoltrato e nel breve volgere di poche ore il tramonto regalerà uno spettacolo di luce fiabesca, è il momento migliore per visitare la famosa  kasbah di Aït Benhaddou, quando gli ultimi raggi del sole, salutando il giorno che muore, giocano ad ammantare di fuoco acceso le facciate e le torri ocra delle antiche residenze. La kasbah si trova ad appena una trentina di chilometri da Ouarzazate, su una sponda dell'Oued Ounila, e cosi sulla strada abbiamo il tempo per ammirare anche la bella kasbah di Tiffoltout. Finalmente arriviamo alla kasbah di Aït Benhaddou, un castello dalle cento torri che si erge su una piccola collina all’interno di uno scenario veramente unico, lungo le sponde dell'Oued Ounila, alle spalle di un grande palmeto e appena prima dello spazio sconfinato ed arido del grande deserto di Hamada.  Non si fa fatica a comprendere perché la kasbah di Aït Benhaddou sia stata scelta come set di molte e importanti produzioni cinematografiche, dal Gesù di Nazareth al più recente Gladiatore. Per visitare la kasbah, ora sotto la tutela dell'Unesco, occorre guadare il letto del fiume. Non essendoci ponti nelle vicinanze tale operazione può avvenire utilizzando un passaggio costruito con dei sacchi di sabbia, più che sufficiente nei periodi di secca ad evitare di bagnarsi i piedi, oppure in groppa a simpatici somarelli abilmente guidati da ragazzi del luogo. Inutile stare a sottilizzare sul fatto, che qualcuno possa aver abilmente disfatto il passaggio per racimolare qualche spicciolo dai turisti di passaggio, fa parte dell'avventura del viaggio, compresa l'abilità che occorre esercitare per restare aggrappati sulla schiena dell'animale. Entrati nella kasbah si sale attraverso piccoli viottoli, in un susseguirsi di negozietti e piccole case, dove con un cenno vi inviteranno ad entrare, conoscendo ormai l'inguaribile curiosità del turista, in cambio di qualche moneta. La  kasbah di Aït Benhaddou, a differenza di quella di Taourit, non è appartenuta ad un’unica e potente famiglia e le persone che vivono qui, in piccole e dignitose abitazioni composte di due o tre ambienti, sono per lo più piccoli agricoltori od allevatori di bestiame, se non spesso donne sole con prole abbandonate dai mariti, una consuetudine che purtroppo sembra piuttosto frequente da queste parti. Tutto ciò la rende meno appariscente vista dall'interno, ma certo più pulsante di vita. Arrivati in cima alla collina, su cui si trova un antico granaio fortificato ora in rovina, sarete ripagati dello sforzo da una vista eccezionale, su un orizzonte che non finisce di stancare, tra il palmeto, il deserto e la kasbah, nell’attesa poi del tramonto che ammanterà tutto con mille sfumature di porpora. Dispiace  davvero dover venir via  da un luogo così bello.    

31 Marzo 2004     Ouarzazate - la Valle del Dadès - la Gola del Todra – Ouarzazate

Questa mattina niente valigie, zaino leggero e via, effettueremo un'escursione che ci vedrà attraversare la Valle del Dadès fino alle Gole del Todra, con ritorno nella serata alla nostra base di Ouarzazate. La Valle del Dadès si insinua come una sottile lama, ad est del paese di Ouarzazate, tra la catena dell'Alto Atlante e i picchi neri di origine vulcanica della zona desertica del Jebel Sarho. Grazie alla presenza di numerose oasi, alimentate dalle acque dell'Oude Dadès, la valle permise fin dai tempi antichi un insediamento stabile, come testimoniano le numerose kasbah che si incontrano e che le hanno valso l'appellativo di Valle delle Mille Kasbah, non saprei dirvi se il numero corrisponde al vero, ma è certo che per parecchi chilometri i paesi sono cosi ravvicinati che sembrano quasi a formare un unico centro abitativo. La Valle del Dadès è inoltre conosciuta anche come Valle delle Rose, per via dell'intensa coltivazione che vi si svolge e da cui si ricava praticamente qualsiasi tipo di prodotto cosmetico possibile, dalle essenze alle creme, dai saponi ai profumi, e ad altro ancora. E’ un vero peccato essere in anticipo sul periodo della fioritura, perché senza dubbio dev’essere uno spettacolo incredibile sia per gli occhi che per l'olfatto. Il primo paese che si incontra lungo la valle è Skuora, un importante centro scolastico, ai margini della strada si erge una maestosa kasbah da cartolina, alle spalle il profilo delle cime dell'Alto Atlante ancora innevate. Altre kasbah sono visibili nelle oasi di questa zona, raggiungibili però solo attraverso sentieri sterrati. Il viaggio prosegue attraverso un panorama arido e roccioso, mentre un falco pellegrino che volteggia sopra di noi sembra seguire i nostri passi, in questa zona il governo marocchino ha avviato un programma di rinverdimento che sfrutta tecnologie innovative già sperimentate in altre zone desertiche, ma per ora, da quello che si può vedere, senza risultati apprezzabili. Continuiamo ad addentrarci all'interno della Valle del Dadès, arrivando in breve nel paese di El-Kelâa M'Gouna, il principale centro di produzione di acqua di rose e di tutti gli altri preparati. La raccolta dei fiori avviene nel mese di Maggio e culmina con una caratteristica festa popolare, inutile aggiungere che qui era programmata una sosta tattica per permettere alle gentili signore del nostro gruppo di "saccheggiare" allegramente l'annesso spaccio di vendita. Dal paese di El-Kelâa M'Gouna e per una quarantina di chilometri fino al paese di Boulemane du Dadès è tutto un susseguirsi di kasbah grandi e piccole, meglio conservate o in stato di abbandono, mentre il panorama si fa più verde con un'unica grande oasi che si insinua lungo il corso del fiume.  Prima del paese di Boulemane du Dadès una deviazione a sinistra conduce alle Gole del Dadès, una zona suggestiva e ricca di kasbah e ksar, come suggerisce la guida di viaggio della Lonely Planet, peccato che non faccia parte del nostro programma di viaggio, sembrava una zona molto interessante. Dopo aver attraversato Boulemane du Dadès, al centro di un vivace mercato settimanale che si tiene all'interno di un caravanserraglio, continuiamo il nostro viaggio verso la  Gola del Todra, la nostra meta finale. Lungo la strada, dopo il paese di Imiter, ci fermiamo a Tinerhir, un paese conosciuto ed apprezzato per la produzione dei tappeti, che qui, a detta della nostra guida Saâd, costano meno che altrove. Provare per credere, come recitava lo slogan di un famoso imbonitore televisivo in voga alcuni anni fa sulle emittenti private, e cosi non ci si può certo esentare dal fare un salto in uno dei numerosi bazar che si incontrano lungo la strada, giusto il tempo di alleggerire la carta di credito e di appesantire il carico dei bagagli per il volo di rientro. Devo però anche aggiungere, pur non essendo un amante dei tappeti, che alcuni mi sembrano veramente belli, così come pure notevoli sono i prezzi, una bella scoppola. Lasciata Tinerhir, apprezzata anche per la sua antica medina, con un souq ed un ksar originali, arriviamo finalmente dopo pochi chilometri alla  Gola del Todra. La gola è una frattura naturale che divide la catena dell'Alto Atlante dai contrafforti del Jebel Sarho, i raggi del sole che riescono a penetrare all'interno creano sulle vertiginose pareti dei bei giochi, anche se per apprezzare al meglio il fenomeno occorrerebbe trovarsi qui nelle prime ore giorno. La Gola del Todra attira anche numerosi appassionati di arrampicata, per la presenza di pareti verticali che ben si prestano per praticare questo sport. All’interno della gola scorre un piccolo torrente dalle acque cristalline, cui una leggenda locale attribuisce miracolose proprietà benefiche e curative. E' ormai pomeriggio inoltrato, quando riprendiamo la strada del ritorno verso Ouarzazate, ammirando gli stupendi panorami che la Valle del Dadès ci offre nel suo versante orientale, in un susseguirsi di villaggi dalle piccole case colorate, come ad esempio quello di Tizgui, ricchi di vita ed inseriti in un ambito paesaggistico unico tra appezzamenti coltivati, palmeti e kasbah abbandonate, mentre sullo sfondo pianure desolate si protendono incontro al deserto roccioso del Jebel Sarho. 

1 Aprile 2004     Ouarzazate - Passo del Tizi n'Tichka – Marrakech

Lasciamo la città di Ouarzazate cullati dal canto di un'antica nenia berbera che si affievolisce nel silenzio di sconfinati altopiani, con gli occhi ancora pieni delle struggenti emozioni che il sud del Marocco ha saputo regalarci. Abbiamo assaporato i ritmi arcaici d’una vita senza tempo, in cui ogni più piccolo gesto esprime muto una sapienza antica e dove tutto sembra farsi polvere per confondersi con la sabbia del deserto, in un continuo fluire di stupefacenti contrasti fissati in maniera indelebile nei nostri ricordi. Una sottile vena di malinconia pervade l'aria, mentre in tutti noi s'appressa quel sentimento di nostalgia che invade l'animo, quando il viaggio ha ormai intrapreso la strada del ritorno, è come se solo ad un tratto ci si accorgesse del tempo che è passato e di quanto poco s'approssima alla fine.  La strada sale incessante, arrampicandosi per tortuose vie verso il passo del Tizi n'Tichka ben oltre i 2000 mt., ci lasciamo alle spalle il paesaggio lunare dell'Anti Atlante, intervallato da spettacolari e verdi terrazze, mentre una leggera foschia scende a incappucciare la cima della montagna che si staglia davanti a noi. Sembra quasi di essere sospinti in avanti dall'alitare d'uno spirito antico, partecipe anche lui d'un rito che con la ripida discesa verso Marrakech ci apre la via verso una nuova dimensione.  E arriviamo finalmente a Marrakech, l'ultima tappa del nostro viaggio in Marocco e la migliore sintesi conclusiva di quest'esperienza, la città che più d'ogni altra sa offrire un autentico punto di vista sull'insieme cosi variegato e composito della cultura di questo paese, tra la ragion d'essere araba e l'antica memoria berbera, tra sapori mediterranei e profumi africani, in un continuo equilibrio tra antico e moderno che qui convivono l'uno accanto all'altro, ora sfiorandosi appena, ora intrecciandosi indissolubilmente. La storia della città di Marrakech è costellata di splendori e miserie, dall'anno della sua fondazione, avvenuta nel 1062 ad opera del sultano almoravide Toussef bin Tachfin, è stata più volte capitale del regno e più volte conquistata e ridotta ad un rango inferiore. Molte delle sue antiche bellezze architettoniche sono andate irrimediabilmente perdute, distrutte dalla nuova dinastia araba che subentrava alla precedente. Ma anche nei momenti di maggior decadenza la città è sempre riuscita a mantenere intatto un suo fascino intimo e discreto, sapendo rinascere ogni volta dalle sue stesse ceneri, fuori e all’interno delle antiche mura che al tramonto si tingono di rosso porpora, colorate dal sangue che sgorgò quando venne costruita la Koutoubia (la grande moschea ) come narra un'antica leggenda berbera. Prima di acquartierarci di nuovo, per gli ultimi giorni del nostro tour, nello stesso albergo che ci ospitò al nostro arrivo in Marocco, il moderno Atlas in ave de France, ci fermiamo in centro, ansiosi di dare un primo assaggio all'atmosfera che si respira in città e che contrasta in maniera così rumorosa dal sud che abbiamo appena lasciato.  Ed ogni visita della città che si rispetti non può che iniziare dal cuore pulsante che è piazza Djemaa el-Fna, crocevia dove passato e presente si incontrano e si confondono, all'interno di uno spazio in cui anche gli spettatori sono chiamati a farsi attori. Regna ancora una calma apparente e tutto è sospeso come per magia in una religiosa attesa. Si ha quasi il timore di violarne l’intimità, come a risvegliare quello spirito misterioso che la possiede e che ora si è placato. C'è una forza inesorabile che ti attira verso il suo centro, nell’attesa che si apra di nuovo il sipario sullo spettacolo che si rappresenta oggi come ieri, ieri come cento anni fa, perché questa piazza è il teatro del mondo che cambia, rimanendo sempre uguale a se stesso. E cosi per un magico incanto, mentre le ombre della sera scacciano gli ultimi furtivi raggi del sole, la piazza inizia a risvegliarsi e a prendere nuovamente vita. E in un attimo tutto diventa clamore, mentre un incessante brulicare di anime si affaccendano attorno alla propria opera, all'interno d’un disordine organizzato in cui ognuno è rispettoso del ruolo che si è scelto. Spuntano così, fuori dal nulla, gli attori di questo immaginifico circo, che ogni sera e da ogni luogo attira a se comparse e spettatori. Qui s’affannano ad allestire banchetti, li ad accendere fuochi, la a cucinare pietanze e piatti dei più ricercati, mentre l'aria si satura degli odori che si spandono dalle volute di fumo, di pesce fritto, di carni arrostite, di brodo di lumache, di zuppe di verdura, di spezie pungenti, di pani fragranti, di frutta fresca, di montagne di dolci caramellosi, in un vociare di richiami che ti accompagna e ti tira, ora da una parte ora d'altra. E ad ogni angolo puoi essere partecipe d'una scena diversa, saltimbanchi e giocolieri, incantatori di serpenti e ammaestratori di scimmie, cantastorie e danzatori, megere e fattucchiere, cavadenti e vecchi stregoni, mentre tutto inizia a girare vorticosamente attorno e dentro di te, nell’attesa che tu decida fino a che punto vuoi partecipare al gioco. E' una delle esperienze più particolari e coinvolgenti cui si può assistere, il momento in cui culmina l'esperienza trascendente del viaggio in questo splendido paese, imparando a gustare da viaggiatori un autentico squarcio di vita, non costruito ad uso e consumo di semplici turisti. Non ci sono regole né norme da rispettare, tutto è lasciato alla vostra libera interpretazione, potete essere attori o solo semplici spettatori, attraversarla da dentro o spiarla dall'alto, sopra d’una delle tante terrazze che la circondano. Anticamente ogni grande e piccola città del Marocco ospitava al tramonto un’adunanza del genere, che solo qui, però, ha saputo mantenersi viva, grazie anche all'intuito del governo che si è prodigato perché potesse continuare a svolgersi. Il programma della serata, con cui concludiamo il nostro primo giorno a Marrakech, prevede la cena facoltativa con spettacolo "Fantasia" presso il ristorante Chez Ali, poco lontano dalla città sulla strada per Safi. Devo dire che in un primo momento, subodorando il solito pacco confezionato per turisti, declino gentilmente l'invito, salvo poi ripensarci più tardi dopo aver letto sulla guida della Lonely Planet, generalmente poco tenera in circostanze simili, una nota specifica su come fosse, in effetti, uno dei pochi spettacoli folkloristici degni di nota.  Posso aggiungere, a parte alcuni aspetti tipo Disney Araba, che la serata merita veramente, in particolare perché si ha modo di gustare un'ottima cena, con alcune delle più squisite portate della cucina marocchina, comodamente seduti sotto un'ampia tenda berbera, mentre diversi gruppi folkloristici si alternano per rallegrare la cena. Il menu della serata prevedeva, zuppa Harira (la mia preferita, preparata con brodo d'agnello, pollo, vari tipi di verdure e spezie come il coriandolo, la cannella, lo zafferano e con il tocco finale di alcune gocce di limone), una porzione di mezzo agnello alla brace per tavolo, diversi tipi di Coucous e Tajine, e per terminare vari tipi di dolci, tra cui il m'hancha (paste piatte e rotonde farcite con miele, mandorle e coperte di glassa e cannella). Al termine della cena in grande spazio all’aperto si svolge uno spettacolo d’arte varia, tra cui abili acrobazie a cavallo e cariche simulate che terminano con salve esplose da antichi  moschetti. 

2 Aprile 2004    Marrakech

Oggi dedichiamo la giornata alla visita di Marrakech, conosciuta anche come "la città rosa". Scende una leggera pioggia, mentre iniziamo la visita della necropoli che si trova nei pressi della moschea della Kasbah, appena passata una delle porte, Bab Agnaou, con cui si accede all’interno delle antiche mura che circondano la medina. La necropoli, costruita per volere del sultano Ahmed al-Mansour verso la fine del 1500, contiene le tombe della dinastia dei saaditi, e pur salvandosi dai successivi saccheggi, seguiti alla caduta della dinastia stessa, fini ben presto nell'oblio del tempo, fino alla successiva riscoperta per opera del generale francese Layautey. Il complesso è suddiviso in tre piccole sale, riccamente decorate da stucchi e intarsi in ceramica, al cui interno riposano numerose spoglie di sultani e dei loro familiari. La sala centrale, detta delle 12 colonne per via del colonnato interno realizzato con marmo italiano, è la più grande e maestosa ed ospita le spoglie del sultano che ne ordinò la costruzione. Appena dietro la moschea e la necropoli si trova uno dei palazzi più famosi di Marrakech, il Palais el-Badi, costruito tra il 1578 ed il 1602 per volere dallo stesso sultano Ahmed al-Mansour. Nel periodo di maggior splendore il palazzo era considerato uno tra i più belli al mondo, oggi purtroppo, dopo il saccheggio seguito alla conquista di Marrakech per opera del sultano Moulay Ismail, versa in cattive condizioni. Splendidi interni si possono invece ammirare, poco lontano, nel Palais de la Bahia, un palazzo in stile marocchino utilizzato in parte, ancora oggi, dal sultano e dalla sua famiglia. Costruito alla fine del XIX sec., come residenza di un gran visir del sultano Moulay al-Hassan I, il palazzo si presenta con una struttura articolata, con numerosi ambienti collegati tra loro da patii, giardini e stretti corridoi, ognuno rifinito da decorazioni in ceramica alle pareti, con stucchi ed intarsi di legno sui soffitti e negli stipiti delle porte. Terminata la visita del palazzo ci rechiamo in rue Riad Zitoun el-Jedid, per ammirare la collezione di uno dei più interessanti e spettacolari musei di tutto il Marocco, il museo Dar Si Said, da non mancare assolutamente. In effetti il nome, attribuito oggi comunemente al museo delle Arti Marocchine, deve essere più propriamente riferito al palazzo che lo ospita, fatto costruire dal fratello del gran visir Bou Ahmed, quello per cui venne costruito il Palais de la Bahia. Il museo ospita una delle più belle collezioni d'arte, unendo insieme oggetti raffinati, gioielli in argento, oggetti di legno d’uso comune, stupendi portali intarsiati, ceramiche decorate a mano, tappeti ed arazzi, antichi giochi per nobili bambini, armi da fuoco e caratteristici pugnali, peccato solo che al suo interno è severamente proibito scattare fotografie. Proseguendo nel nostro giro riprendiamo il pullman per spostarci nella zona nuova di Marrakech, la ville nouvelle, per visitare le Jardin Majorelle, uno dei numerosi giardini esotici che si trovano in città. Creati dal pittore francese Jacques Majorelle sono oggi di proprietà dello stilista Yves Saint-Laurent ( uno dei tanti nomi noti, tra cui anche parecchi italiani, ad avere  una casa qui ), al loro interno ospitano varie specie di piante, in particolare cactus provenienti da varie parti del mondo e buganvillee. L’atmosfera tranquilla e rilassata ed il delicato profumo dei fiori concorrono a farne un'oasi di pace che invita a prendersi una sosta dalla caotica e frenetica vita che scorre appena fuori. I giardini ospitano anche un piccolo museo di Arte Islamica in cui è possibile ammirare alcuni dei lavori di Majorelle. Passato il momento di immersione nella natura siamo pronti a rituffarci nella medina e mentre ci dirigiamo per il pranzo in uno dei famosi palazzi, antichi riad trasformati in raffinati ed eleganti ristoranti, attraversiamo il souq con il suo dedalo di vicoli, di negozi, di botteghe artigianali, con quel vociare che ora aumenta e ora scompare come per magia, appena girato un angolo, per piombare in un silenzio irreale. Il fascino del souq di Marrakech ha i connotati tipici di tutte le città marocchine dove più forte è l'impronta araba ed ogni volta è pronto a stupire, offrendo di se un panorama sempre unico e diverso. E mentre la sera si avvicina la forza ancestrale di Djemaa el-Fna ci richiama di nuovo a se, è incredibile come si possa restare incantati di fronte a questo spettacolo che muta ogni sera per rimanere sempre fedele a se stesso. E quello che la sera prima si presentava in un modo ora assume una sfaccettatura nuova, una voce si sovrappone ad un'altra nella nostra memoria e sembra quasi di non essersene mai staccati, come legati da un filo invisibile. Per concludere la giornata ci concediamo una puntata al casinò nel famoso albergo La Mamounia, appena dentro la medina passata la porta di Bab el-Jedid, e con il pretesto di ammirare gli interni di questo splendido palazzo, costruito tra il 1925 ed il 1929 e meta preferita di personaggi storici come ad esempio Winston Churchill, tentiamo la fortuna nella sala delle slot machine ( per accedere nella sala vera e propria occorre essere in giacca e cravatta ) , riuscendo perfino a vincere qualche centinaio di dinari.

 

3 Aprile 2004    Marrakech

Oggi aleggia una strana atmosfera in albergo, è il nostro ultimo giorno di permanenza in Marocco, non c'è nessuna sveglia che ci invita ad alzarci, nessun orario da rispettare, nessuno che ci aspetta per iniziare un nuovo giro, non c'è neanche la nostra guida Saâd ad augurarci il buon giorno, siamo soli, soli e liberi, e per la prima volta ci sentiamo un po' persi, come sospesi tra un quotidiano che di li a poco abbandoneremo e il quotidiano della nostra vita che presto riabbracceremo. Ed allora è invitabile che in tutti noi monti quell'impalpabile malinconia che precede la partenza,  che rende svogliati e sazi, come se tutto fosse già compiuto e nulla più ci attendesse. Quanto possono essere lunghi, seppur brevi, quindici giorni, quanto è facile immergersi in una realtà tanto diversa dalla nostra da non volersene più staccare. Mi rimane ancora qualche foto da scattare, qualche regalo da portare via, e cosi a piedi raggiungo di nuovo la medina, il souq, la piazza, cercando di memorizzare ogni viso, ogni sorriso, ogni più piccolo ricordo di questo stupendo paese. Il pomeriggio poi, insieme con altri del gruppo, affittiamo una di quelle carrozzelle che stazionano nei pressi di Djemaa el-Fna, e che per una modica cifra offrono la possibilità di rivivere tutto da una prospettiva diversa, attraverso gli stretti vicoli della medina in cui il vetturino deve destreggiarsi profondendo tutta la sua notevole abilità.  Con un piccolo supplemento, lo chiamano giro completo, si può arrivare fin dove ha inizio il palmeto. Non ha nulla a che spartire con i bei palmeti del sud del paese, ma è comunque interessante passare a velocità ridotta nel caos del traffico dei quartieri periferici ricchi di vita. E al termine della giornata decidiamo di concludere il nostro viaggio in Marocco in una maniera un po' insolita, andando a mangiare un hamburger nel McDonald che si trova nella zona nuova della città. Siamo gli unici stranieri presenti, ma ci confondiamo facilmente con i ragazzi del luogo, i cui modi, per certi versi, non sono molto dissimili da quelli di qualunque ragazzo della stessa età in una qualunque città italiana, a dimostrazione di come questo paese, così legato alle sue tradizioni, ai suoi ancestrali modi di essere, sia anche un paese proiettato verso usi e costumi più occidentali.          

4 Aprile 2004    Marrakech – Bologna

E' l'alba, quando incontriamo per l'ultima volta la nostra guida Saâd, il tempo dei saluti si è fatto urgente, il suo compito è finito ed ora raggiungerà per qualche giorno di riposo il suo piccolo paese nel sud, il nostro aereo è pronto sulla pista e mentre decolla noi stiamo già rientrando nella vita di tutti i giorni, forse qualcuno sta pensando al prossimo viaggio e qualcun'altro, forse,  sta già pensando al giorno in cui ritornerà ...

 

 

 

Diario di Viaggio di Maurizio Fortunato – Marocco 2004.

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Bibliografia e Fonti Storiche :

Guida di Viaggio Marocco della Lonely Planet, edita da EDT nel 2003.

 

    

 

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